ANTONELLO DA MESSINA VERSUS HIERONYMUS BOSCH di Enrico Malizia – Numero 6 – Ottobre 2016

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ANTONELLo da messina versus hieronymus bosch 

 

soprannome di Antonio di Giovanni de Antonio, nato a Messina nel 1430 e ivi morto nel 1479, è il più grande pittore del Mezzogiorno d’Italia non solo del 1400 ma, secondo me, di tutti i tempi.

La sua arte riesce a fondere ed equilibrare la luce, l’atmosfera e la meticolosità dei dettagli, propri della pittura fiamminga, alla costruzione prospettica degli spazi, desunta essenzialmente da Piero della Francesca e Guido d’Arezzo, nonché alla maestosità delle figure e dello scenario, assimilato da Giovanni Bellini.
La sua profonda conoscenza dell’arte fiamminga risale al 1450, quando lavorava da apprendista a Napoli nella bottega del pittore Colantonio, ove ebbe modo di conoscere molti maestri fiamminghi (oltre agli spagnoli e ai provenzali), che lavoravano in quella metropoli, specie nella corte angioina prima e aragonese poi; inoltre, nei palazzi reali e della nobiltà ha potuto ammirare capolavori di quelle scuole. Dallo studio attento di quei Maestri, particolarmente di Petrus Christus, Hans Memling, Jan van Eyck e Jean Fouquet, apprese a dipingere su tavola, ad usare (uno dei primi in Italia) la tecnica a olio e la loro costruzione della ritrattistica.
La tecnica a olio, consentendo di stendere trasparenze di colore in successione, ottiene effetti di luce, luminosità, morbidezza e precisione che non si possono realizzare con la pittura a tempera.
La scuola fiamminga non orienta i ritratti di profilo (come la nostra pittura), ma di tre quarti, il che consente di effettuare una profonda analisi fisica e psicologica dell’effigiato. Rispetto ai Maestri fiamminghi che lo avevano preceduto e di quelli a lui contemporanei,

 

 

Professore, il suo è un nome internazionalmente noto nel campo della medicina, come mai ha scritto un poderoso libro su un pittore, per di più fiammingo?

Fin dai primi anni di scuola ho avuto una grande passione per le discipline umanistiche, che ho coltivato leggendo, viaggiando molto e trascrivendo le osservazioni, le meditazioni e i pensieri su carta, con il risultato che ho pubblicato trentaquattro volumi oltre a un gran numero di articoli. 
Bosch, come spiego dettagliatamente nell’introduzione, mi ha abbagliato dal 1966. Ho visto tutti i suoi dipinti e molti disegni, e ho ricercato sul posto tutti i documenti reperibili, approfittando di essere stato consulente della Comunità Europea per circa due anni e di essere stato insignito della laurea honoris causa per i risultati delle ricerche scientifiche mediche.

Professore si sente totalmente italiano o parzialmente contaminato da altre nazionalità?

Mi sento profondamente italiano, lucano da parte di padre e romano di madre. Non posso però dimenticare di essere cittadino europeo e di tutto il mondo. La bellezza, la cultura e la verità sono universali. Il Presidente Ciampi mi ha insignito della medaglia d’oro cui tengo di più tra le tre ricevute: “Benemerito della Scienza, della Cultura e dell’Educazione”. La mia nascita mi colloca prevalentemente nel meridione della Penisola, al quale ho sempre riconosciuto grandi qualità che un regno sempre arretrato rispetto al resto dell’Italia non ha consentito di far sbocciare come merita e come dimostrano le eccellenze fiorite nel Sud, come Antonello da Messina, oggetto del mio ultimo saggio. Dopo l’Unità di Italia, specie con l’istaurazione della Repubblica, si sono fatti grandi passi avanti rispetto alla storia precedente. Sono certo che in futuro si riusciranno a integrare le due parti dello Stivale, anche se il processo sarà lungo e complesso, soprattutto perché non favorito dalla legislazione delle regioni e delle province.

 

Professore, ci parli adesso del suo volume e perché ha scelto Antonello da Messina come eccellenza da confrontare con Bosch.

