LA SALUTE ECCELLENTE “MADE IN SUD” di Maurizio Campagna – Numero 2 – Ottobre 2015

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All’epoca della “sanità commerciale” l’eccellenza diventa spesso uno slogan pubblicitario e non una qualità oggettiva delle strutture sanitarie, misurata e monitorata. Le autodichiarazioni di eccellenza si sprecano tra professionisti e strutture tanto che si è perso il senso di un’espressione che dovrebbe, invece, indicare precisi standard qualitativi nell’erogazione delle prestazioni sanitarie ed essere attribuita, con parsimonia, soltanto dopo una valutazione scientifica degli output specifici delle strutture. Ma il processo di crescita del controllo democratico garantito dalla rete ha investito anche il settore sanitario. Si sono moltiplicati i “trip-advisor” della sanità e ciò ha garantito una maggiore possibilità di accesso ai dati da parte degli utenti alla ricerca delle strutture sanitarie migliori. L’avvertenza è sempre la stessa: tra le possibilità di conoscenza offerte dalla rete occorre fare una attenta selezione sulla base dell’attendibilità delle fonti. Così anche tra i siti che si occupano della qualità delle strutture sanitarie è bene distinguere i 

LA SALUTE ECCELLENTE “MADE IN SUD”

 

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L’eccellenza dell’Istituto Nazionale per lo studio e la cura dei tumori “Fondazione G. Pascale” di Napoli resiste ad ogni tipo di prova in rete. Non è virtuale, non è frutto di rumors tra internauti, è un’eccellenza reale e scientificamente misurata. A certificarlo sono i più importanti e accreditati siti di settore. La struttura sanitaria rappresenta un (vero!) polo di eccellenza per la cura dei tumori e un punto di riferimento principalmente, ma non esclusivamente, per tutto il Sud d’Italia. L’Istituto Pascale è un IRCCS (Istituto di Ricerca e Cura a Carattere Scientifico) di diritto pubblico trasformato in Fondazione. Il carattere scientifico, riconosciuto alla struttura sulla base degli specifici requisiti stabiliti dal d.lgs. del 2003 che ha provveduto al riordino degli IRCCS pubblici, consente alla stessa di accedere a un finanziamento statale appositamente finalizzato alla ricerca che si aggiunge a quello già erogato dalla Regione di appartenenza. 
La natura di Fondazione è il frutto di una scelta specifica della Regione che, su propria istanza, può trasformare gli IRCCS pubblici in Fondazioni di rilievo nazionale, aperte alla partecipazione di soggetti pubblici e privati e sottoposte alla vigilanza del Ministero della salute e del Ministero dell’economia e delle finanze.
L’Accademia dei Lincei, nell’anno 2014, ha assegnato al Pascale il prestigiosissimo Premio “Cataldo Agostinelli e Angiola Gili Agostinelli”. Si legge nella motivazione che l’Istituto è“ […] un’eccellenza nel campo della prevenzione, diagnosi e cura delle patologie tumorali, sia attraverso la ricerca clinica sia attraverso l’innovazione tecnologica e gestionale”. Il premio consegnato al prof. Tonino Pedicini, all’epoca Direttore generale, direttamente dall’allora Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano rappresenta un riconoscimento importantissimo per tutto il Sud d’Italia perché la buona sanità non è soltanto “questione di camici bianchi”, ma anche di buona gestione amministrativa. L’Accademia dei Lincei ha voluto proprio premiare un insieme di competenze, non solo medico-scientifiche, ma anche gestionali.

Non a caso, il Pascale è stato insignito anche di un altro prestigioso riconoscimento nel 2013: l’Oscar di Bilancio della Pubblica Amministrazione – categoria Aziende Ospedaliere e degli IRCCS Pubblici, promosso da Ferpi (Federazione relazioni pubbliche italiana). Si tratta di un premio nazionale, unico nel suo genere, che ha l’obiettivo di segnalare e sostenere le best practices di rendicontazione adottate dagli Enti locali e dalle Aziende Sanitarie Pubbliche che danno prova non solo di buona amministrazione, ma anche di trasparenza e di efficacia nella comunicazione a cittadini e stakeholder.

