1

LA COSTITUZIONE MANCATA A NAPOLI di Cesare Imbriani – Numero 3 – Gennaio 2016

cat-storia
cat-cultura
Cesare-Imbriani
Stato-Napoletano

Avrei potuto, anzi forse dovuto titolare le poche cose che dirò: “i Borbone e le Costituzioni mancate” o, meglio, “i Borbone e le occasioni mancate”, riferendomi così ai vari problemi di politica interna e internazionale, un insieme di nodi irrisolti o mal gestiti la cui somma si è riflessa alla fine nel dissolvimento del Regno delle due Sicilie. Basti ricordare la “questione dello zolfo”, che vide coinvolte con differenti ruoli le due maggiori potenze dell’epoca, Inghilterra e Francia, oppure la necessità della riconquista della Sicilia manu militari da parte di un sovrano della dinastia restato nel dire comune (dopo il bombardamento della città di Messina) con l’appellativo di Re Bomba, o ancora le mancate risposte ad una laicizzazione costituzionale in una Europa che era una polveriera di richieste di rappresentatività democratica.
Ho scelto invece di riferirmi alla Costituzione Napoletana del 1820/21 per tre ordini di motivi:
1- Perché, nei fatti, ritengo che, insieme ai noti problemi interni del Regno delle Due Sicilie (legati essenzialmente al mancato costituzionalismo ed anche ai problemi della annessione in una logica di stato unitario del Regno di Sicilia), la fine dello

 

LA COSTITUZIONE MANCATA
A NAPOLI

simbolo1

In definitiva si può ritenere che il 1820/21, per dirla con un termine molto usato in economia, rappresenti una sorta di benchmark interpretativo. In tale periodo re Ferdinando, stretto dai suoi rapporti con l’Austria per la attuazione ed il rispetto degli impegni derivanti dal Congresso di Vienna, ma anche da quelli della restaurazione del Regno fece esporre il figlio Principe vicario Francesco che, quale suo mandatario, promulgò una Costituzione sul modello di quella spagnola di Cadice.

Ciò però si realizza in un quadro di costanti e mancate risposte istituzionali e politiche da parte dei Borbone alle problematiche interne specie al costituzionalismo, di cui quello del 1820/21 fu una occasione a mio avviso stoltamente mancata, perché avrebbe consentito alla Casa regnante di collocarsi dal lato giusto della storia.
2- Certo, e siamo al secondo motivo, anche (per alcuni, soprattutto)

l’ottuso rifiuto di una effettiva modernizzazione istituzionale – dopo il periodo rivoluzionario del 1789 e quello murattiano dell’inizio del secolo – ebbe un ruolo fondamentale e favorì nel momento della dissoluzione del Regno

davanti alla avanzata delle truppe garibaldine (in palese violazione del diritto internazionale) un comportamento di non interventismo, un benign neglect all’incontrario, delle varie potenze: tale atteggiamento riguardò oltre a Francia e Gran Bretagna (come poteva essere prevedibile), persino l’Austria, frenata nel suo intervento anche dalle superiori capacità della flotta inglese. La Prussia era invece distante, ancora in crescita ed alla ricerca di un consolidamento di ruolo in Europa; la Spagna era ormai troppo debole e poco ascoltata nel contesto dell’equilibrio dei poteri. Solo la Russia cercò di intervenire diplomaticamente davanti all’evidente sopruso militare e politico che veniva perpetrato, anche in ricordo dell’atteggiamento a lei favorevole del Regno delle Due Sicilie in occasione della Guerra di Crimea, quando di contro il Piemonte le si era schierato contro con Francia e Gran Bretagna; ma ciò non bastò.
3- Ecco, quindi, e siamo al terzo motivo, l’importanza politica della vicenda del 1820/21 e della

Costituzione

(concessa dopo moti insurrezionali di matrice carbonara che coinvolsero guarnigioni nella zona di Nola – gli ufficiali Morelli e Silvati, il prete Minichini – e poi in Irpinia), la quale

avrebbe collocato il Regno napoletano dal lato delle monarchie costituzionali, prima di tutte nell’Italia Continentale.