Si tratta di un volume alla II edizione dopo 7 mesi dalla prima, di 532 pagine, di cui 138 illustrazioni a tutta pagina, 99 di esse a colori: un’introduzione, ventidue capitoli, un commento descrittivo, note al testo e catalogo delle opere. Bibliografia, una nuova prefazione del Prof. Strinati e una nuova presentazione del Prof. Massari. Ho esposto tutte le notizie storicamente documentate e le ho fuse con quelle da me intuite sulla base dei dipinti, della storiografia della sua città natale Hertogenbosch delle Fiandre e di tutta Europa dal 1450 al 1516. Ho scritto in prima persona, come se fossi il pittore, e al presente storico. Ho espresso tutta la narrazione sotto forma di vivaci dialoghi che rispecchiano il pensiero dei suoi tempi di transizione tra Medioevo e Rinascimento, affidandomi a vari personaggi, in primis a Erasmo da Rotterdam, che aveva studiato nella sua stessa scuola e di cui, come desunto dalle rispettive opere, condivideva molti argomenti, quali la follia, il libero arbitrio, la critica alla decadenza morale, specie del clero, e il rigetto del riformismo delle sette. Ho acquisito notizie complete sull’albero genealogico che mi hanno consentito di farlo dialogare con tutti i suoi familiari. Ho ritenuto che nella genesi delle incredibili visioni giocasse oltre a una fantasia eccezionale l’uso delle droghe vegetali dette delle streghe, di cui ho riportato ricette e meccanismo di azione. Infine ho descritto nel capitolo X un compendio di alchimia, nel capitolo XII di magia e stregoneria, desunto dai resoconti di processi inquisitori per queste pratiche; di simbolismo poi ho parlato in tutto il volume, come dei proverbi fiamminghi.
Per quanto riguarda la scelta di Antonello da Messina per un confronto con Bosch, questa non è stata motivata dai contenuti visionari che nelle opere del pittore siciliano non compaiono, ma dall’aria di mistero e dalla costruzione delle figure e dallo stile, che in Antonello non si limita all’arte fiamminga, ma la fonde con rara abilità alla prospettica spaziale della scuola italiana, come del resto ho spiegato nel saggio.

 

Grazie professore

 

Antonello dedica minore attenzione al dettaglio, privilegiando la caratterizzazione psicologica e umana, come avverrà nelle opere di Bosch, esprimendo all’esterno – specie nel volto – quello che avviene nell’intimo.

Lo schema compositivo fiammingo del ritratto, in cui Antonello rifulge, è caratterizzato come segue. L’effige è immersa sempre in uno sfondo scuro per farla risaltare maggiormente. II busto viene tagliato sotto le spalle, la testa girata verso destra, gli occhi guardano direttamente lo spettatore, cercando di ottenere un contatto psichico con lui, la luce illumina il lato destro del volto, lasciando il sinistro in un’ombra misterica, proprio come quella che avvolge le figure boschiane. Di Antonello si ammirano svariati splendidi ritratti, eseguiti con quest’archetipo; da notare che dopo “L’uomo di Cefalù” (1460) il Maestro aggiunge, come i fiamminghi, una balaustra in basso, su cui appoggia un cartiglio che riporta firma e data, tipico elemento fiammingo.

Nel 1460 Antonello da Messina dipinge la Crocefissione detta di Sebiu (si trova nel Museo d’Arte di Bucarest), molto interessante sia perché consente di confrontare la tecnica italica con quella fiamminga, non ancora fuse tra loro, sia per comparazione con opere analoghe di Bosch.

Il dipinto, come individua il Longhi, va diviso in due parti: l’inferiore, di netta concezione fiamminga, è priva di profondità spaziale, ma splende di colore, di espressività delle figure e di meticolosità nei dettagli (v. Crocefissioni e immagini del Golgota in H. Bosch di E. Malizia (1) tav. 4A, 5B, 19, 40, 61). La parte superiore, di chiara concezione italica, mostra una perfetta costruzione dello spazio e dei volumi, ponendo le croci alle quali sono infissi i due ladroni, in posizione ortogonale rispetto a quella del Cristo. La discrepanza stilistica tra le due parti fa ritenere, come pensa il Longhi, che la parte superiore sia stata aggiunta alla inferiore successivamente, mediante un accostamento ligneo delle due tavole, senza una riequilibrazione architettonica e concettuale. Una diversità di stili che non si osserva sia nelle successive Crocefissioni di Anversa e di Londra sia nella coeva, la cosiddetta Madonna Salting, in cui l’iconografia e lo stile fiammingo sono equilibrati da una perfetta costruzione prospettica e volumetrica.
Tra il 1465 e il 1470 circa realizza il Ritratto d’uomo di Cefalù.

 

Negli anni successivi Antonello risale l’Italia, toccando Roma, la Toscana e le Marche, venendo sicuramente a contatto con le opere di Piero della Francesca, dalle quali mutuò la salda monumentalità e la capacità di organizzare lo spazio secondo le regole geometriche della prospettiva lineare.

A seguito di questo incontro, Antonello perfeziona e amplifica la spazialità prospettica, come si desume dall’Annunciazione del 1474 conservata nel Museo Bellomo di Siracusa. In questa tavola lo spazio è unificato dalla prospettiva (con la presenza del punto principale alla sinistra dell’angelo) e dalla costruzione modulare dell’inquadratura, basata sull’interasse delle colonne e sul sottile digradare della luce verso il fondo della prima stanza.
Sempre nel 1474, il Maestro si reca a Venezia, dove entra in contatto con la pittura di Giovanni Bellini. Nel Salvator mundi, la sua prima opera firmata, e datata 1475, l’iconografia è ripresa dai fiamminghi, ma la piega dello scollo bassa e la mano benedicente in avanti accrescono la spazialità della composizione, accorgimento usato anche da Bosch (v. in E. Malizia (1) tav.9A e 48, particolari Cristo Giudice).
Del 1475 va ricordato in primis il San Girolamo nello studio, ora alla National Gallery di Londra. La scena, inquadrata in un arco di trionfo, è architettata in modo da far coincidere

 

i raggi luminosi con quelli prospettici; il loro centro è rappresentato dal busto e dalle mani del santo al lavoro nel suo studio, ingombro di libri e di oggetti, meticolosamente rappresentati. Oltre ai libri e ai simboli (come il pavone in primo piano) va anche rilevata la costruzione dello spazio, illuminato da diverse fonti di luce secondo l’esempio fiammingo.

