IL NUOVO SUD, DOPO “VENT’ANNI DI SOLITUDINE”! di Giuseppe Soriero – Numero 2 – Ottobre 2015

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Il dibattito è già avviato non solo tra i meridionalisti, ma innanzitutto nella Politica e nel Governo.
I riflettori accesi in piena estate dalle anticipazioni del Rapporto SVIMEZ hanno disgelato dati eclatanti di “quella parte dell’Italia che sta peggio della Grecia”: dai 46,6 mila euro di valore aggiunto per abitante di Milano si precipita ai 12 mila in provincia di Agrigento. 
Già Romano Prodi, nella prefazione alla nuova edizione del volume “Sud, vent’anni di solitudine”, aveva richiamato l’attenzione sul “Racconto di due economie” illustrato dall’Economist: il prodotto interno lordo per abitante, in Calabria (16.462 euro) è ancora la metà esatta di quello di un cittadino della Valle d’Aosta (34.415 euro). Adesso, in presenza di primi incoraggianti segnali di ripresa della produzione, e dei consumi, è doveroso chiedersi se l’area meridionale sarà questa volta coinvolta positivamente negli scenari di sviluppo del Paese. Il Governo annuncia infatti nuovi investimenti nazionali ed europei assieme all’elaborazione di un “Master Plan” per l’area meridiana.

IL NUOVO SUD, DOPO
“VENT’ANNI DI SOLITUDINE”!

 

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MEZZOGIORNO SENZA MERIDIONALISMO?

Scritti e libri hanno alimentato un dibattito fazioso tra i sostenitori del mercato e quelli dello Stato: chi gridava allo scandalo per le troppe risorse verso il Sud e chi replicava, implorandone ancora di più.
E giacchè “non si può risolvere un problema con la stessa mentalità che l’ha generato”(Albert Einstein), sono da correggere i guasti indotti sia dal potere centrale che dalle classi dirigenti meridionali, risvegliando l’anima del Sud e suscitando fiducia tra le forze propositive cui si rivolge innanzitutto il messaggio suggestivo della rivista Myrrha. Le energie sane in campo sono tante.
Si può dire infatti che il Mezzogiorno, come l’ambiente descritto nel capolavoro di García Márquez, sia ancora oggi un luogo popolato da persone, quali il protagonista José Arcadio Buendía, «la cui smisurata immaginazione andava sempre più lontano dell’ingegno della natura, e ancora più in là del miracolo e della magia». E si può naturalmente parlare di un’area territoriale certo diversa dal villaggio di Macondo, ma non affatto irrecuperabile, nella quale come altrove «le cose hanno vita propria […] e si tratta soltanto di risvegliargli l’anima».

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RISVEGLIARE L’ANIMA DEL SUD.

Archiviando, innanzitutto, la singolare semplificazione sulla «diversità» identitaria dei meridionali che aveva istigato in alcune zone del Nord una diffusa interpretazione razzista. Certo, l’intervento pubblico straordinario verso il Sud è stato, nel passato, gelosamente tutelato come la «calamita», considerata indispensabile da Arcadio Buendía per «sviscerare l’oro della terra». Una buona parte dei cittadini meridionali, come nel romanzo di Márquez, non riuscendo a «consolarsi dell’insuccesso delle proprie calamite», concepì l’idea di «utilizzare quella invenzione come arma da guerra». E gli effetti qui sono stati devastanti nel moltiplicarsi di calamite clientelari che hanno precluso ogni argine alla penetrazione della corruzione e delle mafie.

MALI DEL SUD E MALI DELL’ITALIA.

