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A NAPOLI LA MAGIA DELLA MUSICA di Stefania Conti – Numero 12 – Ottobre 2018

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A napoli la MAGIA DELLA MUSICA

 

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Un posto dove i suoni si accavallano, ma non è mai cacofonia. Entrare qui è come entrare in un mondo avvolto nella magia.

La magia della musica. Si chiama S. Pietro a Majella, è l’antico conservatorio. Ma non solo: è un museo, un archivio, un insieme unico al mondo per varietà e preziosità di strumenti musicali, partiture, quadri, testimonianze.

Complessivamente cinque secoli di formazione musicale, nello scorrere
dei quali 
si è formato un numero elevatissimo di eccellenti compositori 

che portarono lo stile napoletano nelle corti di tutta Europa.


Tanto che lo scrittore e politico francese Brosses nel 1739 definisce la città partenopea, la capitale mondiale della musica. In effetti lo era. Mozart venne ad ascoltare il compositore napoletano Jommelli e l’ex direttrice del conservatorio, Elsa Evangelista, ci racconta di una lettera del grande musicista al padre, in cui gli dice che un concerto a Napoli vale dieci concerti in Austria. Ma qui sono passati anche Wagner e Donizetti, Mercadante, Bellini, Verdi. E tanti tanti altri. Per i nostri giorni, un nome su tutti: Riccardo Muti, allievo di S. Pietro a Majella che gli ha dedicato una sala, da lui stesso inaugurata.

 

La storia di questo conservatorio vale la pena di essere raccontata. La scuola in quanto tale nasce nel 1808, ma tutto comincia nel 1500, come dimostra un antico documento custodito nell’archivio.

 

A Napoli esistevano allora quattro orfanatrofi nei quali si era cominciato a insegnare catechismo e canto. Piano piano il canto diventa più importante

 

perché i pii istituti scoprono che gli orfanelli con una bella voce sono sempre più richiesti per i cori nelle chiese e nelle ricorrenze religiose e poi, con il passare del tempo, anche nelle feste dei nobili. Era diventato di gran moda esibire queste voci bianche nei salotti. Naturalmente gli orfanotrofi si facevano pagare per queste prestazioni. E la parte musicale diventa preponderante, trasformando così i brefotrofi in conservatori. Non solo conservatori. Masina Boccia, dirigente dell’archivio, ci spiega che erano vere e proprie aziende musicali, ricchissime perché gestivano un patrimonio immenso grazie a lasciti e testamenti, come si usava fare con le opere di beneficienza.

 

I prelati erano precisi e ordinati, scrivevano e catalogavano tutto, e ci hanno lasciato un patrimonio di documenti attraverso il quale è possibile ricostruire
la storia dell’insegnamento musicale dal ‘600 ad oggi.

 

E anche questa è una particolarità di S. Pietro a Majella. Infatti non c’è studioso, ricercatore o semplice appassionato che qui non abbia trovato cibo per la sua anima. I quattro brefotrofi nell’800 borbonico vengono unificati e si comincia anche a conservare gli strumenti più importanti o appartenuti ai grandi compositori. Nasce così un museo, piccolo, ma ricchissimo. C’è, per esempio, l’arpetta di Stradivari – noto per i suoi sublimi violini – un pezzo unico al mondo. C’è il fortepiano di Cimarosa, un prezioso calamaio di Scarlatti, una mandola della prima metà del XVIII secolo. C’è il cembalo donato dalla zarina Caterina seconda di Russia a Paisiello, un musicista di scuola napoletana amatissimo all’estero. Questo cembalo, oltre ad avere un valore storico, è particolare perché da un lato è strumento musicale, dal lato opposto – aprendo una specie di coperchio – diventa una sorta di scrittoio.   

 

Può bastare? No, perché qui ci sono anche le partiture originali dei grandi della musica:

studenti e docenti avevano l’obbligo di lasciare le loro composizioni presso la scuola. Stiamo parlando di Paisiello che è stato il primo direttore, 

Pergolesi, Donizetti, Cimarosa, Mercadante.

 

Per il gusto degli appassionati segnaliamo che sono conservati anche gli autografi di questi grandi, ritratti e alcune foto degli alunni eccellenti e non, di ieri e di oggi. Tracce di uno straordinario passato, messaggi per uno straordinario presente.

 

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