UNO ‘SPIRITO’ DEL SUD di Gaia Bay Rossi – Numero 5 – Luglio 2016

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UNO ‘SPIRITO’ DEL SUD

 

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La cosa più importante che esiste nella vita è la fortuna. Io ho avuto la fortuna di nascere a Napoli. Ora ti voglio dire come immagino la nascita. Io la immagino così: nell’alto dei cieli vedo un cestino con dentro miliardi di palline, poi vedo una mano che prende un milione di palline e le butta nel cielo. Queste cadono. Qualche pallina va su un pianeta, qualche altra pallina su un altro pianeta. Ebbene io, De Crescenzo, ho avuto la fortuna che la mia pallina è caduta proprio sulla terra; e non solo, ma anche sull’Europa; e non solo, anche su Napoli. La prima cosa che debbo aver visto nella vita sono state il mare e il Vesuvio e questa, come si chiama? Si chiama fortuna!
Ecco. Ma ho avuto altre fortune. Per esempio, quando ho conosciuto Francesca, quando Francesca mi ha lasciato, quando il Napoli vinse con l’Ambrosiana per 1 a 0 all’ultimo minuto. Ma chi era l’Ambrosiana? L’Ambrosiana era quella che oggi si chiama Inter. 
Mi ricordo di quando io presi la funicolare, perché abitavo al Vomero, per andare ad iscrivermi all’università. Entrai nella funicolare e vidi un posto libero accanto ad una bella ragazza. Allora, mi sedetti subito vicino a lei e le chiesi: “Come ti chiami?” Lei mi rispose: “Mi chiamo Francesca”; ed io: “Ciao Francesca dove vai?” E lei mi rispose: “Vado a iscrivermi all’università”. 
Io mi volevo iscrivere a filosofia perché la amavo molto come materia, ma, siccome lei mi disse che si andava ad iscrivere a matematica, le dissi: “Ah, pure io mi iscrivo a matematica”. Ed è stato così che sono diventato ingegnere. Se non avessi corso quella mattina per prendere la funicolare, io oggi non sarei ingegnere, ma professore di filosofia.

Nascere a Napoli è stata una fortuna?

 Una cosa é dire ti amo e una cosa e dire ti voglio bene. Che differenza passa tra il bene e l’amore? Che l’amore prima o poi può finire, mentre il bene invece non finisce, anzi aumenta. Quindi io consiglio a tutti quelli che mi leggono di voler bene. Nella mia vita ho voluto molto bene innanzitutto a mia figlia e poi a mia moglie. Poi, anche a un uomo che si chiamava Marotta, perché scrisse dei libri bellissimi. Mi ricordo anche di aver voluto bene al mio professore di matematica, perché grazie a lui sono diventato ingegnere.

Lei non è mai stato tentato dalla canzone napoletana?

Quando si nasce, ognuno di noi, può nascere con dei meriti e dei demeriti. Io purtroppo, pur essendo napoletano, non so cantare, però so scrivere. Come si fa a scrivere bene? Chi mi legge dovrebbe sapere quali sono i trucchi per scrivere bene. Innanzitutto, ogni pagina bisogna scriverla due volte e l’importante é che la seconda volta sia più corta della prima. Poi bisogna avere una fidanzata ignorante a cui far leggere la pagina: se la capisce lei, la capiscono tutti. Poi che dire…io ho fatto una cosa intelligente e una stupida: quella intelligente è stata quella di copiare il libro “Della filosofia greca”; quella più stupida è stata quella di cederla una tantum, perché poi ho saputo che è stata adottata nelle scuole e, quindi, avrei guadagnato miliardi se non avessi firmato.

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sul nostro Mezzogiorno d’Italia è chiaro e diffuso nell’etere e può essere sintetizzato nella celebre frase “si è sempre meridionali di qualcuno” (da Così parlò Bellavista). Noi di Myrrha non potevamo non incontrarlo.

Lei ha vissuto in tre città: Milano, Roma e Napoli, che differenze ci sono nelle città e nella gente?

Quando ero giovane, per andare da Milano a Napoli ci voleva quasi un giorno, perché il treno dell’epoca si fermava in ogni stazione prima di arrivare a Napoli. La più grande differenza tra i milanesi e i napoletani è che a Napoli si parla di più che non a Milano. Cioè, due persone che si incontrano e si siedono vicino, se sono napoletane parlano, se sono milanesi non parlano. 
Se sono romane? Come i napoletani, perché sono molto simili. Tutto questo perché a Milano c’è una cosa che si chiama riservatezza, a Napoli non esiste.
Una volta, a Napoli, nel mio palazzo, c’erano due persone che si odiavano. Queste due persone si chiamavano, una Bellavista e una Cazzaniga. I due presero insieme l’ascensore e, a causa di un black out, l’ascensore si bloccò. Loro rimasero per quasi mezz’ora, tutti e due, in ascensore tra il terzo e il quarto piano, e, a forza di stare insieme, parlarono e parlarono, e da che erano nemici, divennero amici. Questo fatto è realmente accaduto ed è quello che mi ha poi suggerito il libro “Così parlò Bellavista”.