L’Istituto partenopeo, dunque, come esempio di buona amministrazione pubblica del sud e per il sud che contribuisce considerevolmente ad abbattere luoghi comuni sulla gestione della res publica nel Meridione.

Ma allo stesso tempo il Pascale è la prova che ognuno deve fare la sua parte, che tutte le professionalità sono fondamentali nell’erogazione di servizi di qualità per i cittadini.
Il binomio cura e ricerca raggiunge risultati eccellenti nel centro partenopeo, risultati misurati con indicatori bibliometrici, in molti settori dell’oncologia, rappresentando non quella “speranza trappola”, ma una speranza opportunità per tutti i malati. 
La presenza di un istituto sanitario di eccellenza fa bene anche alla salute dell’economia del territorio. Senza assecondare una retorica buonista, la sanità è anche (casomai non solo!) un settore economico assai rilevante. La produzione del valore salute non può essere sottratta alle regole della produzione industriale dei servizi, anche sanitari, soprattutto se si tratta di prestazioni ospedaliere. Ecco l’importanza di aver adottato buone pratiche anche sul versante amministrativo. Le ricadute economiche sul territorio della filiera sanitaria sono consistenti non soltanto in uscita, quando cioè i pazienti locali sono costretti alle migrazioni sanitarie, ma anche in entrata, quando i servizi sono erogati in favore di utenti provenienti da altri territori.

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forum autogestiti dai pazienti che riportano le loro esperienze, del tutto soggettive, dai portali che traggono i loro contenuti da fonti ufficiali o che rielaborano dati raccolti con metodo scientifico.

La tutela della salute si colloca sul punto di intersezione tra tante discipline e le cure di qualità sono il frutto di un’armoniosa integrazione tra saperi.

Un polo di eccellenza, infatti, è anche un polo di attrazione che non solo impedisce la dispersione di risorse trattenendole sul territorio, ma addirittura ne fa arrivare di nuove.

Curarsi significa, infatti, spendere anche per i servizi ancillari come l’assistenza non sanitaria, i trasporti, il vitto e l’alloggio dei familiari al seguito. Si tratta di spesa che non è immediatamente riconducibile ai costi diretti della prestazione sanitaria, ma che indirettamente ne determina l’ammontare finale. In quest’ottica, la capacità attrattiva diventa capacità produttiva di ricchezza. 
La stessa considerazione deve ora essere estesa su una dimensione europea in ragione del recepimento nei paesi membri dell’UE della Direttiva 24/2011 sull’assistenza sanitaria transfrontaliera. In estrema sintesi, il sistema dell’assistenza sanitaria transfrontaliera disegnato dalla Direttiva dovrebbe garantire al paziente assicurato in uno degli Stati membri dell’UE la scelta di ricevere cure, programmate o non programmate, in uno Stato diverso da quello di appartenenza. Ciò potrebbe attivare una virtuosa dinamica concorrenziale tra strutture su scala europea. 
Un recente studio condotto dal Battelle Memorial Institute, istituto statunitense per la ricerca e lo sviluppo, con riferimento ad un’altra struttura di eccellenza sanitaria del sud d’Italia, dimostra come vi sia un nesso tra la produzione di servizi sanitari di elevata qualità e la crescita del PIL. Non solo: non sono trascurabili neppure i risultati in termini di risparmio di spesa. È noto, infatti, che il costo delle migrazioni sanitarie è sostenuto dai sistemi sanitari regionali di partenza. 
I risultati dello studio, sebbene riferiti ad una struttura della Sicilia e al Pil di questa Regione, possono essere trasferiti in altri contesti. Il messaggio forte e chiaro è che l’investimento in ricerca e tecnologia può essere volano di occupazione e motore per lo sviluppo. 
Senza contare l’investimento di tipo sociale.

La condizione di fragilità data dalla malattia è aggravata dal costo umano della migrazione sanitaria. È un dato di esperienza comune che nessuno vorrebbe curarsi lontano da casa.

