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ADORNO FILOSOFO DA SIRACUSA A FIRENZE di Aurora Adorno – Numero 16 – Febbraio 2020

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ADORNO  FILOSOFO    DA SIRACUSA A FIRENZE 

 

dalla ricorrenza della morte di mio nonno Francesco Adorno, nato nel ‘21 nella bella Siracusa da sua madre Laura e dal padre Corrado Adorno Avolio, 

erede di un’antica e nobile famiglia, e morto a Firenze il 19 settembre del 2010, dopo pochi mesi dall’aver “dato le dimissioni da tutto ciò che era”, come lui stesso mi disse, con quegli occhi tanto intensi quanto azzurri, da far invidia al cielo.  

 

Quattro mesi dopo, Luciana Bigazzi, sua preziosa moglie, segue l’adorato marito, sua ragione di vita, lasciando nella nostra famiglia un vuoto significativo al quale, forse inconsciamente, ho cercato di dare un senso con la stesura di un libro

 

Francesco Adorno. Un filosofo a Firenze –

 

in cui la mancanza delle nostre chiacchierate, dell’intreccio delle nostre scoperte, dello scambio di pensieri e di stimoli, mi ha spinta a ricercare un dialogo interiore con la mia cara nonna, dando vita alla voce narrante di una biografia, o raccolta di memorie, comunque la si voglia chiamare.  

 

La ricerca della saggezza, della verità intesa non solo come insieme accademico di conoscenze, ma come un valore totale al quale tutti dovremmo aspirare, è il leitmotiv di quella mia piccola opera, ed è anche l’eredità che Luciana e Francesco ci hanno lasciato: saper pensare con la propria testa, rimettere sempre tutto in discussione e saper criticare gli eventi storicamente.  

 

Ho usato i vocaboli che essi usavano, liberato i loro pensieri da minuscoli blocchetti di appunti dalle pagine sbiadite dal tempo,

indagato sulla loro sofferenza, sulla gioia e sul dolore di un amore 

che nasce durante la seconda guerra mondiale,

 

sboccia e diviene un legame unico, speciale, nella cornice di una città d’arte come Firenze, colpita dalle bombe prima, infangata dall’alluvione poi, i ricordi intrisi di un’infanzia vissuta a Siracusa dove Francesco Adorno nasce e si forma come pensatore.  

 

Francesco e Luciana proseguono con forza la loro vita.

Dopo i primi anni passati a Siracusa, dalla quale egli viene significativamente 

colpito e che lascerà in lui un forte fermento creativo, 

Francesco si laurea in un bunker nel ‘44


e negli anni a venire diviene professore, pensatore e scrittore, oltre che il direttore della “Colombaria” (Accademia Toscana di Scienze e Lettere di Firenze) per molti anni. Le lettere e le poesie raccolte nel libro fanno luce sulla sensibilità e la ricerca interiore di quest’uomo che per suo stesso dire custodiva in sé due facce: quella del “poeta” (sul quale la terra d’origine aveva avuto un forte richiamo), sensibile ed esteta, e quella del “freddo pensatore”.  

 

In tutta la sua vita egli ricerca un equilibrio tra queste due differenti facce di una stessa medaglia, nata forse la seconda per proteggere la prima. 

Un carattere duro con chi non lo conosceva abbastanza, quella fede cieca nelle regole e le contraddizioni di un giovane dalle idee marxiste, che ostentava però le sue nobili origini, i dogi a Genova e le forti radici siciliane di cui egli si ricordava sempre e di cui incarnava i colori e i profumi, il carattere fiero.  

 

Dalle rovine greche, il Tempio di Apollo, il Teatro greco che amava ricordare, era nata la passione per quell’antica civiltà costellata da grandi pensatori e da divinità e miti che hanno contribuito a costruire il nostro e il suo pensiero.

Ed ogni volta che in quella terra baciata dal sole egli faceva ritorno, 

ogni volta giunto a Villa San Giovanni egli la vedeva comparire all’orizzonte 

ed esclamava contento come un bambino che ha fatto ritorno a casa: 

“L’isola, l’isola!”. 


Allungava il braccio, la indicava con l’indice e Siracusa gli sorrideva baciata dal sole e dal profumo degli aranci, così poi alla fine della stagione egli la salutava con quel velo di malinconia negli occhi di chi lascia la propria terra e non sa quando vi farà ritorno. 

