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“Storta va deritta vene”… La Fortuna di Valeria Parrella di Giuditta Casale – Numero 25 Luglio Agosto 2022 Ed. Maurizio Conte

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“Storta va deritta vene”… La Fortuna di Valeria Parrella

 

intervista a valeria parrella

 

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Non credo si debbano leggere i classici. Ognuno deve leggersi ciò che vuole. Però se hai la fortuna di trovarti davanti i classici, quelli poi entrano, permeano tutto e dopo interpreti la realtà alla luce loro. 

 

Si è conclusa così la chiacchierata con Valeria Parrella sul nuovo libro La Fortuna, pubblicato da Feltrinelli.


La storia del giovane Lucio, rampollo di una nota ed agiata famiglia campana, destinato ad una luminosa carriera senatoriale, in contrasto con i desideri più profondi del suo sé: andare per mare, prendendo il largo. Lucio nasce durante una scossa di terremoto, la più forte mai sentita delle tante che non facevano più paura tanto erano considerate normali. Il giorno che rischiò di annegare, scoprendo finalmente di essere cieco da un occhio, fu quello in cui capì che l’unica Parca con cui voleva avere a che fare delle tre che tessono la nascita, la vita e la morte di ciascuno, è quella di mezzo:   

 

Ma a me interessava avere a che fare con la Parca di mezzo, quella che tesseva per mio conto il filo. E c’è stato un momento in cui io ho capito che non la si poteva lasciar fare e che bisognava adoperarsi.   

 

Per questo atteggiamento attivo e propositivo, Lucio realizzerà il suo desiderio di navigare, e si troverà sulla nave dell’ammiraglio Plinio il Vecchio, durante l’eruzione del Vesuvio del 79 d.C. da dove guarderà la sua città Pompei e i dintorni annichilirsi sotto un fenomeno che appare inspiegabile. 

Il titolo La Fortuna introduce il legame vibrante e perspicace che Valeria Parrella sa creare tra il mondo classico, di cui Lucio il protagonista del nuovo romanzo è un rappresentante, e noi posteri che abbiamo ridotto il termine fortuna ad un significato più scarno e meno essenziale

 

Cos’è la Fortuna per Lucio, e cos’è per Valeria Parrella? – ho chiesto alla scrittrice.


Per me è quello che è per Lucio. Gli ho regalato la voglia di essere elastici nei confronti del destino, di vedere come va, assumendo sull’occorrenza fortuna la traduzione napoletana del modo di dire “Storta va deritta vene”, va in un modo e torna in un altro.


Per Lucio la Fortuna è una dea, che gli regalerà un bacio se tutto va bene. E lui più che le imprese, vuole il bacio, perché è un ragazzino. 

 

A me, però, più che la questione delle imprese, che certo doveva avere una sua importanza nella vita degli adulti, mi interessava quel bacio. Quel bacio effimero, dato a mille e mille ancora, quel bacio adultero, senza possibilità per me, piccolo uomo, di resistere ad una dea che di notte entrava dalla finestra, proprio quella che Ascla si curava di chiudere bene d’inverno e di velare appena d’estate. Mi chiedevo: “Saprò riconoscerla quando verrà? Saprò tenerla con me? Saprò farla felice?”. 

 

Erano domande stupide perché la Fortuna è felice di suo e non ha certo bisogno del contributo di un uomo per goderne, piuttosto noi uomini siamo un mezzo affinché lei possa manifestarsi. Facciamo o non facciamo, siamo o non siamo: è lei che sceglie, entra dalla finestrella che la nutrice o lo schiavo o la moglie o il prefetto del comparto presso cui rendi servizio si sono premurati di sprangare, e ti fa ridere. 

 

Una risata dentro cui esplodono tutte le promesse.

 

Comunque io la Fortuna la aspettavo e, se non mi addormentavo prima, me ne uscivo veloce dal letto e le andavo ad allentare, quelle imposte.

 

Ognuno di noi dentro di sé sa cosa vuole, sempre, anche quando si professa disorientato. Ma quando si è molto giovani le possibilità della vita si partono da noi come raggi da una stella: sono tutti ugualmente splendenti, e per me quel bacio significava che uno di quei raggi sarebbe stato mio.

 

E infatti La Fortuna è anche un romanzo sul desiderio di essere sé stessi, di afferrare quel raggio che dalle stelle raggiunge ciascuno per essere fatto proprio. De sidera, dalle stelle appunto.

