I VITIGNI DI VICO DEL GARGANO di Nello Biscotti – Numero 2 – Ottobre 2015

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Chi scrive è un botanico, e operando nel Gargano mi sono ovviamente imbattuto anche sui vitigni. Il territorio si rivelava in tal senso uno straordinario campo di ricerche, poiché si conservavano fino a qualche decennio addietro vecchie vigne, “veri fossili biologici”, fatte con quei vitigni “storici”, testimoni dell’antica tradizione viticola del Promontorio. Tra queste “vecchie vigne” vi era anche quella ereditata da mio padre, ridotta ormai a qualche decina di are, e con ceppi ormai di 50/70/100 anni. Cominciai a conoscerli, studiarli, per capire le loro storie, anche umane a cui erano legati.

 

I VITIGNI DI VICO DEL GARGANO

 

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in realtà si trattava della “vite selvatica”, l’unico taxon aborigeno della famiglia Vitaceae di una estesa regione floristica che va dal Mediterraneo al Mar Caspio

Fatto emozionante è stato ritrovare qualche anno addietro un vecchio ceppo di Uva della Macchia, probabilmente di 200 anni, nello stesso luogo indicato dal nonno.

Ho bussato infinite porte istituzionali (Comune, Parco, Provincia, Università) ma nessun interesse per lunghi anni a partire dal 1998. Disponendo di una piccola cantina che era di mio padre, mi sono cimentato personalmente in questa scommessa. Il risultato? Un vino in bottiglia, appena 500/700 bottiglie. Il vino, rosso, elevato in acciaio, denominato MACCHIATELLO di Mastrocianni, è un esperimento di vinificare, con un approccio scientifico, un uvaggio caratteristico, antico, del territorio: circa il 60% fatto da 4 vitigni storici (l’Uva della Macchia, Nardobello, Uva nera tosta, Malvagia nera); il rimanente 40% da 22 vitigni diversi, tutti con la caratteristica di essere particolarmente aromatici. Una testimonianza di un numero, che non sapremo mai, di vitigni storicamente coltivati sul Promontorio del Gargano, un crocevia di flore, uomini con i loro semi, le loro piante.

la collezione è oggi partner del progetto “biodiversità” (Regione Puglia) che mira a conoscere, salvaguardare e recuperare quanto rimane (con notevole ritardo) della storica diversità di specie e cultivar agrarie. L’unica collezione di vitigni storici del Gargano.

A Vico del Gargano era consuetudine fare vigne a prevalenza di ceppi antichi di Malvasie nere, e soprattutto, con il vitigno localmente individuato come Uva della Macchia, capace di vegetare ottimamente anche sulla spiaggia. Mio padre, mio nonno raccontavano che era stato trovato spontaneo (prima metà dell’800), in una contrada denominata “Macchia” (Torrente Macchia, tra Peschici e Vieste), di qui il nome del vino.

Indagini dello scrivente (Ente Parco del Gargano, 1998), hanno portato all’individuazione di ben 66 biotipi tra cultivar, accessioni, ecotipi (Biscotti, Biondi, 2008; Biscotti et al., 2010); di recente indagini volte alla tipicizzazione su base morfologica e genotipica del germoplasma, di 10 dei 25 vitigni esaminati, sono stati già riconosciuti come genotipi (Progetto Ager, Biscotti, et al., 2013; V Convegno Nazionale di Viticoltura tenutosi a Foggia, maggio 2014)

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Un caso di spontaneizzazione dunque che poteva dimostrare l’ultra secolare presenza della vite sul Gargano. In un documento, un poemetto (Elegia), De Vico Garganico (1607, 432 versi, distici elegiaci), di recente portato alla luce, l’autore, Carlo Pinto, salernitano, vescovo di Cuma, ci descrive uno scenario agricolo di Vico del Gargano di grande interesse per la storia della vite sul Gargano. Scrive in proposito: “Qui ove volgi lo sguardo trovi viti: in questi territori va errando Bacco”; e il vino, già conosciuto come Vicanum è “tantae bonitatis, ut laudatissime Vicanum nominetur”. La produzione stessa doveva essere rilevante se aggiunge che “di questo nettare puoi caricar mille navi che solcano il mare”. I casi di spontaneizzazione da noi rinvenuti sono numerosi: vecchi ceppi a margini di coltivi, qualcuno in boschi, che un tempo erano vigne, di cui non sappiamo assolutamente niente se non grappoli bianchi, neri, rossi, tutti da studiare. Spontaneizzazioni da una parte, ma d’altra anche casi di inselvatichimento di forme coltivate; è stata questa la prima interpretazione di diversi ceppi rinvenuti lungo solchi vallivi, margini di torrenti; ci sbagliavamo,

