IL CERVO SARDO. UN’ECCELLENZA ITALIANA
Questo animale, con la sua eleganza e maestosità, rappresenta un’eccellenza italiana, testimonianza di una natura selvaggia e incontaminata che merita di essere conservata e valorizzata.
Nel suo libro L’ultimo cervo, Augusto Murgia scriveva:
«[…] l’ultimo l’abbiamo ucciso nel ‘38, Congera Piga ed io; esattamente quel giovedì…».[…] «Turchineddu» nel suo inconfondibile latrato, annuncia che la bestia c’è. Non si tratta di cinghiale, che il suo abbaiare sarebbe ben più rabbioso; e neppure di muflone, perché i suoi guaiti sarebbero molto più staccati, in quanto la velocità delle bestie lo impegnerebbe troppo. Evidentemente il cagnetto abbaia ad un animale fermo e col quale deve avere poca familiarità, a giudicare dai suoi ululati sordi e nervosi.
[…] Ed ecco che un secco «colpo» di polvere «bianca» rintrona nell’aria, diffondendo nel bosco una sinistra eco di morte e nel cuore dei battitori la speranza di un buon bottino.
Ma Turchineddu, dopo aver taciuto per un po’, si riode dalla svolta di una collina e pare che la sua voce venga da una zona fuori battuta. […] Ma un boato cupo e prolungato di polvere «nera» si ode in quel mentre a ridare a tutti la fiducia perduta. Non v’era dubbio: zio Loriga aveva chiuso la partita!
Così il Cervo sardo scompariva dai monti della Barbagia e, probabilmente, da molte altre aree della Sardegna. Negli anni ’50 e ’60 del ‘900 infatti, sull’isola, la popolazione di questo ungulato toccò i minimi storici, ne sopravvivevano circa 200, mentre in Corsica, nel 1969, la specie veniva dichiarata definitivamente estinta.
Ma qual è la storia di questa specie (o sottospecie) e quali sono le sue vere origini? Descritto originariamente come un endemita sardo/corso (Cervus corsicanus) successivamente viene “declassato” a sottospecie del cervo europeo (C. e. corsicanus).
Da allora il Cervo sardo è stato quindi considerato come un taxon introdotto in “tempi storici” (parautoctono), sia in Sardegna che in Corsica, presumibilmente già dall’inizio del Neolitico circa 8000 anni fa.
Il suo arrivo sulle due isole verrebbe giustificato dall’interesse che, da sempre,
questa specie carismatica ed iconica ha suscitato nell’uomo,
sia dal punto di vista strettamente utilitaristico,
sia dal punto di vista sacro-rituale.
Va anche sottolineato come non sia l’unica specie ad aver vissuto queste vicissitudini. Di fatto tutta la mammalofauna terrestre attualmente presente in Sardegna è frutto di introduzioni in tempi storici. In merito all’origine dei cervi le teorie, nel corso del tempo, sono state diverse ma, recentemente, grazie a studi di genetica (mtDNA) condotti su campioni di tessuti subfossili comparati con campioni attuali, si è giunti a nuove ed importati conclusioni. I risultati delle indagini molecolari stabiliscono che C. e. corsicanus era, con molta probabilità, originariamente presente nella penisola italiana. Questo dimostra quindi che esistevano due popolazioni di cervi autoctone e geneticamente distinte nell’Italia continentale: una che abitava la regione settentrionale, il cervo della Mesola (C. e. italicus), l’altra la regione centro-meridionale, per l’appunto C. e. corsicanus.
Cervo di taglia più piccola rispetto ai “continentali”, con un’altezza alla spalla di 75–90 cm per le femmine e 80-110 cm per maschi; di aspetto robusto e con gambe più corte; mediamente la lunghezza è di 175-185 cm per i maschi e 160 cm per le femmine, mentre il peso degli adulti va dai 70/80 kg nelle femmine ai 105-120 kg nei maschi.
Sebbene i cervidi possano cambiare le loro dimensioni corporee rapidamente
come risposta all’insularità, confrontando le antiche rappresentazioni
dell’arte sarda si intuisce che tali caratteristiche morfologiche
erano già presenti durante l’età del bronzo.
I palchi sono più piccoli rispetto a Cervus elaphus, sono lunghi mediamente 65 cm e pesano circa 550 g nei maschi adulti. Le stanghe hanno in genere solo 3 punte, sebbene siano noti palchi con 12 punte, lunghi fino a 77 cm e con un peso di 1,1 Kg; le ramificazioni risultano più semplici, si hanno generalmente 4 o 6 punte contro le 16 – 24 del cervo europeo. L’ago e la corona sono generalmente assenti, mentre la parte terminale della stanga presenta una formazione allargata e tendente ad appiattirsi, fino a conferire una forma finale a forcella. Altra peculiarità che caratterizza la specie è il manto scuro, soprattutto durante l’inverno. Il Cervo sardo è dai più considerato una sottospecie del cervo nobile, ma diversi tassonomi seguono la revisione di Groves e Grubb del 2011 che ritiene più idoneo considerarlo una specie a se stante.
Quali sono state le cause che hanno portato alla rarefazione della specie sulle due isole?
I motivi del declino sono da ricondursi principalmente alla drastica diminuzione delle aree forestali, alla frammentazione del territorio, all’aumento del numero degli incendi, ad una caccia non pianificata ed alla competizione nell’utilizzo delle risorse naturali con l’agricoltura e l’allevamento. Alla fine degli anni Sessanta fu quindi inserito nella Lista rossa IUCN
L’estinzione della specie dalla Corsica risvegliò le coscienze e, per merito
di campagne di conservazione portate avanti dall’Ente Foreste Sardegna
(oggi Forestas) e dal WWF, la popolazione isolana
tornò a crescere costantemente
Nel 2015 venivano stimati oltre 8000 individui, saliti nel 2018 (ultimo dato attualmente disponibile) ad un numero compreso tra i 10.000 e gli 11.000 individui. Successivamente, grazie ad individui provenienti dalla Sardegna, i cervi sono tornati anche in Corsica. Attualmente, proprio in virtù degli sforzi fatti e del nuovo contesto ambientale, favorevole agli ungulati, venutosi a creare, le popolazioni presenti sulle due isole sono in costante crescita ma, nei fatti, non è stato stabilito o teorizzato alcun limite massimo a tale crescita.
(Continua)

La fauna italiana vanta una biodiversità straordinaria, con specie uniche come il cervo sardo, simbolo di un patrimonio naturale di inestimabile valore. .