La sanità infatti è un servizio naturalmente a vocazione territoriale e l’ospedale come industria non può essere delocalizzato! 
Il Pascale fornisce così un’importante opportunità di cure ai cittadini del sud per un gruppo di patologie tra le più gravi e invalidanti e che, peraltro, assorbono più risorse in ragione della “residenzialità” delle patologie oncologiche. 
L’auspicio per il futuro è che la grave sofferenza patita dal Sistema sanitario nazionale sia il motore di una razionalizzazione delle risorse e non di un mero e acritico razionamento, l’occasione per ammodernare l’amministrazione sanitaria o addirittura riformarla. Che le eccellenze come il Pascale possano continuare il loro lavoro sul territorio e per il territorio. L’eccellenza è tale, infatti, solo se accessibile. Se cioè è in grado di rispondere efficacemente alla domanda di servizi sanitari che si forma prima di tutto nella comunità di riferimento della struttura e poi altrove, se si è capaci di sviluppare mobilità sanitaria attiva.
L’esempio dell’Istituto partenopeo è un’esperienza in controtendenza nel panorama di un’amministrazione pubblica screditata agli occhi dei cittadini e un suggerimento per il futuro: investire nell’economia della conoscenza.

 

LA CASA DELLE MUSE di Antonio Genovese – Numero 2 – Ottobre 2015

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Sulla collina
Io certo vidi le Muse
Appollaiate tra le foglie,
Io vidi allora le Muse
Tra le foglie larghe delle querce
Mangiare ghiande e coccole.
Vidi le muse su una quercia
Secolare che gracchiavano.
Meravigliato il mio cuore
Chiesi al mio cuore meravigliato
Io dissi al mio cuore la meraviglia.

Ma io che da anni leggo i suoi versi e le sue prose (e li cerco nelle varie edizioni che gli uni e le altre hanno diffuso), sono finalmente lieto di vedere lo sforzo che questo piccolo Comune della Basilicata ha saputo compiere per richiamare, in quella modesta abitazione, in un luogo non comodo dello Stivale, gente di ogni luogo: perché la Poesia di Sinisgalli ha saputo varcare il tempo della sua vita e le aree della sua pratica.

E’ da credere che le Scuole sapranno farvi momento di visita e di studio, ma l’iniziativa degli enti territoriali di Basilicata meritano la sosta di lettori e curiosi di tutte le età.

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LA CASA DELLE MUSE

 

Antonio-Genovese

      Questa estate, ho approfittato dell’ozio da vacanza per fare un’incursione a Montemurro, un centro della (sempre più nota, per i suoi giacimenti petroliferi, che tanto stanno facendo discutere) Valle dell’Agri, in Basilicata. Una valle in cui il fiume (che sbocca sul litorale ionico) trasporta con sé, assieme ad un rilevante carico di acqua (è il fiume più ricco, anche se non il più lungo, della Basilicata), memorie millenarie.

La Valle, che soprattutto nella sua prima parte, è aspra e costellata di monti coperti di boschi (i Belliboschi, a cui Sinisgalli ha intitolato una raccolta di suoi scritti autobiografici e no, che uniti a Fiori pari fiori dispari formano quelle «prose di memoria e d’invenzione», tanto care ai suoi lettori), è cosparsa di piccoli centri di remota civiltà, più o meno arroccati sulle alture, che tendono a fare sistema ed a formare una sorta di Città della Valle (un po’ sul modello della Città del Vallo di Diana, invero da essa non molto distante ed anzi collegata a diverse altezze), con servizi distribuiti e strutture comuni, attività culturali messe a rotazione, santuari religiosi accomunanti le genti valligiane, ecc. (la Moliterno di Petruccelli della Gattina e Giacomo Racioppi, la Montemurro di Giacinto Albini, Marsico Nuovo e Marsico Vetere, la Viggiano di Vito Reale, Sarconi, la Spinoso di Biagio Petrocelli, Tramutola, ecc.) 
Accanto ai monti coperti di boschi ve ne sono altri (ad es. il Vulturino) quasi del tutto nudi, e però assai belli e suggestivi, che fanno da riferimento e da contrasto selvaggio con quelli altri, interamente verdi e ricchi di biodiversità.