Nella penombra si scorge il leone che si avvicina al portico. Di particolare significato è il pavimento, che richiama quello della Madonna del cancelliere Nicolas Rolin di Jan van Eyck. Contrariamente non vi è alcuna affinità con il S. Girolamo di Bosch (v. (1) E. Malizia, parte centrale del Trittico Pala degli Eremiti, tav.54), che invece si avvicina alla tavoletta S. Girolamo penitente (1461), conservato nel Museo di Reggio Calabria.
Sempre del 1475 è l’Ecce Homo del Collegio Alberoni di Piacenza firmato e datato, un volto che ricorda, come profondità e dolcezza di espressione, quelli dipinti da Bosch (v. (1) E. Malizia, tav. 4B, 21, 34).
Dello stesso anno vanno annoverate: La Crocifissione e il Ritratto d’uomo della National Gallery di Londra, la Pietà del Museo Correr, il Ritratto d’uomo, detto il Condottiero del Louvre e il Ritratto d’uomo della Galleria Borghese.
Tra il 1475 e il 1476 esegue la Pala di San Cassiano (mutilata, ma per fortuna rimangono intatti conservati a Vienna la Vergine sul trono rialzato e quattro santi a mezzo busto), dipinto ispirato dalla Sacra Conversazione di Giovanni Bellini per la chiesa dei Santi Giovanni e Paolo andata perduta. Nell’opera di Antonello risalta però non solo un impianto più distanziato e solenne, che dà maggior respiro e soprattutto crea dalla luce gli effetti atmosferici che illuminano il dipinto, rendendo più vive le figure. 
Del 1478, o del ’75-76, è il San Sebastiano di Dresda, parte centrale di un trittico smembrato: la figura monumentale del santo, accentuata dal punto di vista ribassato, ruotata leggermente a destra, costituisce l’asse del dipinto. L’influenza di Piero della Francesca è evidente nella disposizione vitruviana degli elementi e nel pavimento messo di scorcio in prospettiva che conduce lo sguardo verso il piazzale in fondo (v. il S. Cristoforo di Bosch, tav. 6 A e S. Giovanni a Patmos di Bosch, tav. 9 B su E. Malizia). 
Antonello da Messina dopo il suo ritorno in Sicilia nel 1476 realizza L’Annunciata di Palermo: Maria, distratta dalla lettura, è colta nell’attimo in cui interloquisce con l’Angelo che le sta dinnanzi. La sua mano destra sembra volerlo fermare; dalla sagoma geometrica del manto emerge il perfetto ovale del volto; la piega del manto sulla fronte giù fino all’angolo del leggio forma un asse – forse casuale – della composizione; il lieve girare della figura e il gesto della mano rendono naturale tutto lo scenario.

 

Per la sua bellezza senza tempo, il colore del manto e lo sguardo, questo dipinto può essere ritenuto un’opera misteriosa ed enigmatica, come quelle di Hieronymus Bosch, e di buon diritto rappresenta uno dei traguardi fondamentali della pittura rinascimentale italiana. La bellezza formale, lo sguardo magnetico e la mano sospesa in una dimensione astratta ne fanno un capolavoro assoluto.

Dello stesso anno è il ritratto d’uomo, detto Ritratto Trivulzio, del Museo Civico d’Arte Antica di Torino, in cui l’incarnato si accorda perfettamente al colore rosso della veste. Un dipinto che piacque talmente anche a Galeazzo Maria Sforza da indurlo ad invitare Antonello più volte a Milano senza risultato.
Tra il 1476 e il 1478 dipinge la Pietà del Museo del Prado; il paesaggio intorno è caratterizzato da teschi e tronchi secchi a significare la morte, mentre in secondo piano la città e il verde della natura simboleggiano la Resurrezione. Il corpo di Cristo morto, sorretto da un angelo, è ripreso da temi di origine nordica; è dipinto realisticamente, sia nel costato sanguinante che nel volto sofferente, probabilmente ripreso dalla tavoletta del Cristo alla colonna (1476 circa) del Louvre, in contrasto con la bellezza idealizzata di quello angelico.

 

Nel 1479 muore a Messina, ove viene sepolto nella Chiesa di Santa Maria Superiore. Le sue opere, sparse tra i più importanti Musei e collezioni di tutto il mondo, lo faranno rivivere in eterno.

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