Ma egli non è solo in questo suo percorso, ha vicino a sé una donna magnifica nella sua semplicità, dotata di spiccata intelligenza e di una genuina saggezza che completano il giovane pensatore. Luciana è stata gli occhi di Francesco quando i suoi non funzionavano più, le sue gambe quando quelle del marito non rispondevano ai comandi del cervello, correggendo lei stessa le bozze, il braccio proteso sempre pronto a sostenerlo quando lui smarrito in “quel mondo delle idee” a lui tanto caro, inciampava e cadeva.  

 

Nonostante le malattie e la fragilità fisica, egli, grazie ad una grande forza d’animo e di carattere tipica delle sue antiche radici sicule, riesce a studiare andando oltre:

si occupa di tradurre le opere dei grandi filosofi greci, quelli che nella sua infanzia 

ha potuto ammirare attraverso i resti custoditi nella bella Sicilia,


si interroga sulla condizione dell’uomo, sul saper pensare e criticare storicamente, sull’ethos e la politeia, prendendo a modello la maieutica di Socrate ed educando, dal verbo educere, cioè tirando fuori dai suoi studenti la loro verità, in quel fare tipico della maieutica socratica che ormai aveva fatta sua. 

Non gli interessava, come lui stesso diceva sempre, “la lezioncina imparata a memoria”, ma il poter constatare nei suoi studenti una capacità dialettica, la sveltezza nel ragionamento.

“Ognuno deve pensare con la propria testa” è uno dei moniti 

che egli ci ha lasciato in eredità 


insieme a quella sete di sapere e di conoscenza di noi stessi e delle cose tutte che hanno segnato la sua vita e quella delle persone a lui vicine.  

 

Nelle lettere degli anni della guerra, nei diari e nelle riflessioni troviamo sin dagli scritti giovanili una struggente propensione verso il mettersi e rimettersi in discussione sempre, ogni giorno, in un continuo divenire.

 

L’incontro e scontro con l’adorata moglie Luciana si combatteva sul campo della ragione:

l’intelligenza colta, raffinata ed esteta di Francesco trovava il suo completamento 

nella mente saggia e brillante della moglie che spesso e volentieri 

lo spronava a ragionare in maniera più semplice e concreta.


In questo rispecchiarsi l’uno nell’altra, nel crescere insieme da quel primo sguardo tra i banchi di un corso di dattilografia, attraverso le lettere scambiate tra il filosofo innamorato e la sua amata durante il tempo di guerra, seguendo i fiumi dell’alluvione fino ad arrivare alla vecchiaia ed infine alla morte, insieme, sempre.  

 

A Luciana ho dedicato il libro, a quella donna riservata ma schietta, dagli occhi color nocciola che sempre lasciavano intravedere la verità, a una giovane donna che voleva lavorare, ma alla quale non è stato concesso, poiché ai tempi “non stava bene”, e che per cercare lo scopo di tutta la sua vita si dedica al marito e al volontariato. 

Non è solo la spalla del lavoro mentale e di studioso del marito, ma ne è lo stimolante artefice, arrivando lei dove lui non arrivava e viceversa, correggendo e rileggendo insieme ogni parola, verso per verso, opera per opera. 

Lasciamoci ispirare dalle grandi biografie di uomini che mossi da alti ideali hanno fatto la storia della nostra cultura, dall’amore vero che arriva là dove ogni uomo da solo non riesce ad arrivare: oltre la vita e la morte, oltre il dolore e la sofferenza.

Francesco Adorno ha apportato il suo significativo contributo
come promotore e organizzatore di cultura: 


negli anni ‘50 ha collaborato con la Nazione, con il Museo e Istituto Fiorentino di Preistoria, con l’Ente Cassa di Risparmio, la Società Toscana per la Storia del Risorgimento, ha diretto il Dipartimento di Filosofia d’Ateneo, l’Accademia delle Arti del Disegno e, oltre che a Firenze, ha dato il suo contributo all’Unione Accademica Nazionale e all’Istituto per il Lessico Intellettuale Europeo, portando la sua competenza nei centri di cultura internazionali.  

 

Tra le tante opere e traduzioni, ricordiamo il celebre manuale di storia della filosofia redatto con Tullio Gregory e Valerio Verra per la casa editrice Laterza nel 1973, sul quale tanti di noi si sono formati durante gli anni del liceo e dell’università

Conoscere la vita dei grandi uomini significa conoscere le origini del pensiero 

di questa nostra bella Italia, 


significa guardare per le strade e saper immaginare una cartolina in bianco e in nero con le immagini del passato, quel passato che ci ha resi così come siamo divenuti e al quale dovremmo ogni tanto fermarci a guardare, prendendo esempio e spunto da chi, durante tutta la sua vita, si è occupato del significato delle cose e si è interrogato sul perché ed il percome di questa grande avventura chiamata esistenza.  

 

 

 

 

 

  

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