Abbiamo visto la presentazione del suo nuovo libro, con un bel sottofondo di canzoni napoletane. Cosa è per lei la canzone napoletana?

Io credo che non esista nessuna città al mondo che abbia inventato più canzoni di quanto non sia stata capace Napoli. Comunque la mia preferita dovrebbe essere ‘O sole mio’. Dovrebbe…
Molti pensano che questa canzone sia stata scritta a Napoli: non è vero. ‘O sole mio fu scritta in Russia; anzi, per essere precisi, in Ucraina. D’altra parte lo si capisce anche dalle parole. Come dice la canzone: “Che bella cosa na jurnata e sole”. Questa meraviglia la si può capire solo da una persona che stava in Ucraina, perché se fosse stata a Napoli non l’avrebbe mai detta, visto che a Napoli ogni giorno c’è una giornata di sole. 
Quando ero ragazzino ho avuto la fortuna, e la sfortuna, di abitare in un cosiddetto piano ammezzato; cioè, dalle mie parti, il piano ammezzato è in un appartamento che sta a metà distanza tra la strada e il primo piano. Ma perché parlo di fortuna e di sfortuna: di sfortuna perché purtroppo sotto la mia camera da letto c’era un venditore di fiori che ogni mattina si metteva a cantare alle sei e mi svegliava. La fortuna è stata perché tutto questo é capitato a Napoli, dove sono nato.

 Il libro è intitolato Ti voglio bene. Perché questa decisione?

Le manca Pino Daniele?

Sì, io l’ho anche conosciuto ed era una brava persona. Purtroppo, per colpa sua io ho commesso uno dei sette peccati capitali, e cioè l’invidia!

Fino a che età è stato a Napoli?

Sono stato a Napoli fino a sedici anni. Poi, un giorno, Mussolini decise che anche i ragazzi di sedici anni dovessero andare in guerra. Io andai a Capodichino, mi misero la divisa, mi dettero il fucile ed io dissi al mio amico Alfonso: “Fofò, io non ammazzerò mai nessuno”; e lui: “E come fai, quelli ti hanno dato il fucile!”. E io: “Fofò, basta sparare un poco poco più in alto, per essere sicuri di non uccidere”. Proprio quel giorno, io arrivo a Capodichino e scoppia la pace. Questo sempre che si possa usare il verbo scoppiare quando si parla di pace.

Perché i giornali italiani parlano del sud sempre in maniera negativa?

Loro parlano così perché purtroppo invidiano il sud. Io ho abitato a Milano dove lavoravo alla IBM e mi ricordo ancora quando la IBM mi trasferì a Napoli, e io ringrazio… A Napoli non si dice mai “ringrazio Dio”, si dice “ringrazio la Madonna” e questo perché, secondo me, Dio non esiste, mentre esiste la Madonna. Io credo di essere religioso in maniera particolare, perché non sono credente, io sono sperante, che è qualcosa di più di essere credente. Spero che ci sia e, infatti, spero “dopo” di andare in paradiso, o meglio, forse troverei più bello il purgatorio, perché l’eternità se ha un difetto è quella di essere eterna. 
Una cosa è passare tutta l’eternità vicino a una santa, come Santa Teresa, che ti racconta tutti i giorni i suoi problemi, perché fu martire. Un’altra cosa è passare il tempo vicino a Totò. Totò non credo che sia andato subito in paradiso, perché – si dice – che lui approfittasse delle ballerine; quindi, per stare vicino a Totò, starò volentieri anche io un po’ di tempo in purgatorio.

 

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LA CASA DEL SOLE di Giusto Puri Purini – Numero 6 – Ottobre 2016

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Il filosofo e pensatore tibetano Chogyam Trungpa, che vive ed insegna negli Stati Uniti, sostiene, secondo la tradizione Buddhista, che il Sole rappresenta il principio femminile e la Luna quello maschile. L’uno risiede “fertile” nella mente, l’altro nel cuore.
Il Sole nella vostra mente sollecita l’intelligenza naturale necessaria, per organizzare il vostro mondo, e strutturarla su solide basi.

Inizierete a capire come la vostra intelligenza s’irraggia nello spazio, ed il motivo per cui la brillantezza dell’arte del guerriero si stia sviluppando in voi.
Applicate all’Architettura questi concetti spaziali e naturali e sarà la casa stessa, come un Tempio, a suggerirvi inserimenti e trasformazioni, legate anche ai principi dell’odierno vivere.

