In località Piano di San Francesco, un tratto di sentiero porta ad un affaccio
su alcuni abeti monumentali, alti e colossali, tra cui un esemplare
con una circonferenza di 7 metri a terra e stimato 500 anni di età.
Più sotto, davanti ad una fontana è presente una piccola statuina di San Francesco di Paola, santo legato indirettamente a questa specie arborea.
Cosa c’entra San Francesco? L’abete bianco è legato anche ad una dimensione sacraleed etno-antropologica. L’abete entra a far parte infatti dei riti arborei del Pollino, tipiche feste pagane di primavera, originariamente volte alla celebrazione della fecondità e della fertilità della terra e legate perciò ad una sorta di simbologia del matrimonio degli alberi, dove l’abete bianco rappresenta l’elemento femminile sempreverde e il faggio l’elemento maschile. Tali rituali pagani sono associati alle feste dei santi.
La Chiesa cattolica, non riuscendo a sradicarli, per controllarli vi sovrapponeva
la festività cattolica: ne deriva pertanto una festività sincretica, dove tuttavia
l’elemento pagano precristiano e quello cristiano
si giustappongono senza fondersi.
Tali rituali comportano un “dramma cerimoniale” in cuitrovano spazio canti, musiche, esultanza, soste dei cortei, accompagnati da “allegri conviti” con abbondanza di cibo e grandi bevute di vino. Con “l’albero della cuccagna” eretto nella piazza e abbellito di doni, subentra una grande festa di popolo, caratterizzata anche da prove di destrezza acrobatica. Lo stesso “viaggio” dei tronchi dalla montagna al paese diventa una sorta di dramma per la difficoltà del trasporto e il rischio di incidenti, a volte accorsi (V. Lanternari 1977).
I riti arborei del Pollino sono momenti fondamentali per l’identità delle comunità locali
e vi partecipano tutt’oggi anche numerosi giovani.
Molti sono gli emigrati che tornano in paeseper partecipare alla festa. Possiamo prendere come esempio la festa di Sant’Antonio diPadova a Rotonda, una delle più rappresentative del territorio del Pollino. In questo ritualelapitaè il faggio e l’abete larocca.Una volta anche il maschio era un abete, di cui vieneconservato il nome (la pita appunto). Il compito di tagliare e trasportare a valle i due alberiè affidato a due squadre diverse. Nella notte dell’8e del 9 giugno, i roccaioli raggiungono i boschi di Terranova di Pollino, tagliando una pianta di modeste dimensioni di abete, che rappresenterà appunto la cima. Nella stessa notte i pitaioli raggiungono la zona di Piano Pedarreto, nel comune di Rotonda, per abbattere un faggio prescelto di grandi dimensioni,che viene poi squadrato e lavorato con l’ascia. L’11giugno la pita viene trainata da una decina di coppie di buoi (paricchi). A Pedarreto, dalla foresta di faggio e abete bianco giunge anche la rocca e insieme, sebbene trasportati da gruppi separati iniziano il breve viaggio che li porterà nella piazza del paese, dove verrà innalzato il grande “albero della cuccagna”, frutto dell’unione “artificiale” tra il faggio e l’abete.
A Viggianello la sagra dell’abete è legata a San Francesco di Paola, a Terranova di Pollino a Sant’Antonio. Nel Pollino calabrese va menzionato poi il rito arboreo di Alessandria del Carretto, che il grande regista Vittorio De Seta filmò nel 1959. De Seta ne parla come una”sagra antica e meravigliosa”, con cui il paese celebra l’inizio della bella stagione
Nel documentario, all’alba un gruppo di uomini si dirige verso la montagna
e i “maestri d’ascia” abbattono un alto esemplare di abete,
che successivamente verrà trascinato a valle
da alessandrini giovani e meno giovani,
accompagnati dalla musica di zampogne e totarelle.Verso l’entrata del paese le donne portano cesti pieni di prodotti tipici per il pranzo. Sempre nel film, giorni dopo viene così celebrata la festa di Sant’Alessandro, patrono del paese e allestito l'”incanto”, dove prodotti tipici e oggetti vari vengono messi all’asta: il ricavato sarà usato per pagare le spese della festa. L’abete viene poi innalzato nel pomeriggio nella piazza del paese, con la cima addobbata di doni come dolci, collane di fichi secchi ecc. Un atletico giovane riesce ad arrampicarsi fino in alto e si appende con le gambe ai rami della cima, a testa in giù, con le braccia aperte, ondeggiando e senza nessuna paura di cadere.
Dopo la conclusione della festa la gente si appresta a tornare verso casa,
lasciandosi alle spalle i momenti di spensieratezza e allegria.
Lo stesso rito di Alessandria del Carretto, che è rimasto quasi intatto nei secoli, è stato filmato da un altro grande regista, Michelangelo Frammartino nel suo capolavoro “Le quattro volte”, premiato a Cannes nel 2010. Iprotagonisti di questo film non sono solo contadini e pastori, ma anche animali, alberi, natura inanimata, ovvero la terra stessa. Come suggerisce la testimonianza di Pitagora nel film, l’uomo è egli stesso tutte queste cose. La “terza volta” del film è rappresentata proprio dalle vicissitudini di un abete bianco, colto nel mutare delle stagioni, il cui destino è legato alla cultura della civiltà agropastorale. Il “senso del sacro” è espresso in questo film soprattutto nella venerazione della natura che caratterizza gli antichi riti arborei.
Ogni essere è legato all’altro, anzi, ogni essere entra a far parte di un altro
e della sua rispettiva sfera di vita, per poi ritornare alla sua origine:
efficace ad esempio la scena dell’albero che entra nel camino
delle abitazioni e ne esce come fumo, espandendosi nell’aria
Quando, dopo che la festa èfinita, l’abete verrà venduto ai carbonai, essi erigeranno una catasta verticale con i suo iceppi, posta al centro della loro arena circolare di legna accatastata. Al centro del cerchio, nell’interstizio della catasta, verrà appiccato il fuoco, con un gesto augurale che vuole in qualche modo “benedire” il risultato del duro e delicato lavoro dei carbonai e “ringraziare” allo stesso tempo il “tutto cosmico”. E alla fine il fumo della legna ritornerà tra gli alberi,confondendosi con la nebbia che aleggia sulla foresta..

L’abete bianco, Abies alba, è un’eccellenza botanica caratteristica delle foreste del versante nordorientale del Massiccio del Pollino, dove vive associato al faggio. L’areale di questa specie va dai 1400–ai 1850 metri circa di quota, altitudine oltre la quale dominano il faggio e poi il pino loricato (Pinus leucodermis)

