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MUSICHE E STORIA DI AUTORI LUCANI di Pietro Dell’Aquila – Numero 20 – Marzo-Aprile 2021 – Ed. Maurizio Conte

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MUSICHE E STORIA DI AUTORI LUCANI

 

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Così, per quanto riguarda la Basilicata, possiamo ricordare i rilievi di Diego Carpitella che, al seguito della spedizione di Ernesto De Martino, registra dalla viva voce degli ultimi cantori le testimonianze sonore di una cultura popolare ricca ed antica.

L’attività musicale lucana affonda le sue radici in un imprecisato passato 

di cui resta il segno nelle melodie delle arpi viggianesi risalenti agli inizi 

del Settecento. E dobbiamo agli artisti di strada, emigrati che portarono 

in giro prima per l’Europa e poi negli USA un repertorio di novene 

e canti natalizi originali, la diffusione della nostra musica popolare.

A questi ignoti musicanti e ai loro compagni suonatori d’organetto ha ridato vita in tempi recenti Ambrogio Sparagna, autore di numerose pubblicazioni relative alla tradizione musicale. Non meno importante l’esperienza di Antonio Infantino (1944-2018) che dal 1966 ha recuperato canzoni e musiche popolari riproducendole in versioni attualizzate dal suo notevole estro artistico. La sua scomparsa ha comunque lasciato una scia di allievi che va dai “Tarantolati di Tricarico” a Pietro Cirillo.

 

La posizione geografica del territorio lucano, posta a metà strada 

tra le capitali meridionali, Napoli e Bari, ne ha da sempre condizionato 

i gusti e le ricadute culturali.

 

Pertanto nell’ambito della tradizione musicale classica, fino agli inizi degli anni Novanta, se si esclude l’esperienza del venosino principe Carlo Gesualdo (1560-1614), famoso in ambito internazionale per la sua intensa attività di madrigalista, che interpretò con audacia stilistica utilizzando nuovi cromatismi e modulazioni sonore, i musicisti lucani erano di fatto rimasti nell’ombra. Si deve al maestro Luigi Pentasuglia, docente di musicologia del Conservatorio di Matera la riscoperta e la riproposizione di spartiti e musiche degli autori lucani dal Cinquecento al Novecento.

 

Nel travagliato passaggio dai canoni della musica strumentale polifonica 

di stile franco-fiammingo del ‘500 alle nuove sonorità barocche partecipano 

gli autori lucani: Gregorio Strozzi, Marc’Antonio Mazzone e Giovanni Trabaci.

Le forme poetico-musicali del madrigale trovano variegate assimilazioni nelle canzoni a quattro voci, dette “madrigaletti”, del Mazzone che da Miglionico raggiunse prima Napoli e poi Venezia dove pubblicò gli spartiti delle sue composizioni dedicate al Cavaliero Napolitano Antonio Grisano, nel 1568 e al Duca di Mantova, nel 1570. 

All’affinamento delle tecniche espressive sugli organi, sui cembali e sui clavicembali si dedicò Gregorio Strozzi, nativo di San Severino Lucano, in provincia di Potenza, che fu organista della Chiesa dell’Annunziata di Napoli e insegnante di canto.

 

Più affine all’estetica gesualdina, si rivela Giovanni Maria Trabaci (1575-1647 circa) nato a Irsina e morto a Napoli. Fu celebre organista e direttore della cappella reale di Napoli. Pubblicò raccolte di mottetti, messe e musiche profane. La sua produzione più significativa, tuttavia, resta la musica per organo e cembalo raccolta nei volumi “Ricercate, canzone francese, capricci a quattro voci” del 1603 e il “Secondo libro de ricercate et altri vari capricci” del 1615 di notevole complessità contrappuntistica.   

 

La maggiore produzione musicale, ritrovata e pubblicata in due supplementi al Bollettino della Biblioteca Provinciale di Matera nel 1993, riguarda le “Sei Sonate a Tre op.1” a cura di Angelo Pompilio e i “Minuetti e Contradanze” a cura di Luigi Pentasuglia del musicista materano Egidio Romualdo Duni (1708-1775).   

 

L’edizione, che si avvale di una preziosa presentazione di Giovanni Caserta che

 

inserisce l’attività della famiglia Duni nel complesso quadro della società materana dell’epoca, al bivio tra i resti di una cultura clerico-nobiliare 

e le insorgenti pulsioni illuministiche,

propone gli spartiti di un fine artista che nelle sue peregrinazioni francesi e inglesi è costretto, per motivi di sopravvivenza, a impartire lezioni di musica alle nuove leve di studenti borghesi (presumibilmente giovani gentildonne) alle prime armi nell’approccio agli strumenti musicali.   

 

Di origine familiare piuttosto modesta, Egidio Romualdo Duni fu avviato agli studi ecclesiastici insieme ai suoi fratelli. Naturalmente non gli mancò una robusta istruzione musicale. Tra i suoi fratelli, sacerdoti e musicisti, si distinsero prima Giacinto e poi Saverio ed Emanuele per la loro attitudine filosofica e giuridica sebbene d’impianto e stampo naturalistico.