Questa interazione tra esseri e spazio, fatto da soffitti, porte, finestre…che si animano, rappresenta l’essenza dell’esistenza naturale, che noi chiamiamo “principio del Mandala”.
“L’onestà e l’integrità dello Spazio che ci circonda si manifesta direttamente. Se alcuni, verso di voi diffidenti, arrivano in uno spazio da voi creato e vedranno attualizzata la vostra visione, potranno distendersi ed accettarvi.

Quando il Sole della saggezza è trapiantato nella vostra mente si crea automaticamente il risveglio, l’autenticità, insieme ad un sentimento naturale dell’esistenza, il tutto avviene nello stesso tempo.
Apparirà, quindi, un mondo molto gioioso e straordinariamente gradevole.”
(Tratto dal capitolo 4 “Le Soleil dans la tête” del libro di Chogyam Trungpa “Le sourir du courage”).

Nella bella premessa del filosofo si colloca la nostra ricerca di una masseria contadina da ristrutturare nel Salento, con calma e pazienza, finchè essa è arrivata a noi, e, prima che leggessimo di questo bellissimo intervento, l’abbiamo chiamata la “La Casa del Sole”.
La ristrutturazione della masseria è frutto, quindi, di un intervento a due mani, uno conoscitore dei luoghi e delle antiche culture del costruire, l’arch.Luigi Nicolardi, e l’altro, il committente, io, che confluisce lì, alla ricerca di una sostenibilità del futuro non solo “parlata”.
L’arch. Nicolardi la descrive così:
“…La casa sorge all’interno di un lotto dalla forma di un poligono irregolare, ai piedi dell’ultima propaggine delle Serre Salentine che delimitano l’orizzonte a Ovest, al di sopra di un ampio banco roccioso di origine tufacea. La casa rappresenta, in maniera egregia, un interessante esempio “di architettura sostenibile a Km 0”.

Tutti i materiali di costruzione sono ricavati in loco, dai conci di tufo cavati a mano all’interno del lotto, all’argilla rossa (bolo) usata per impastare la calce per la malta, alla pavimentazione in battuto di coccio pesto ottenuto impastando il tufo locale, con l’argilla rossa, la calce e la tegola macinata.

Tutt’attorno sono visibili i segni dello scavo di sbancamento effettuato per ricavare i tufi necessari alla sua costruzione. Enormi blocchi di pietra, come dei possenti guerrieri messapi, sono posti in piedi, uno accanto all’altro, a delimitare il confine. Mura ciclopiche delimitano gli ambienti della casa, tutta raccolta attorno al grande forno in pietra – vero e proprio elemento generatore dello spazio.

In questo progetto non siamo stati noi a definire gli elementi della ristrutturazione, ma è stato lo spazio della casa a dettare le regole da seguire nella sua rifunzionalizzazione.

LA CASA DEL SOLE

 

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LUCE DA LEVANTE di Francesco Festuccia – Numero 6 – Ottobre 2016

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LUCE DA LEVANTE

 

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Spesso non si riesce a far andar via dalla testa quella “cartolina” in bianco e nero che scorreva inesorabile sui nostri schermi della Tv.

 I trulli, che, per me bambino, avevano quell’aspetto fiabesco e irreale, con il sottofondo della litania dell’”intervallo”, arcaico metodo per far quadrare i buchi di palinsesto di una televisione alle prime armi.

Eppure, i trulli di Alberobello (ora vero tesoro dell’umanità) da soli, per tanti anni, hanno dato al resto dell’Italia l’immagine della Puglia, quasi non ci fosse il mare, le spiagge infinite, le città vissute. Immagine distorta che sorprendeva quando a scuola sui libri di geografia scoprivamo il resto. E poi, dopo tanti anni, uno schiaffo all’immagine: la nave carica di immigrati albanesi vista e rivista in Tv e narrata meravigliosamente da Gianni Amelio nel 1994 in Lamerica. Ed ecco che l’immagine della Regione cambia radicalmente, ma sempre in maniera disassata rispetto alla verità, così come ci aveva fatto pensare, in una specie di Gomorra ante litteramLaCapaGira, geniale film del 1999 di Alessandro Piva sulla piccola vita della piccola criminalità. E subito dopo il più complesso Sangue Vivo, di un pugliese dal sangue inglese, Edoardo Winspeare.

Così, per anni, la “visione” della Puglia è andata per conto suo, tirata da una parte all’altra. Poi, i registi di cinema e tv hanno scoperto la “vera” Puglia con le sua straordinarie bellezze, la sua lingua, i suoi pregiudizi, i suoi slanci e i suoi sapori.

