LA “MIRABILE PISCINA” DI MISENO: SCOPERTA E RI­SCOPERTA di Lorenzo Salazar – Numero 4 – Aprile 2016

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Nel corso della visita, la simpatica guida­accompagnatrice introduce un prevedibile parallelo tra il monumento davanti ai nostri occhi e la Cisterna Basilica di Istanbul, fatta costruire da Giustiniano nel VI secolo, che, soprattutto dopo il pregevole restauro completato nel 1987, costituisce una delle principali attrattive della città sul Corno d’oro. 
“E perché non la Piscina Mirabilis di Miseno…?” mi trovo quasi istintivamente a chiederle, suscitando un po’ di curiosità tra gli altri visitatori e la pronta risposta della nostra accompagnatrice, che ben conosce l’altro monumento cui avevo appena fatto riferimento. La ragione è purtroppo assai semplice: la Cisterna di Istanbul è infatti mondialmente conosciuta e riconoscibile e non c’è visita della città che non includa una visita al monumento romano; visita che è peraltro perfettamente organizzata previo pagamento di una somma null’affatto indifferente per gli standard turchi (l’equivalente di quasi una decina di euro).

La Piscina Mirabilis, invece, pur trovandosi a Bacoli, a pochi chilometri di distanza da Napoli, rimane un segreto ben celato all’attenzione del grande pubblico.

Alimentata dall’acquedotto augusteo, che da circa 100 km di distanza portava l’acqua del Serino verso Napoli e sino ai Campi Flegrei, la “mirabile” cisterna era destinata ad approvvigionare la flotta creata da Augusto intono al 27 a.C., la Classis Misenensis (o Classis Praetoria Misenensis Pia Vindex), la più importante dell’Impero, destinata alla sorveglianza dell’intero Mediterraneo occidentale. Gli oltre 12.000 metri cubi d’acqua erano racchiusi in un impressionante involucro scavato nel tufo (72 metri di lunghezza, 25 di larghezza e 15 di altezza), sostenuto da 48 pilastri che formano cinque lunghe navate e danno vita ad uno splendido effetto prospettico. Una più piccola piscina interna, chiamata “limaria”, ricavata sul fondo della cisterna, svolgeva funzione di vasca di decantazione al fine di consentire la sua periodica manutenzione.

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LA “MIRABILE PISCINA” DI MISENO: SCOPERTA E RI­SCOPERTA

 

Lorenzo-Salazar

Da bambino ed adolescente trascorsi a Capo Miseno lunghe, e mai dimenticate, “villeggiature” (si chiamavano così), per lo più nella bella villa situata a mezza costa del Capo ed oggi trasformata in albergo di lusso; vacanze e villa le cui immagini sono probabilmente rese, oggi, ancora più belle dalla mediazione del ricordo infantile. Ero ospite degli zii, che mi insegnarono l’amore per il mare attraverso mille avventure vissute a bordo di un piccolo gozzo con il quale quotidianamente si affrontava la traversata del canale di Procida. Quel breve braccio di mare di poche miglia mi sembrava racchiudere mille sfide rischiose, per lo più legate alle onde sollevate dai traghetti, che a dozzine lo attraversano, o ai bidoni degli allevamenti di mitili fuori il porticciolo di Capo Miseno, assai insidiosi in caso di rientro notturno o con il mare agitato. Tutto avveniva, senza che ne fossi allora pienamente consapevole, nel mezzo di alcuni dei luoghi più suggestivi e carichi di storia dell’intero Mediterraneo. 
Dopo le molte incursioni compiute nel corso di quegli anni, oramai lontani, ho voluto tornare, in compagnia degli stessi cari zii di allora, a visitare la “Piscina mirabile”, sola tra noi a non recare su di sé visibili segni del tempo trascorso. 
Nulla è apparentemente cambiato: lo stesso dedalo di viuzze prive di indicazioni da percorrere dentro Bacoli, in una gimcana tra vetture parcheggiate disordinatamente ed oscenità edilizie, per poi ritrovarsi quasi d’improvviso ad un angolo di strada nel quale costringere la macchina in un parcheggio spontaneo, come la vegetazione circostante; di fronte un cancello chiuso, contornato da un muro romano, allora servito ad apprendermi la distinzione tra opus reticolatum e opus latericium. L’apertura del sito avviene, come allora, ad opera di una gentile signora avanti nell’età, che solo il ricordo falsato dal tempo può indurmi a riconoscere come la stessa, già allora anziana persona, che veniva ad aprirci quasi 50 anni prima. Appare sul luogo, ora come allora, a seguito di una telefonata.