Per il vero, una prima Costituzione sulla falsariga di quella inglese fu concessa dai Borbone alla Sicilia nel 1812,quando la parte continentale del loro Regno era sotto il dominio francese nella persona di Murat. Tale costituzione viene quindi correttamente ricordata come l’assetto costituzionale italiano che anticipò il normale decorso di democratizzazione già implicito nelle dinamiche risorgimentali; purtroppo la Sicilia, nell’ambito delle sue continue vicende indipendentiste, quando si concretizzò una Costituzione ispirata da Lord Bentinck, la vide dismessa nel successivo accorpamento unitario del Regno di Borbone. Ed è ben noto che la mancata risoluzione, almeno in termini federali, della questione siciliana fu un altro fondamentale motivo di debolezza del Regno napoletano.

all’inizio del 1821, Re Ferdinando l si recò a Lubiana, al Congresso convocato con fini di Restaurazione dopo i moti insurrezionali di quel periodo; promise solennemente nel partire da Napoli, che avrebbe difeso e giustificato la Costituzione nel consesso delle altre nazioni.

Era una Costituzione con evidenti limiti istituzionali, ma rappresentò un’occasione importante perché era determinata in un clima sicuramente lealista rispetto all’istituto monarchico. Gli stessi deputati dell’epoca, tra cui Giuseppe Poerio, padre del più noto Carlo (storicamente conosciuto, perché alcuni anni dopo divenne un simbolo internazionale della repressione delle libertà attuate dai Borbone) erano per la massima parte fedeli all’istituto monarchico, seppur recependo le abbondanti tracce dell’illuminismo locale.
In ciò Napoli dopo le esperienze rivoluzionarie del 1799 e l’epoca murattiana, piena di cambiamenti ideali e strutturali, si era sempre differenziata idealmente e culturalmente dall’altra “capitale agognata”, Palermo, dove invece il riconoscimento del Regno passava attraverso un complicato gioco di richieste di rappresentatività politica e gestionale, al fine di ripristinare autonomie statuali, che configgevano con l’atteggiamento fortemente unitario, da un punto di vista politico ed economico, dei Borbone.
Ma i patti sottoscritti non furono rispettati:

la Costituzione del 1820, seppure nei suoi limiti, era la cosa giusta al posto giusto, nel momento giusto, da un lato, per allentare la sudditanza verso l’Impero Austro-ungarico (che a sua volta si dissolse nel 1918,cioè meno di sessanta anni dopo il Regno delle due Sicilie); dall’altro, per far divenire lo Stato napoletano un Attore rispettato ed autorevole del processo di unità nazionale, che all’ epoca perseguiva anche vie federaliste;

Viceversa, la sua richiesta di intervento giustificò una spedizione di truppe austriache, che attraversò la penisola e si scontrò con l’esercito napoletano guidato dal generale Guglielmo Pepe nei pressi di Rieti e poi alle gole di Antrodoco.
La sconfitta dell’esercito costituzionale comportò il ripristino di un regime di monarchia assoluta nel Regno delle due Sicilie; le dolorose esecuzioni di vari rivoltosi, seppur leali ad un istituto monarchico costituzionale, la diaspora dei Deputati del primo Parlamento napoletano ed il pagamento per molti anni del corpo di spedizione austriaco (una sorta di beffardo tutoraggio, come ancora oggi si vede nel contesto delle relazioni internazionali) furono i dolorosi residui di una vicenda che peserà negli anni a venire, sconnettendo la intellighenzia risorgimentale del Sud dai destini dei Borbone. Per inciso, il generale Pepe lo ritroviamo nel 1848 a difendere Venezia per poi morire nel 1855 esule a Torino.
Insomma,

tutto ciò avveniva ben prima che il Piemonte si impossessasse di quel ruolo che ci condusse all’unità nazionale.

cat-sud