IL PROCLAMA DI TRANI di Umberto De Augustinis – Numero 6 – Ottobre 2016

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IL PROCLAMA DI TRANI

 

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 Le vicende storiche della città di Trani in relazione alle sue istituzioni ed iniziative giuridico-giudiziarie sono di tutto rispetto e di eccezionale rilevanza anche per lo spirito di innovazione e progresso che le caratterizza.

 Gli “Ordinamenta et Consuetudo maris edita per consules civitatis Trani” (ovvero gli “Statuti marittimi”) sono il codice della navigazione nel Mediterraneo, risalgono al 1063 ed all’iniziativa del conte normanno Pietro di Trani. Ma Trani vanta anche l’esistenza di un polo giudiziario (avvocati, magistrati e professori di diritto) che ha costituito per molti secoli un vero motore di impulso, di rinnovamento, di proposta, di novità, con caratteristiche assolutamente peculiari d’avanguardia.

Già tra la fine del XV e i primi del XVI secolo, a Trani operava nientemeno che la prima donna al mondo ammessa ad esercitare la professione di avvocato: di Giustina Rocca è lecito pensare che si parlasse in tutta Europa, tanto che William Shakespeare ne riproduce il ruolo nella Porzia del “Mercante di Venezia”,

dimostrandosi ben consapevole della rivoluzionarietà di una scelta del genere (denunciata, nel caso, dai paludamenti maschili indossati da Porzia nell’esercizio delle sue funzioni). 
La tradizione successiva si rafforzò con la sede della “Regia Udienza” della Provincia, dovuta alla fama di città “innovatrice” goduta da Trani, e con la conferma costante sia del presidio giudiziario di primo grado che della Corte criminale. Nel 1899, la Corte di Trani aveva quattro Sezioni penali ed era considerata la terza corte dell’Italia meridionale dopo quelle di Napoli e Palermo. Era, dunque, un polo giudiziario di rispetto e rilevanza. 
In questo contesto decisamente effervescente e stimolante, nel mese di aprile del 1904, mentre a Roma si svolgeva uno sciopero generale in favore dei tipografi per una maggiore libertà di stampa (che sarà seguito da molti scioperi in vari settori nello stesso anno),

116 magistrati del distretto della Corte di appello di Trani, prevalentemente “pretori”, cioè magistrati di rango “basso”, decisero di predisporre ed inviare al Capo del Governo, Giovanni Giolitti, ed al Ministro di grazia e giustizia, Scipione Ronchetti, un documento con il quale, con toni abbastanza rispettosi, ma molto fermi, si chiedeva una sollecita riforma dell’ordinamento giudiziario,

partendo dalla considerazione dei cosiddetti magistrati in sottordine (i pretori), ai quali si chiedeva di attribuire competenze maggiori nella decisione del contenzioso civile e penale. In quel momento i pretori costituivano una sorta di riserva di base della magistratura, per progredire nella quale era previsto un concorso molto serio. Le osservazioni contenute nel “proclama” erano, tuttavia, certamente condivise anche da buona parte dei magistrati di rango superiore, che intravedevano in esse la possibilità di limitare le ingerenze dall’esterno con incremento del loro potere (ai capi degli uffici era attribuito il potere di redigere “rapporti segreti” sui “magistrati sottoposti” nei quali si parlava anche dei loro orientamenti politici, con influenza sulla carriera).

Il documento tranese, quindi, centrava le sue principali valutazioni sulla necessità di tutelare e garantire l’indipendenza della magistratura con particolare riferimento all’esterno.

A tal fine, memori delle tre ondate di epurazione seguite all’unificazione italiana con pensionamenti e rimozioni variamente giustificati, si esprimevano critiche alla possibilità per il Ministro di trasferire i magistrati con atti, tutto sommato, di motivazione solo apparente, stabilita fin dal 1859 dal Ministro Rattazzi per il Piemonte (r.d. 13 novembre 1859, n. 3781) e poi estesa al Regno d’Italia con il r.d. 6 dicembre 1865, n. 2626. All’epoca, la motivazione del trasferimento era «l’utilità del servizio»; il consenso dell’interessato non era necessario e spesso il trasferimento era solo una punizione, debitamente annotata nel curriculum personale. Il Ministro Ronchetti, che pure era di idee aperte – è sua l’introduzione in Italia dell’istituto della sospensione condizionale della pena – non gradì affatto le espressioni del “proclama”, usando “bastone e carota” e, cioè, promuovendo, da un lato, un centinaio di procedimenti disciplinari, ma, anche, curando, come risposta di “buona volontà”, l’accelerazione dell’approvazione della legge n. 372/1904, che stabiliva ruoli e stipendi degli impiegati pubblici, e riconosceva piccoli miglioramenti economici ai magistrati. Il significato politico della vicenda non passò, quindi, inosservato ed ebbe contraccolpi. All’esterno, solo 5 anni dopo, anche a seguito della pubblicazione sul “Corriere giuridico” del proclama, a Milano, veniva fondata l’Associazione Generale fra i Magistrati d’Italia (AGMI);

il documento, noto come “Proclama di Trani”, si consacrò, così, come l’espressione della prima protesta in forma collettiva della Magistratura (e, certamente, la più forte dal punto di vista dei pubblici funzionari) e, soprattutto, la premessa dell’associazionismo giudiziario.

La effettiva rivoluzionarietà degli eventi innescati a Trani nel mondo giudiziario, a riprova del fermento colto dai magistrati tranesi nel “proclama”, si coglie molto distintamente nelle successive valutazioni di Vittorio Emanuele Orlando, Ministro di grazia e giustizia nel 1909, il quale ebbe a manifestare “dubbi gravissimi sulla possibilità che l’iniziativa produca frutti utili e degni”, perché “la magistratura italiana ha una costituzione rigorosamente gerarchica” e “la gerarchia ne costituisce l’essenza”. Le iniziative caldeggiate nel proclama e sostenute dall’associazionismo giudiziario avrebbero danneggiato “la dignità e l’autorità” dei magistrati di maggior rango, perché anche le associazioni apparentemente apolitiche, “poi nella loro effettiva attività difficilmente vi si mantengono fedeli”.

Orlando coglieva, dunque, il significato politico del processo riformatore avviatosi a Trani, al quale aveva dato risposta con importantissime leggi

(note come leggi Orlando n. 511 del 1907 e n. 438 del 1908, quest’ultima istitutiva di un Consiglio superiore della magistratura). Nelle sue parole si coglie la scelta di assicurare la funzionalità del sistema giudiziario all’azione di Governo attraverso la garanzia derivata dal rispetto della gerarchia giudiziaria (conformemente alle vedute dei gradi più alti della stessa magistratura dell’epoca). Si deve riconoscere, comunque, che, per le sue considerazioni ultime sopra riportate, alla fine, Vittorio Emanuele Orlando è stato, forse, il primo importante uomo politico ad avere intuito lucidamente la possibilità di un ruolo specifico ma anche il pericolo di una possibile degenerazione politica dell’associazionismo, oggetto tuttora di discussioni fin troppo a tutti note.

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