 

Egidio, a soli nove anni, fu mandato a Napoli per studiare musica,

 

prima al Conservatorio di Santa Maria di Loreto e poi a quello della Pietà dei Turchini e, quindi, a quello dei Poveri di Gesù Cristo, da dove uscì Maestro di Cappella dopo aver avuto maestri del calibro di Pergolesi e Traetta. A solo ventiquattro anni musicò la sua prima opera (Artaserse) cui seguirono diverse altre (Baiarte, Nerone, Adriano in Siria, Demofoonte, Catone in Utica) con i versi di Pietro Metastasio. Seguirono numerosi spostamenti che lo portarono a Roma, Milano, Londra, Leida, Vienna e Firenze, componendo opere di musica sacra e alcuni oratori.

 

Intorno al 1789 approda a Parma, alla corte di Filippo di Borbone, dove s’imbatte 

con l’opera tragica e comica francese rappresentata da Carlo Simone Favart 

e Luigi Anseaume e soprattutto fa la conoscenza di Carlo Goldoni che avrà 

profonda influenza sulla sua successiva produzione artistica.  

A registrare l’incontro a Colorno, dove si erano recati entrambi per motivi di salute, è lo stesso commediografo veneziano nelle sue “Memorie” ritraendo Duni oltre che come musicista anche come uomo d’ingegno, di brio e di conoscenze letterarie.

 

Tra il 1756 e il 1757 Egidio Duni arriva a Parigi, patria e magnete degli artisti 

e degli intellettuali dell’epoca, dove sarà raggiunto da Goldoni e conoscerà 

Diderot e Gian Giacomo Rousseau.

 

In Francia il musicista materano rimarrà fino alla sua morte. Quivi musicherà numerosi testi tra i quali “La figlia malvista”, “La campanella”, “L’isola dei pazzi” e “Gli zoccoli” che furono molto apprezzati dal pubblico e dalla critica francese.   

 

In tempi più recenti hanno operato: Michele Carafa principe di Colobraro (Napoli 1787-Parigi 1872), Francesco Stabile (Miglionico 1801-Potenza 1860), Vincenzo Ferroni (Tramutola 1858 – Milano 1934), il tursitano Carmelo Antonio Bruno (1938-2016), Otello Calbi (San Mauro Forte 1917- Roma 1994) e l’irsinese Giuseppe Mascolo (1927-1974).

 

Del principe Carafa si sono occupati Luigi Pentasuglia ed Ernesto Pulignano pubblicando gli spartiti della “Collezione di Cavatine Italiane per canto e pianoforte” nel 1996 nel Supplemento al Bollettino della Biblioteca Provinciale di Matera.


L’alto lignaggio consentì al Carafa di muoversi con disinvoltura nell’ambiente parigino entrando nell’orbita di Cherubini e Rossini con canti e melodie originali ed eleganti, orchestrate con cura, e destinate più che ai teatri ai salotti della buona società parigina.   

 

Francesco Stabile, figlio di un latifondista potentino, dopo gli studi giovanili napoletani presso la prestigiosa scuola dello Zingarelli e nonostante il successo della sua prima composizione operistica (Palmira), preferì ritirarsi a Potenza sia per curare gli affari di famiglia dopo la morte dei genitori che per sfuggire alle contrapposizioni feroci coi colleghi del capoluogo campano tra cui, forse, anche il Bellini.

Le composizioni musicali del Carafa e dello Stabile, comunque, non si discostano dalla tipica tecnica costruttiva delle musiche in esecuzione presso il Conservatorio 

di Musica napoletano, caratterizzate da una limpida e ripetitiva grazia armonica.


La vicenda artistica di Vincenzo Ferroni si svolge prima a Parigi, dove completa gli studi con Massenet, e poi a Milano tra composizioni prima di stile wagneriano e poi di tipo nazionalistico. La sua composizione più celebre resta la “Fantasia Eolica” del 1916 che sembra preludere alle arie espressionistiche. 

Docente di armonia complementare presso il Conservatorio materano, Carmelo Antonio Bruno, allievo del maestro Nino Rota, nei suoi “Tre movimenti per pianoforte a quattro mani” del 1991 ripropone con originalità ritmi melodici minimalisti di straordinaria forza espressiva. Il compositore e critico musicale Otello Calbi, maestro presso il Conservatorio di Napoli, ha dedicato prevalentemente il proprio impegno alla produzione musicale per chitarra. Vanno ricordate le sue composizioni “C’era una volta” del 1976 e il “Canone per due chitarre” del 1881 che superano le classiche tipologie “segoviane” per iscriversi in una nuova letteratura chitarristica. 

Quasi a omaggiare un genere di musica che da sempre cerca di coniugare il genere classico con il gusto folclorico e popolare ricordiamo, in chiusura, il maestro Giuseppe Mascolo che ha composto meritoriamente arie per Bande da Giro tra cui il “Fascino esotico” del 1954.

 

Gran parte dei brani citati sono stati registrati e pubblicati in tre Compact Disk 

dal Gruppo Musicale “Ensemble Gabrieli”, purtroppo in edizione limitata 

e ormai di difficile reperimento.

 

Concerti si sono tenuti, oltre che presso il Conservatorio di Matera, al Ramapo College e all’Indian Trail Club nel New Jersey (USA) nonché nella prestigiosa sede dell’”Église de Saint Eustache” a Parigi rispettivamente nell’ottobre e dicembre 1997.

 

All’interno dei processi di omologazione e globalizzazione in atto, le identità culturali si vanno progressivamente sgretolando nonostante la sete di passato che ormai, paradossalmente, ci appare come l’unico futuro possibile. Pertanto sono significative tutte le ricerche e i tentativi di recupero e valorizzazione dei tratti distintivi delle tradizioni regionali che pure hanno trovato spazio a partire dagli anni Cinquanta.

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