Il potere criminale ha saputo cogliere in tempo i ritmi della globalizzazione ed è riuscito a integrare capitali e risorse umane superando ogni dualismo dentro un sistema unitario con baluardi vistosi addirittura in Lombardia, in Liguria, in Emilia e a Roma capitale. Tutto ciò è accaduto proprio mentre la politica privilegiava un dibattito ideologico sul federalismo fiscale come misura risolutiva dell’utilizzo della spesa pubblica, soprattutto per rieducare il Mezzogiorno. 
Vale convincersi, pertanto, che né la politica, né la cultura, hanno più tempo per distrarsi, eternando stancamente meri conflitti territoriali tra “Nordisti” e “Sudisti” giacchè è arrivata l’ora di rivoluzionare il nesso tra politica, economia e pubblica amministrazione. La crisi internazionale ha clamorosamente squarciato il velo e lo scenario oggi è più netto: o le due aree del Nord e del Sud cresceranno insieme o la ripresa dell’Italia rimarrà sempre più tiepida proprio mentre il Mediterraneo è in ebollizione e spinge comunque verso la modifica di secolari equilibri.

UN NUOVO INTERVENTO PUBLICO E PRIVATO.

«Un’altra Europa è possibile» continua a scrivere Habermas nella direzione indicata con nettezza da Paul Krugman: «I nostri governi devono spendere di più, non di meno, assumere insegnanti, costruire infrastrutture, scegliere spese utili». L’analisi più rigorosa delle esperienze internazionali analoghe, dalla Germania all’Irlanda, ci dice che l’intervento dello Stato, solo se protratto nel tempo, con misure innovative e consistenti supporti finanziari, può ridurre drasticamente i divari territoriali interni fino ad annullarli.

Le novità di scenario vanno a questo punto valutate in tempo: la macroregione vera è quella euro mediterranea.

Hic Rhodus hic salta! Il Nord Africa, pur condizionato dalla evidente instabilità politica, cresce più dell’Europa ed è già all’attenzione dei capitali finanziari della Cina e dell’India tanto da indurre rispettabili studiosi a coniare il neologismo “Cindoterraneo”.

Qui, c’è la vera sfida culturale per chi voglia contribuire a innovare il Meridionalismo, sapendo ragionare sull’utilità europea del Sud: un’area che possa essere percepita nella sua validità da ogni cittadino europeo,

dai sistemi europei dell’economia, della finanza, dell’informazione, della scienza e della cultura. Il problema vero è se l’Italia, nel suo insieme, intenderà misurarsi in una competizione non scontata tra alleanze internazionali. Qui, più che altrove, è praticabile la riduzione del costo logistico totale, attraverso l’offerta di servizi integrati per affrontare la sfida globale dei mercati. Dopo l’ampliamento del Canale di Suez v’è la possibilità di raddoppiare in dieci anni i movimenti di merci (nel 2025 ben 56.880.000 di TEU); quale sistema portuale saprà trarne vantaggio? Solo la Spagna, la Francia, il Nord Africa o finalmente anche l’Italia? 
E giacchè le attuali deficienze logistiche implicano per noi “un costo superiore dell’11%, circa 12 miliardi di euro, rispetto alla media europea” (studio Cassa DD.PP.), il pieno utilizzo delle infrastrutture meridionali è la precondizione per tornare a crescere; mediante la specializzazione di filiera di alcuni poli produttivi e di tutti i porti meridionali da Gioia Tauro a Taranto, da Napoli a Cagliari a Catania, con una strategia di sistema, utilissima anche ai porti del Nord, da Genova a Trieste e proiettando finalmente la rete di Alta Velocità da Salerno verso Gioia Tauro e la Sicilia.
Si richiedono oggi, pertanto, coraggio civile e culturale, analoghi a quelli delle classi dirigenti che nel secondo dopoguerra diedero impulso al miracolo economico; per suscitare adesso il proficuo coinvolgimento di tutte le energie culturali, progettuali, operative espresse da sindacati, imprenditori, università, associazioni culturali. Con analogo spessore dell’impegno nazionale profuso per l’Expo di Milano si lavori insomma per esaltare la scelta di Matera 2019, indicando nuove capacità operative e anche nuovi riferimenti simbolici alle nuove generazioni.

 

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