 

Sorprende solo fino ad un certo punto la capacità di Valeria Parrella di raccontare l’adolescenza e le mutevoli forme con cui si rapprende nell’animo umano per far sbocciare la persona che saremo. L’aveva già fatto con Almarina, il romanzo pubblicato con Einaudi nel 2019, finalista nella Cinquina del Premio Strega e che per me è il libro vincitore dell’edizione, anche senza affidare alla giovane Almarina la prima persona come a Lucio. Di Lucio seguiamo la parabola che lo porta definitivamente a crescere, davanti allo spettacolo orrido di una Natura che ruggisce la sua potenza, attraverso un prodigio mai visto e che cambierà il mondo quale Lucio lo ha fino a quel momento conosciuto, dentro e fuori di sé. L’eruzione del vulcano, vista da un punto strategico qual è il mare, richiederà a Lucio di non farsi annichilire dalla paura, ma di attraversarla, come un rito di passaggio dalla giovinezza alla vita adulta.

 

C’era la statua d’oro di Iside a cui mi ero votato. Perduto quello: tutto sarebbe stato perduto. Così mi sono poggiato all’albero con quel gesto per cui i marinai mi chiamano matto: che appoggio l’orecchio ai nodi del legno e chiudo gli occhi. La nave, come sempre, mi ha parlato, e io ho riferito al nocchiere: 

 

“Seguiamo la corrente”. 

 

Poi ho avvisato l’ammiraglia, l’ho fatto di persona perché temo che la paura degli altri mi inganni come Nerone temeva il cibo e il vino.

 

“Del resto la Fortuna aiuta chi le si affida,” mi ha risposto Plinio, e siamo andati, la corrente ci portava verso Stabia.

 

… e poi Plinio scende dalla nave, e con l’autorità e la preveggenza dei Maestri intima a Lucio di rimanere a bordo, come se il rimanere fosse l’eredità ed il lascito del maestro.

Chi è Plinio per Lucio? E chi omaggia Valeria Parrella dietro la figura dell’intellettuale latino?


Omaggio i miei maestri: Ermanno Rea, che è stato il mio maestro politico e dello sguardo su Napoli, ma anche i maestri viventi. Per riportare un aneddoto che ho già raccontato, a un certo punto ero incerta se fosse per me un azzardo un romanzo come La Fortuna, e ho chiesto aiuto a Domenico Starnone, che mi legge. Il suo responso fu: meglio rischiare, che ripetersi. Starnone è stato la prima persona che ha letto il romanzo e per me è un riferimento. Ma soprattutto io penso che i ragazzi hanno sempre bisogno di riferimenti. Penso che sia un nostro dovere: se possiamo, prenderci cura dei ragazzi. Nel romanzo non ho inserito solo Plinio, ma anche Marziale. Sono figure che riconoscono in Lucio qualcosa. Se non altro una volontà. Plinio, poi, per Lucio è una possibilità buffa. A Napoli è facile studiare Plinio, come ho fatto per disegnarlo nel romanzo: trovi la piccola biblioteca universitaria che fa la mini-mostra su Plinio, vai lì e la bibliotecaria sa tutto, e si è letta tutte le quattrocentine. Da lei scopri che Plinio nella sua epoca come scienziato non era molto considerato. Naturalis historia è un’opera curiosa perché Plinio inserisce storie di ogni tipo. È un’opera molto polposa, ma poco attendibile scientificamente. Plinio, ad esempio, credeva ai draghi. Quindi era considerato un fanfarone. Anche come navarca non era credibile, perché lui per mare non stava mai. È una figura buffa. Ma Lucio vedendo che Plinio grazie agli studi costanti che lo caratterizzano è riuscito a fare quello che lui stesso vorrebbe, arguisce che vale la pena studiare, perché lo studio da qualche parte lo porterà.  
 

 

Lo aveva già fatto con Tempo di imparare: innestare il mondo classico nell’introspezione e nelle reazioni emotive della protagonista. In La Fortuna Valeria Parrella capovolge le carte: è l’introspezione dei personaggi che si innesta nel mondo classico, in un momento catastrofico di quella stessa civiltà che miracolosamente ha lasciato un’impronta indelebile.

 

Perché sei voluta tornare – parlo di ritorno vista la tua formazione classica – a quel funesto 79 d.C?

