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LE COLONNE DELLA VITA di Giovanna Mulas – Numero 3 – Gennaio 2016

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LE COLONNE DELLA VITA

 

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ogni costituente si fonde in un’amabile armonia capace di sopravvivere alle sfide di un progresso che può essere rappresentato da quel turismo di massa oramai divenuto, come dichiara Maurice Aymard, una “invasione pacifica ma non innocente”: in nome di una veloce ricreazione è capace di annientare i fragili equilibri delle società esistenti, considerando il nostro meridione una ricreazione, un gioco, non una realtà da conoscere e nella quale perdersi.
O ritrovarsi.

Se è vero che siamo ciò che siamo stati, la storia, questo remoto crocevia culturale, non è altro che una incessante serie di interrogazioni rivolte al passato in nome dei problemi e delle curiosità di un presente che ci circonda e chiude. Questo è finalmente da assimilare, o saremmo foglie che non sanno di appartenere allo stesso albero.
In realtà tutto aderisce alla natura originaria, nonostante gli uomini pare che non abbiano mai assorbito nulla dalla storia, né agito in base ai principi da essa edotti:

Eppure è indispensabile, per l’Uomo, cominciare a comprendere che il temuto dolore non serve a togliere merito e dignità, ma a maturare, ad abbracciare quell’Attorno che è rappresentazione del Templio che è la nostra interiorità.

Ma la comprensione o meglio, l’accettazione della sofferenza, avviene se non ci distrugge, se non annienta lo spirito quindi il rispetto per le cose semplici, indispensabili. Per dirla alla Pessoa: Ci sono navi dirette verso molti porti, ma nessuna verso dove la vita non è dolore. 
Pare impossibile uscirne per quanti ne attraversano, a piedi nudi, il sentiero; ma passa, passerà: si farà più sopportabile. Occorre lasciare che scorra il tempo, Colui che tutto sana. Pare impossibile uscirne per quanti ne attraversano, a piedi nudi, il sentiero; ma passa, passerà: si farà più sopportabile. Occorre lasciare che scorra il tempo, Colui che tutto sana. 
Pensiamo alle Colonne d’Ercole, ritenute l’accesso verso un nuovo mondo, sorveglianti della rotta per luoghi sacri, simbolo di crescita, illuminazione mentale e spirituale dopo la prova, necessaria ad ogni uomo, del dolore. Secondo Platone, la perduta Atlantide era situata oltre le Colonne d’Ercole, nel regno dell’Ignoto, per Bacon, tra le colonne corre il sentiero che porta verso il superamento delle incertezza terrene, al perfetto ordine dell’Uomo Nuovo. 
“La città degli eletti filosofici si staglia dalla vetta più alta delle montagne della Terra, e qui gli dèi degli sapienti se ne stanno insieme in una felicità eterna”.

Dunque dopo e solo dopo, appare la visione del mondo oltre ogni diversità e cultura: solo questa può e potrà cristallizzare un dato tipo umano al fine di donare all’intera Comunità.

Come scrive Luigi M. Lombardi Satriani: “…Assistiamo a sempre più intensi processi di carnevalizzazione della vita, che marcano nettamente la nostra temperie culturale e politica. Quanto più clownesca la sfera pubblica, tanto più carnevalizzata la vita sociale. Tant’è. Così appare il mondo che ci è dato vivere”.

Durante la fase di evoluzione l’Uomo soffre – perché rinnegare quella sensibilità che ci appartiene come e per Natura? – ma non teme: guarda dall’esterno il suo dolore.

La tradizione rinascimentale riporta che i pilastri recavano l’avvertimento “Nec plus ultra” (anche “non plus ultra” “nulla più in là”), che serviva da ammonimento per i navigatori a non proseguire oltre. “Lasciate ogni speranza o voi ch’entrate”, ovvero Porta del Buio?. Si ribaltino immagine e pensiero; la Porta del Buio non diviene, forse, Porta della Conoscenza? Buio per la Luce dunque e ancora, disillusione o patimento, comunque attraversamento della propria parte inconscia, quindi rifiutata e temuta ché sconosciuta. L’idea di morte non genera forse immotivato timore dovuto alla comune ignoranza del dopo, se dopo esiste?. Anche qui la superbia umana ha il sopravvento sul raziocinio: voler necessariamente credere a un dopo è ritenere di essere degni di un dopo.

I pilastri si fanno metafora di equilibrio tra due forze opposte, “Stabilità” e “Forza”i due opposti di cui è costituita la natura umana. Sono espressioni attive e passive dell’energia divina, bene e male, il sole e la luna, luce e oscurità.

E’ in questi attimi del navigare l’Esistere che è bello incontrare un legame forte, più forte Di e Tra tutti Noi: 
e qui vedo l’Uovo, espressione figurata dell’embrione primigenio da cui sarebbe scaturita la vita, è ciclo che arriva al sangue e lo continua, dove la terra si ferma. 
Quando la foschia dell’illusione sfuma si apprende, ad esempio, a smascherare l’inutile abbaiare di un altro, a sgonfiarlo di ogni presunzione come farebbe lo spillo sul palloncino ché gonfio, tronfio come è, non riesce più ad accogliere niente altro che non sia la propria boria, e simulazione.
A volte il coraggio di svilire, spezzare il falso e l’apparenza, non rappresentano incoscienza o amore del pericolo quanto capacità di distinguere cosa è ‘male’ per un uomo o per l’intera Comunità, e cosa non lo è. Per dirla alla Seneca, il coraggioso custodisce la propria tutela e nello stesso tempo patisce con risolutezza gli eventi che hanno l’ipocrita apparenza di mali.

Nella ‘Forza’ sarà ‘Stabilità’ la mia dimora.

(Da ‘Riflessioni, Pensieri’)

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