(articolo in corso di stampa su Informatore Botanico Italiano, SBI); da questa vite (Vitis vinifera subsp. silvestris) siamo partiti per creare quella infinità di vitigni o di uve coltivate che esistono oggi in tutto il mondo. Le conoscenze in Italia sulla sua eco-geografia e la struttura genetica sono ancora non del tutto definite; si ha intanto un primo quadro sulla sua attuale distribuzione: un totale di 161 siti e con appena 814 individui, generalmente concentrati nella parte centro-meridionale della penisola; nel Gargano ne abbiamo rivenuto fino ad oggi almeno 35 individui. Questa un’altra storia da ricostruire e scrivere poiché alcuni ceppi, secolari, autentici monumenti botanici della specie, sono stati rinvenuti all’interno di una secolare faggeta (faggio e vite possono dire molto in termini di paleoclimi, o di paesaggi vegetali antichi). Tutte queste storie ruotano intorno alla mia piccola vigna, ciò che restava di un grande vigneto di oltre 1,5 ettari ancora produttivo negli anni 70 del 900, costituita per il 50% di Uva della Macchia, e per il restante in primo luogo di ceppi antichi di Malvasie bianche e nere, e poi Sommariello nero, rosso, Bell’Italia, Pudicin tener, Uva nera tosta, Nardobello, Chiapparone, Moscatiddone bianco, Moscatiddone nero, Dundurino, Moscato Saraceno e tanti altri ancora di cui si è perso ogni traccia di memoria storica. L’unica strada da percorrere per “salvare” qualcosa era quella di moltiplicare in ogni modo, questi vitigni. Con il fratello nel 1999 realizziamo una piccola collezione di questi vitigni e fare un vino, il Macchiatello, era l’unica strada per salvare questi testimoni di storie umane, di valori storici, scientifici: “Si raccolgono le cose per il vivere dei mortali, e fra l’altre buoni vini vermigli” (Leandro Alberti, 1561). “I vini poi vi sono dovunque non meno per copia che per bontà mirabili, rossi per lo più e di media forza, ma sinceri nella sostanza sicché, senz’alcun condimento, durano fino al terzo anno e anche molto di più” (Andrea Bacci, De Naturali vinorum historia). Prospero Rendella in Tractatus de vinea, vindemmia et vino, (1603) parla dei vini di Rodi, Vico e Vieste, e Monte. La vigna è una realtà diffusa per tutto il ‘700.

Nel 1768 si documenta che “nel Monte Gargano si hanno vini preziosi delle terre di Rodi Peschici, San Giovanni, Monte, Vico e Cagnano” (Giuliani 1768).

La vigna si pianta ovunque per tutto l’800. “Nel contado di tutti comuni del Gargano si pianta la vigna e sollecitamente dà il suo frutto pieno di liguore pregevolissimo…. ma i vini migliori per robustezza, durata, trasporto e abbondanza insieme son quei che si hanno da Viesti, Vico, Ischitella, Sannicandro e San Giovanni R.” (Della Martora 1823); “Abbondano le Comuni di Viesti, Vico, Ischitella, San Giovanni Rotondo, San Nicandro confermerà qualche anno dopo Giuseppe Libetta – di ottimi vini”. 
Raccontando (febbraio 2004) questa mia storiella in una e-mail al grande Luigi Veronelli, qualche anno prima di morire, mi rispose dopo appena un quarto d’ora e mi volle incontrare per assaggiare il mio Macchiatello. La soddisfazione fu tanta che il Macchiatello si meritò di essere inserito come “attenzione” immediatamente nella rinomata Guida (I vini di Veronelli) con un apprezzamento scritto dallo stesso Veronelli: “Ho assaggiato il Macchiatello a base di Uva della Macchia; segna albo lapillo i vino mantici. Se riesci a trovarlo bevilo” (Vini Veronelli, 2005). Le particolarità? Tanti aromi e profumi, aspetti così rari sui quali è disperatamente impegnata la ricerca enologica.

Il vino intanto migliorava in ogni annata; impariamo a farlo, con l’ausilio di qualche ricercatore (Francesco Soleti) e soprattutto con ripetute analisi di uve e vino.

Poi mi cominciano a cercare: assaggiatori, enologi, “esperti”. Com’è il Macchiatello? Molti di dicono “particolare”, qualche altro aggiunge: “ci fa ricordare certe viti selvatiche franche di piede”; tutti concludono: “Un prodotto sicuramente originale”. A maggio del 2011 mi fece visita Pierce Carson, giornalista, cercatore di tipicità italiane, il quale mi dedicò un articolo su Napa valley, nota rivista on line americana e, dopo aver assaggiato qualche bottiglia, scrisse: “Aaaah, but the 2008, what a wine. It had lovely floral notes, perhaps violets, even spring wildflowers. There was oodles of fruit … I tasted mulberries and cherries with succeeding sips. A rich wine. They were pleased with my delight. But before we stole away into the darkened lanes of Vico, the Biscottis had one final surprise”. L’estate dello stesso anno la mia piccola cantina fu invasa da diversi statunitensi, pronti a comprare tutta la mia piccola produzione, che rimane per scelta e per necessità piccola. Hanno frequentato la cantina anche molti francesi e tutti sorpresi di questo “vino italiano”. Le analisi bio-chimiche, ripetute per diversi anni, caratterizzano un vino (tecnologie artigianali) con una sorprendente quantità di polifenoli totali (2500 mg/l). Nel settembre 2014 ci raggiunge Bruno Gambacorta che ci dedica un servizio mandato in onda nella sua rubrica Eat Parade del gusto; tante telefonate, tante richieste di acquisti, ma il Macchiatelo non può essere qualcosa di più di una testimonianza. Intanto un altro passo avanti:

Una storia comune come tante? chissà quanti altri vitigni locali meritano queste attenzioni! Parliamo di risorse attraverso le quali si possono ricostruire piccole economie locali come quella di diversi comuni del Gargano: in un modello di economia integrata (agricoltura, turismo, ecc.), anche la viticoltura, ovviamente di qualità (storia, cultura, sapori non omologati) può occupare un posto rilevante. Del resto vite e vino possono raccontare meglio di ogni altra cosa storia, archeologia, botanica; la storia della vite e del vino è trasversale alla stessa storia umana e il Gargano, i suoi vitigni, possono dire qualcosa anche in questo senso.

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