Benché si tratti, anche in questo caso, di un complesso idrico destinato a svolgere funzioni di cisterna per una adiacente villa romana, l’imprinting adolescenziale, complici probabilmente la compiacente versione fornita dell’adorabile zia e la conformazione del luogo (un susseguirsi di stretti cunicoli scavati nel tufo con canalizzazioni laterali), lo aveva ai miei occhi trasformato in una sorta di lugubre prigione per gli schiavi in attesa di essere imbarcati sulle galere romane, tutti legati alla stessa enorme catena che avrebbe dovuto percorrere, da una “camerella” all’altra, l’intero cunicolo laterale. 
Bellezze straordinarie e nascoste, assai più che dalle ingiurie del tempo, dalle indicibili brutture di una edilizia incontrollata e disordinata, comune peraltro a buona parte dell’Italia meridionale. Monumenti che in altri Paesi sarebbero circondati da attenzioni e pubblicità, rimangono invece offuscati dall’immondizia, dall’abusivismo, dai clacson onnipresenti che impediscono di godere appieno la loro bellezza. Eppure, proprio in questi contrasti stridenti e in questa generale situazione di abbandono riposa forse una parte del fascino dei luoghi, che risorge intatto quando ci si ritrova a tu per tu con gli stessi, senza l’intermediazione di guide, percorsi obbligati, o al seguito di frotte di turisti intruppati.

Nessun biglietto di ingresso e solo all’eventuale, non sollecitato, impulso di generosità e riconoscenza del raro visitatore è tuttora affidata l’eventuale ricompensa per l’aver dischiuso una delle più affascinanti vestigia romane della regione.

A poca distanza dalla “Piscina Mirabilis”, si trova il complesso di “cento camerelle” (o “Centum Cellae”), anche conosciuto sotto il nome de “Le prigioni di Nerone”, altra madeleine della infanzia misenese.

In solitaria compagnia del genius loci, si scoprono luoghi che “misteriosi” erano già quando vennero edificati e che tali hanno avuto la fortuna di restare sino ai nostri giorni;

come se le successive brutture create e sviluppatesi intorno avessero avuto l’effetto indiretto di racchiudere, come in un bozzolo, la bellezza che andavano circondando, così finalmente preservandola dall’invasione delle masse. 
Sembra che, dopo anni di colpevole inerzia ed abbandono, la zona archeologica dei Campi Flegrei possa conoscere in un prossimo futuro rinnovata cura ed attenzione sotto la guida del nuovo responsabile del Parco archeologico. Per ora, il rilancio a breve termine sembra piuttosto affidato ad un bando di concorso pubblico (scadenza 16 aprile 2016) per scegliere la futura bandiera “che meglio rappresenterà l’identità dei Campi flegrei”. Vi è da augurarsi che questo sia solo l’inizio di un processo che, nelle intenzioni degli organizzatori ­ forse ignari della mole di oneri che una tale iniziativa comporterebbe, in particolare sotto il profilo della effettiva tutela urbanistica ed ambientale dei luoghi sottoposti a protezione e recupero -­ dovrebbe portare addirittura a proporre la candidatura della terra flegrea a Patrimonio universale dell’umanità da inserire nella lista dell’Unesco. 
Visitando il sito della Sovrintendenza per i beni archeologici di Napoli, ed arrivando, non senza qualche difficoltà, alla sezione dedicata alla “Mirabile Piscina”, si può leggere un burocratico annunzio “Visitabile feriali e festivi tranne il lunedì, previa richiesta all’assuntore di custodia, Sig.ra …, tel. 333…”. Nulla sembra essere, anche in questo caso, mutato rispetto ai ricordi della mia giovinezza; nulla se non il fatto che il numero da chiamare è ora quello di un telefono cellulare…

 

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