LE ARCHITETTURE MEDITERRANEE DIVENTANO ORDITO di Venera Coco – Numero 2 – Ottobre 2015

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Scostare il tessuto e scoprire la carnagione del Sud che ha assorbito, nella pelle e nella sabbia, tutta l’arsura di un sole indifferente al dolore, è la scoperta che alcuni stilisti hanno provato a raccontare. Stilisti che, attingendo dallo stupore dei loro sguardi, per creare invenzioni stilistiche, reinterpretano gli antichi fasti e gli intarsi che abili maestranze avevano creato per le chiese, le moschee e i palazzi.

Un vero e proprio eden, fatto di centinaia di piante provenienti da cinque continenti, piccoli ruscelli e costruzioni in stile moresco e Art Déco. Sedotto da “quest’oasi in cui i colori di Matisse si mescolano a quelli della natura”, lo stilista algerino trova la fonte d’ispirazione per i suoi preziosi caftani, come la djellaba, la tunica lunga con il cappuccio a punta, il jabador e il mantello burnus. Anche il designer franco-tunisino Azzedine Alaïa con la sua cosiddetta “soft sculpture”, fa rivivere sui suoi abiti la scultura soffice della stoffa da domare. L’architettura “arabisance” non viene rispettata alla lettera da Azzedine ma ciò che si capta immediatamente è quello speciale attaccamento all’essenzialità delle strutture berbere e al bianco, simbolo di rigore e purezza. I suoi abiti si avvicinano silenziosamente all’ambiente che li circonda, amalgamandosi ad esso. Le pieghe scolpite da Alaïa sono le stesse che il vento del deserto scava nella roccia, diventando anse nel corpo delle donne.

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LE ARCHITETTURE MEDITERRANEE DIVENTANO ORDITO

 

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Si tratta di creazioni nelle quali i colori riescono a riprodurre i toni della natura, gli accostamenti caldi e prorompenti che riportano alla memoria le luci abbaglianti di un territorio dalle stanche membra, che cede sia alla calura che all’incanto.

Svolazzi che diventano geometrie e che, pur mantenendo il rigore delle forme, si ritrovano intrappolati in un gioco di armonia.

Ed ecco che Yves Saint Laurent è riuscito a contaminare i suoi capi con i vividi colori del suo Giardino Majorelle a Marrakech.

A Cristóbal Balenciaga, invece, piaceva reinterpretare stili appartenenti ad epoche passate della storia spagnola

per poi arricchire le proprie collezioni, non a caso l’“Infanta”, s’ispira agli abiti ritratti da Diego Velázquez nei dipinti della principessa Margherita, e nella “Jacket of light”, si ritrovano i bolero dei toreri spagnoli. Nato a Getaria, ha interiorizzato la sua Spagna estrapolando elementi caratteristici del suo paese come il pizzo, il bolero e il contrasto tra rosso e nero. “The queen of textures”, così viene definita la stilista greca Mary Katrantzou, ha reso i suoi abiti strutturati una tela per stampe visionarie e dall’effetto trompe l’œil. La sua Atene rivive nella tridimensionalità e nelle forme geometriche, ma anche nei collage digitali che ripropongono i colori vivaci e i fregi mitologici che un tempo adornavano le sale dei templi greci. Appassionati di una delle tre Gorgoni, Medusa, e amanti del culto ellenico,

i reggini Gianni e Donatella Versace, dal 1978 ad oggi, danno vita a una libera commistione di elementi decorativi che vanno dalla Magna Grecia, al Barocco, fino alla Pop Art.

Il past forward diventa per loro una forma di sperimentazione, mescolando elementi couture a drappi da vestali, ma anche nuovi materiali, come pelle, maglia e minuteria metallica rigorosamente color oro e coloratissime sete stampate su cui sono impresse greche d’ordine corinzio e riccioli rococò. Il libanese Elie Saab, infine, ricrea su stoffe ricercate come pizzo, seta e chiffon, ricami con perline, paillettes e cristalli, talvolta solo per impreziosire determinate parti, altre volte i tessuti utilizzati ne sono completamente ricoperti. Elie risente dell’arte del ricamo, sfoggiata per impreziosire i costumi tradizionali durante le danze popolari dabke e raqs sharki, per costruire ogni suo dettaglio prezioso, seguendo però un mood incredibilmente femminile, sensuale e mai eccessivo. Gli abiti d’haute couture di Saab nascondono

bagliori lucenti color oro simili a quelli che rendono le danzatrici del ventre terre voluttuose di conquista.

I designer accostano quei pigmenti che ritrovano lo splendore di antichi popoli che lottavano per affermare la bellezza delle loro terre, abbellendole con pregiati intarsi, con maioliche, arabeschi e architetture simili ai luoghi del Corano. I tessuti si colorano dei toni del beige, dei marroni chiari, dei blu cobalto, dei silenzi, delle dune attraversate solo da un vento che scuote, con il proprio tormento, le vesti fascianti dei nomadi. Le collezioni nascono da queste terre e a questi luoghi ritornano per rendere uniche e pregevoli le movenze di chi si lascia catturare da uno stile che non teme confronti, perché sa che il Sud non è stato creato come un semplice luogo ma come archè divino.

 

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