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PIZZI E MERLETTI. “DIETRO UNA FINESTRA DI RINGHIERA” di Venera Coco – Numero 3 – Gennaio 2016

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racconta il professore Rocco Zito. Erano gli arnesi più comuni nelle mani delle giovani siciliane che preparavano con ansia i loro corredi, sperando di poter un giorno esibire quei manufatti con l’audacia delle padrone di casa. Per molto tempo le città di un’isola, complessa e misteriosa, sono state ornate dalla bellezza e raffinatezza di quei merletti e quei pizzi che riuscivano a rendere prezioso ogni angolo delle dimore, ogni vessillo sugli altari delle chiese, perfino ciò che poteva essere indossato e di certo rimanere segreto.

Di sfilati siciliani, macramè, uncinetto e tombolo, Domenico Dolce e Stefano Gabbana, ne hanno fatto un must-have: non a caso, il pizzo nero che ha reso celebre il loro fasciante tubino, ritorna immediatamente al pensiero quando si pronuncia la parola dentelle.

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PIZZI E MERLETTI. “DIETRO UNA FINESTRA DI RINGHIERA”

 

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Quegli arabeschi che ricordavano l’estro creativo di artigiani capaci di lavorare la ceramica, il legno e la creta. 
In fondo si trattava di rendere quel filo, simile ad una scultura, applicando di certo una paziente maestria, che quelle donne sapevano realizzare attraverso il ripetere di gesti uguali, come se cantassero una nenia di cui conoscevano a memoria le parole.
Quei rufoli realizzati, punto dopo punto, in un’armoniosa alternanza di pieni e vuoti, rendevano preziose le tovaglie e le vesti.

Le mani nervose, dentro i cortili, hanno intrecciato per secoli quel filo semplice e innocuo che attraverso giri e acrobazie tesseva miracolosamente arabeschi da applicare alle stoffe e renderle così leggiadre.

Trine e pizzi spesso simili a pietra lavica che raffreddandosi hanno trattenuto a sé l’aria azzurra e il profumo delle ginestre.

Gli abiti di Marras trasudano eccentricità e ruotano intorno a stratificazioni e incrostazioni di tessuti e ricami che, raccontando la storia travagliata della propria terra, in un succedersi di contaminazioni e culture, la rendono simile a roccia sedimentaria.

Ancora in Sicilia si lavorano i merletti e il compito è affidato alle donne più anziane, che si trovano chine sui piccoli e tondi telai. 
Nei pomeriggi d’estate, i cortili delle case antiche diventano le loro dimore preferite al riparo dalla calura estiva. Da “dietro una finestra di ringhiera”, come canta Battiato in “Mal d’Africa”, fino alle grandi multinazionali del lusso, il passaggio è breve: gli stilemi del passato si attualizzano per cedere il posto a versioni più contemporanee.

Fluido, magmatico e indimenticabile, come il fuoco che fuoriesce dall’Etna, lo scorrere delle modelle (alla fine della sfilata fall/winter 2013-2014) che trattengono sui loro corpi l’arroganza di lava incandescente sulla quale jais e strass brillano come lapilli. I lavori di esperte ricamatrici incantano anche la stilista milanese Luisa Beccaria, che ereditata dal marito, nobile Bonaccorsi di Reburdone, quell’attitude prettamente siciliana, realizza abiti neo-romantici in stile preraffaellita, in sangallo e macramè, ma anche gonne a ruota con tramezzi in pizzo.

Rigonfi di crinoline, gli evening gown in taffettà sono vere opere d’arte rinascimentali, leggeri e trasparenti sanno come mettere in risalto lavorazioni laboriose e merletti in filigrana.

Ad Alghero, ancora, nella Sardegna di Antonio Marras i merletti sono un caposaldo della cultura isolana. Nella cifra stilistica del designer c’è stato e probabilmente ci sarà sempre posto per tombolo, filet di Bosa, ricami e altre manualità che fanno parte del baluardo tipico dell’artigianato sardo.

Se per molto tempo si è tentato di dare leggerezza agli abiti, di renderli così impalpabili come cristalli di zucchero attraverso pizzi e merletti, non si può dimenticare che quell’effetto è il risultato di un lavoro sapiente e minuzioso, che nasconde al suo interno idee e geometrie di chi riesce a creare con molto poco nuvole di siffatta bellezza.

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