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MASSIMO TROISI, IL CUORE E LA MENTE di Fernando Popoli – Numero 10 – Marzo 2018

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MASSIMO TROISI, ILCUORE E LA MENTE

potremmo dire che è quasi una periferia non essendoci soluzione di continuità tra le due città. Massimo Troisi nacque lì, in un contesto popolare, autentico, tradizionale, fatto di gente semplice che crede nel grande spirito della napoletanità e parla quella lingua universale che è il dialetto napoletano, comprensibile a tutti specialmente quando è “interpretata” da un attore partenopeo. Basti pensare che il grande Eduardo, al quale Troisi fu spesso paragonato, recitò a Mosca in una sua commedia nella sua lingua d’origine. Anche Troisi reputava la lingua napoletana consone alla sua recitazione e, in occasione di un’intervista televisiva fatta da Isabella Rossellini che gli chiedeva il motivo per cui recitasse in dialetto, dichiarò: “Io mi sforzo di capire l’italiano, perché gli altri non si sforzano di capire il napoletano”. 

 

Le sue prime apparizioni sul palcoscenico avvennero nella sua città natale, in una sala parrocchiale, con gli amici d’arte e di vita Lello Arena ed Enzo De Caro.

Era allora timidissimo e non sapeva se avesse potuto affrontare 

il pubblico, ma poi dichiarò che nell’oscurità della sala non vedeva 

la platea e quindi poteva recitare poiché aveva 

la sensazione di stare da solo e al buio.

 

Il successo del trio fu immediato e in breve fu consacrato anche da uno spettacolo televisivo che ebbe una grande risonanza. Furono ribattezzati La smorfia quando, alla domanda di Pina Cipriani, direttrice del San Carluccio, teatro napoletano nel quale avevano lavorato, che chiedeva come si chiamassero, Massimo rispose con una smorfia del volto e la Cipriani affibbiò al trio questo nome. Dopo la prima apparizione televisiva, la Smorfia si pose all’attenzione di un vasto pubblico che vedeva sopratutto nel personaggio di Troisi, nella sua poetica recitativa, nella sua evidente timidezza, nel suo parlare la propria lingua, un’espressione del disagio giovanile e delle problematiche sentimentali che coinvolgono i giovani. 

 

Ben presto il cinema mise gli occhi su questa giovane rivelazione del teatro napoletano e il produttore Mauro Berardi offrì a Troisi il ruolo di Franceschiello in un film che doveva essere diretto da Luigi Magni. Il film non si fece ma 

 

Berardi disse a Massimo di pensare a un film tutto suo 

dove egli potesse essere autore e attore.

 

Nel giro di pochi mesi, con l’aiuto di Anna Pavigliano, Ottavio Jemma e il futuro premio Oscar Vincenzo Cerami, nacque la sceneggiatura di: Ricomincio da tre, primo film del grande attore, al quale ne fu affidata anche la regia. Il direttore della fotografia, Sergio D’Offizi, mi ha raccontato che il primo giorno di lavorazione chiese a Massimo dove posizionare la macchina da presa; questi, con la comicità spontanea che lo distingueva, rispose: “Lanciamola in alto e vediamo dove cade”. La sua scarsa conoscenza del linguaggio cinematografico fu superata da un’interpretazione eccezionale, dove l’attore, al centro dell’inquadratura,

 

esprimeva tutto se stesso, rivelando la sua natura spontanea. 

Era una recitazione fatta di pause, parole dialettali, 

espressioni di timidezza, sensibilità certamente nuova, 

atipica e originale.

 

Il film metteva in luce il disagio della retorica sui napoletani e ne faceva superare i luoghi comuni attraverso un’incredibile comicità. Il successo fu enorme, Ricomincio da tre divenne un caso nazionale che dette una svolta al cinema italiano in crisi in quegli anni e Massimo Troisi fu consacrato una grande stella, unica e originale per il modo di porsi, ben presto contesa da tutti. Vinse due David di Donatello, tre Nastri d’argento e due Globi d’oro. Il secondo film completamente di Troisi fu: Scusate il ritardo, dove, in una storia d’amore, Troisi interpreta il suo personaggio con la timidezza e l’indecisione di sempre, consacrando così la sua recitazione. Anche questo film fu un grande successo di pubblico e di critica.

 

L’attore fu paragonato a Totò e a Eduardo De Filippo 

per la sua originalissima interpretazione, ma rifiutò l’accostamento, 

dichiarando di non essere assolutamente alla loro altezza.

 

Nell’arte e nella vita era un uomo timido e riservato, spontaneo e naturale, che rivelava la profondità del suo animo sensibile con un linguaggio semplice e universale. La sua attività cinematografica proseguì con il grande Roberto Benigni nel film Non ci resta che piangere, dove i due attori espressero il meglio di loro stessi in un’indimenticabile interpretazione. Un’accoppiata vincente, il napoletano e il toscanaccio, qualcosa di unico e raro. Poi venne il periodo della collaborazione con Ettore Scola e il sodalizio artistico con Marcello Mastroianni in Splendor e in Che ora è.

 

Scola diceva di aver adottato Troisi e di trattarlo come un figlio, 

spesso la mattina andava a trovarlo nella sua abitazione per parlare 

di arte e di cinema. Due meridionali di grande prestigio, 

l’uno regista, l’altro attore,

 

l’uno napoletano di S. Giorgio a Cremano, l’altro campano di Trevico. L’ultima interpretazione, quella che lo portò a cinque nomination per il premio Oscar fu Il postino, toccante storia di un’amicizia tra un poeta e un portalettere, tratto da un romanzo di Antonio Skármeta, diretto da Michael Radford, ambientato nella splendida cornice delle isole di Salina e di Procida. Questa interpretazione gli costò la vita. L’attore era affetto sin da bambino da febbre reumatica, che sviluppava una grave degenerazione della valvola mitrale, complicata dallo scompenso cardiaco. 

 

Operato a Houston già una volta, doveva sottoporsi a una seconda operazione per il cambio delle valvole deteriorate. Scelse prima di girare il film, quantunque gravemente compromesso dalla malattia, dichiarando “lo voglio fare con il mio cuore” e riuscì a terminarlo qualche giorno prima della fine. Per lui l’arte era più importante della vita.

 

La morte lo colse nel sonno a quarantuno anni, dodici giorni dopo la fine delle riprese, per un fatale attacco cardiaco. Le sue spoglie riposano per sempre affianco a quelle dei genitori nel cimitero di S. Giorgio a Cremano, dove aveva iniziato la sua carriera artistica; in quel mondo che fu sempre suo e lo portò a raggiungere le più alte vette della recitazione, spinto dal bisogno di esprimere la sua grande vena poetica di attore e autore. Nell’isola di Procida, una piazza della marina Corricella è intitolata all’attore napoletano. Nel porto di Salina, un tratto della banchina è stato chiamato: “Passeggiata Massimo Troisi” e vi è conservata la bicicletta adoperata nel film.

 

Sean Connery, dopo aver visto Il postino, dichiarò: 

“E’ il più bel film che abbia mai visto”.

 

Non dimenticheremo mai quel portalettere sprovveduto e confuso nel Postino che va a lezione dal grande poeta Neruda, interpretato da Philip Noiret, per farsi scrivere le poesie per la ragazza di cui è innamorato, per capire, sapere, conoscere e arricchirsi di cose per lui assolutamente nuove; e quando afferma sulla spiaggia in riva al mare in una conversazione filosofica con il poeta: “Il mondo intero è la metafora di qualcosa.”

 

 

 

 

 

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