 

È vero, ho invertito le carte. Secondo me è una questione linguistica, in base alla quale cambia la situazione. Poi, però, alla fine il punto è sempre lo stesso: i classici sono dappertutto e bisogna solo scovarli. Non solo, i classici sono sempre con noi. Pompei è un esempio di questo essere sempre con noi. Ci sono tornata dopo la pandemia e mi è sembrato chiaro. Era vuota, e quando sono entrata, l’ufficio stampa ha affermato: “Non vedo l’ora di rivederla vivere”. Questa frase mi è sembrata incredibile per una città in cui erano morti tutti. La cosa più bella che mi ha detto un lettore – un lettore campano – è stata che dopo aver letto questo libro, per la prima volta ha pensato di portare un fiore quando tornerà a Ercolano e Pompei, perché non ci aveva mai pensato che lì erano morte delle persone. Perché dico che è il commento più bello? Perché vuol dire che li ho fatti vivere.   

 

I classici sono dappertutto, e la gratitudine per Valeria Parrella che lo mostra in ogni romanzo, ma in La Fortuna un po’ di più, è immensa.

 

Se in pieno isolamento con Quel tipo di donna (Harper Collins Italia) ci aveva permesso di viaggiare quando non si poteva. Con La Fortuna, davanti all’eruzione del Vesuvio, all’incredulità che prende Lucio dinnanzi da uno spettacolo di inaudita ed inedita potenza, Valeria Parrella scandaglia l’attualità con una forza che solo la Letteratura possiede

 

C’è anche la pandemia in La Fortuna? Facendo ri-vivere la città di Pompei, ricordandoci i suoi morti e la sua distruzione, è il modo di Valeria Parrella di raccontare “a parole sue” ciò che ha sommerso il mondo nel XXI secolo?

 

La pandemia, certo, ma non soltanto quella. Ci sta la guerra, una ciclicità di cataclismi naturali, 40 gradi a maggio. Ci sono tante cose che c’entrano con l’inspiegabile o con lo spiegabile, che quando ci arrivi però sei in ritardo. Quando Lucio si trova a metà dell’eruzione, dal mare, si accorge che a terra sta succedendo qualcosa. Vede che la nube fa ricadere detriti dietro di loro, verso Napoli. Loro stanno in mezzo a due fronti e non capiscono che cosa succede. Allora Plinio scende a terra e loro pensano che sia finita. Ma si sbagliavano, perché dopo arriverà la lava, arriverà il maremoto, arriverà tutto.   

 

Era facile identificare Valeria Parrella con le protagoniste dei romanzi precedenti, pur sapendo che non bisogna mai confondere autrice e voce narrante, ed ancora di meno autrice e protagonista del romanzo.

 

Essere donna nei suoi romanzi ha sempre giocato un ruolo importante e ha dato spessore alla sua voce. Non perché esista una letteratura di genere, maschile o femminile, lungi da me pensarlo e ancor meno affermarlo, ma perché ha dato voce alle donne, finalmente, con profonda autenticità. Lucio è un protagonista più sfuggente rispetto alle precedenti. Sarà per l’età scivolosa della giovinezza in cui l’incontriamo; sarà per quel suo limite visivo che nel romanzo è trasformato in un talento; sarà per la sua relazione incostante con Aulo; sarà per il suo desiderio di prendere il largo, mentre le protagoniste dei precedenti romanzi sono radicate nelle situazioni e nei momenti.

Eppure in un video per la casa editrice Feltrinelli Valeria Parrella afferma che non c’è libro più autobiografico di La Fortuna.

 

In cosa Lucio ti appartiene o il senso autobiografico a cui fai riferimento va cercato altrove?

 

Io in questo libro sono tutti. Sono Lucio. Sono Aulo, in certe relazioni che ha con Lucio. Tranne Plinio il Vecchio, direi che sono tutti personaggi. Mi piacerebbe essere Marziale… Ecco non sono l’imperatore e non sono Plinio. Ma tutti gli altri li posso ben capire. Sono una parte di tutto. Questo è bello, di quando si scrive un romanzo come La Fortuna. Il prossimo lo scrivo direttamente in terza persona. Mi sto staccando. E questo è vitale per me. Io sentivo che se non cambiavo, artisticamente morivo e quindi ho cambiato.

 

 

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