Non c’è dubbio che anch’essi facciano parte di quella vera e propria identità comune delle genti della Val d’Agri, che oggi si arricchisce di sempre nuovi tasselli: un richiamo anche per le generazioni che più hanno dato con la loro emigrazione, ed i loro discendenti d’ogni parte d’Italia e del Mondo.

E davvero di Muse (al plurale) si tratta, giacché il Nostro non incarnò solo un’anima ma tante assieme, quelle di: scrittore, poeta, ingegnere, disegnatore, editor, curatore di prodotti culturali, perfino cineasta (autore o coautore di fortunati cortometraggi premiati alla Biennale di Venezia nel 1948 e nel 1950) e sceneggiatore.

Una casa semplice, come quelle di cui il Poeta ha detto nei suoi versi e negli altri scritti, ancora del tutto dispersi, perché affidati alle vecchie preziose edizioni d’epoca, ma ormai necessitanti la formazione di una raccolta completa (ad esempio, un Meridiano, edito da quello che fu il suo editore principale), per il lettore d’oggi. 

Una casa che non ha mai ospitato quel mobilio e quei libri, che il Poeta-Ingegnere ha portato con sé nel suo girovagare (cominciò a farlo a dieci anni) e, soprattutto, nei suoi spostamenti tra Roma e Milano, dove si è svolta – pressoché interamente – la sua vita professionale, non solo di artista (anche visivo) ma anche di direttore di belle riviste, alcune legate al mondo aziendale (dalla rivista Pirelli, alla più fortunata Civilità delle Macchine), di curatore di collane (come «Scienza e poesia»), di collaboratore con l’industria italiana (Olivetti, Finmeccanica, Alfaromeo, ecc.). 

Il museo (che è stato denominato, in maniera suggestiva: la Casa delle Muse) è stato affidato alle cure della Fondazione Sinisgalli (creata dagli enti territoriali di Basilicata, essenzialmente), che organizza mostre, eventi, convegni, incontri di studio (se ne veda l’elenco di quelli tenuti, ad oggi, nel bel catalogo intitolato Leonardo Sinisgalli, la Casa delle Muse e la Fondazione, Villa d’Agri, 2014, pp. 30).

In questo rinnovato interesse per la Valle, s’inserisce la bella novità di Montemurro: la creazione di un museo Sinisgalli, nella casa di famiglia, acquistata e recuperata alla bisogna.

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 In particolare, oggi la sua collaborazione a edizioni editoriali di pregio, con artisti contemporanei (Lucio Fontana, Orfeo Tamburi, Franco Gentilini, Domenico Cantatore, ecc.), ha reso spesso difficili da reperirle persino sul mercato del libro raro e di pregio.

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          La visita della casa di Sinisgalli, consente di ammirare – tra i riquadri della sua Biblioteca (quasi interamente recuperata) e composta di edizioni consultabili – anche una bella tela, acquistata dalla Fondazione Carlo Levi: un suo ritratto (del 1944), a olio, della sua concittadina Maria Padula, un’artista che merita ogni considerazione (anche la sua opera è in corso di catalogazione, grazie all’impegno della curatrice e figlia, la d.ssa Rosellina Leone, che ho avuto il piacere di ritrovare dopo anni). 

Tra libri e mobili del Poeta, è possibile ammirare tanti altri cimeli: abiti, foto, lettere, numeri di riviste, libri, ecc.

Le stanze sono coperte di didascalie, quadri che riportano i suoi principali versi, così che anche chi non ha mai praticato la sua Poesia possa essere in grado di comprendere la misura e la cifra dell’artista.

 

LE ARCHITETTURE MEDITERRANEE DIVENTANO ORDITO di Venera Coco – Numero 2 – Ottobre 2015

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Scostare il tessuto e scoprire la carnagione del Sud che ha assorbito, nella pelle e nella sabbia, tutta l’arsura di un sole indifferente al dolore, è la scoperta che alcuni stilisti hanno provato a raccontare. Stilisti che, attingendo dallo stupore dei loro sguardi, per creare invenzioni stilistiche, reinterpretano gli antichi fasti e gli intarsi che abili maestranze avevano creato per le chiese, le moschee e i palazzi.