Sì, perché, grazie al grande e al piccolo schermo, quello che ci arriva dall’immagine-Puglia è cambiato. Tanti i film e fiction che hanno come sfondo gli scorci pugliesi. Ne abbiamo contati a centinaia negli ultimi anni, tanto da far diventare questa terra l’emblema del Sud, titolo che prima apparteneva forse solo alla Sicilia e alla Campania. E c’è di tutto in questo sterminato elenco. Si può correre sul filo del film d’autore con Ferzan Özpetek, che ha portato i suoi set in Puglia: da Allacciate le cinture a Mine Vaganti, che ci mostra un Riccardo Scamarcio nelle limpide acque del Salento (e, questa sì, è una delle immagini che restano più impresse). O far saltare i botteghini con il più popolare autore pugliese, quel Checco Zalone che ha messo a confronto la “pugliesità” più divertente con il Nord dai riti spesso “incomprensibili” (a proposito, è sempre curioso ricordare che il nome d’arte di Luca Medici non è altro che la storpiatura dell’epiteto pugliese “che cozzalone!”, sinonimo di “che tamarro!”). O ancora, tornare al mitico Lino Banfi, che poca Puglia forse ci ha fatto vedere nei suoi film, ma ne ha fatto diventare decisamente universale l’immagine attraverso il dialetto. Un mito del cinema, così mitico che persino Quentin Tarantino davanti a noi, in un festival di Venezia, si mise in ginocchio chiamandolo maestro. Tanto che, assieme al foggiano Renzo Arbore e a Michele Placido (nato in un paesino tra Puglia e Basilicata), è il simbolo della “puglitudine” in Focaccia Blues, film del 2009 di Nino Cirasola, in cui si racconta la storia vera della più nota catena di fast food costretta a chiudere uno dei suoi punti ad Altamura per la concorrenza dell’imbattibile focaccia locale.Scorriamo ancora questo sterminato elenco per trovare tanti filoni, anche sorprendenti. Se pensiamo alla storia e al fantasy non si può non parlare del maestro Pupi Avati, che con I Cavalieri che fecero l’impresa del 2001 trasforma i paesaggi e i monumenti della Puglia, da Barletta a Otranto, dal Gargano a Brindisi, in una sognata Europa medievale. O di Matteo Garrone e del suo Racconto dei Racconti del 2015, che apre una pagina su tutto il Sud ma anche sulla Puglia, come nell’episodio della pulce a Castel del Monte. Oppure Il Viaggio della Sposa, del 1997, di Sergio Rubini, che usa la sua Puglia, emblema dell’Italia del Seicento, per raccontare una contrastata storia d’amore.Ma si può anche ridere. Oltre al citato e popolarissimo Zalone, lo stesso Rubini è protagonista, in Manuale d’Amore 2, film di Giovanni Veronesi del 2007, nell’episodio dell’esilarante (ma non caricaturale) coppia gay salentina assieme ad Antonio Albanese: i due sono costretti a sposarsi in Spagna, ma non rinunciano alla loro amata terra d’origine. Dalla Puglia sono passati anche Aldo, Giovanni e Giacomo nel loro debutto cinematografico del 1997, Tre Uomini e una gamba, in cui percorrono l’Italia per arrivare, tra mille comiche avventure (e qualche ripensamento), a Gallipoli. Un “prodotto” della terra pugliese, popolarissimo per le sue apparizioni nelle tv locali, Uccio De Santis, si è immerso in un viaggio on the road alla ricerca della felicità in Non me lo dire, film del 2012 del suo sodale Vito Cea – partnership rinnovata quest’anno nel più iconico dei simboli pugliesi in Mi rifaccio il trullo.

Film d’autore, comici, storici, fantasy: ora c’è tutto per renderci conto che l’immagine della Puglia è diventata totale, set perfetto con le sue tante angolazioni, di paesaggio, di suggestioni, di storia. Tanto che anche la Apulia Film Commission ha fatto e sta facendo un grande lavoro,

che prosegue con l’ultimo bando da poco presentato in cui sono stanziati tre milioni euro per attirare nuova cinematografia. Un fermento di cui sono esempio i film appena conclusi di Luca Miniero (Non c’è più religione, girato tra Foggia e il Gargano), Marco Ponti (Io che amo sempre solo te) e ancora Edoardo Winspeare con il suo La vita in comune. Poi documentari, fiction (come Questo è il mio paese, successo di Rai 1 con Violante e Michele Placido), cinema d’autore (con i nuovi lavori di Vito Palmieri, Pippo Mezzapesa e Pierluigi Ferrandini) e anche kolossal come Wonder Woman, il film della Warner Bros sull’eroina dei fumetti, in uscita nel 2017.

Sì, forse così ci dimenticheremo, anche se poi è un dolce e misterioso ricordo, di quei trulli in bianco e nero, unico simbolo, in quegli anni da poco trascorsi, di una regione dalle mille bellissime sfaccettature.

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