Un vero e proprio eden, fatto di centinaia di piante provenienti da cinque continenti, piccoli ruscelli e costruzioni in stile moresco e Art Déco. Sedotto da “quest’oasi in cui i colori di Matisse si mescolano a quelli della natura”, lo stilista algerino trova la fonte d’ispirazione per i suoi preziosi caftani, come la djellaba, la tunica lunga con il cappuccio a punta, il jabador e il mantello burnus. Anche il designer franco-tunisino Azzedine Alaïa con la sua cosiddetta “soft sculpture”, fa rivivere sui suoi abiti la scultura soffice della stoffa da domare. L’architettura “arabisance” non viene rispettata alla lettera da Azzedine ma ciò che si capta immediatamente è quello speciale attaccamento all’essenzialità delle strutture berbere e al bianco, simbolo di rigore e purezza. I suoi abiti si avvicinano silenziosamente all’ambiente che li circonda, amalgamandosi ad esso. Le pieghe scolpite da Alaïa sono le stesse che il vento del deserto scava nella roccia, diventando anse nel corpo delle donne.

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LE ARCHITETTURE MEDITERRANEE DIVENTANO ORDITO

 

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Si tratta di creazioni nelle quali i colori riescono a riprodurre i toni della natura, gli accostamenti caldi e prorompenti che riportano alla memoria le luci abbaglianti di un territorio dalle stanche membra, che cede sia alla calura che all’incanto.

Svolazzi che diventano geometrie e che, pur mantenendo il rigore delle forme, si ritrovano intrappolati in un gioco di armonia.

Ed ecco che Yves Saint Laurent è riuscito a contaminare i suoi capi con i vividi colori del suo Giardino Majorelle a Marrakech.

A Cristóbal Balenciaga, invece, piaceva reinterpretare stili appartenenti ad epoche passate della storia spagnola

per poi arricchire le proprie collezioni, non a caso l’“Infanta”, s’ispira agli abiti ritratti da Diego Velázquez nei dipinti della principessa Margherita, e nella “Jacket of light”, si ritrovano i bolero dei toreri spagnoli. Nato a Getaria, ha interiorizzato la sua Spagna estrapolando elementi caratteristici del suo paese come il pizzo, il bolero e il contrasto tra rosso e nero. “The queen of textures”, così viene definita la stilista greca Mary Katrantzou, ha reso i suoi abiti strutturati una tela per stampe visionarie e dall’effetto trompe l’œil. La sua Atene rivive nella tridimensionalità e nelle forme geometriche, ma anche nei collage digitali che ripropongono i colori vivaci e i fregi mitologici che un tempo adornavano le sale dei templi greci. Appassionati di una delle tre Gorgoni, Medusa, e amanti del culto ellenico,

i reggini Gianni e Donatella Versace, dal 1978 ad oggi, danno vita a una libera commistione di elementi decorativi che vanno dalla Magna Grecia, al Barocco, fino alla Pop Art.

Il past forward diventa per loro una forma di sperimentazione, mescolando elementi couture a drappi da vestali, ma anche nuovi materiali, come pelle, maglia e minuteria metallica rigorosamente color oro e coloratissime sete stampate su cui sono impresse greche d’ordine corinzio e riccioli rococò. Il libanese Elie Saab, infine, ricrea su stoffe ricercate come pizzo, seta e chiffon, ricami con perline, paillettes e cristalli, talvolta solo per impreziosire determinate parti, altre volte i tessuti utilizzati ne sono completamente ricoperti. Elie risente dell’arte del ricamo, sfoggiata per impreziosire i costumi tradizionali durante le danze popolari dabke e raqs sharki, per costruire ogni suo dettaglio prezioso, seguendo però un mood incredibilmente femminile, sensuale e mai eccessivo. Gli abiti d’haute couture di Saab nascondono

bagliori lucenti color oro simili a quelli che rendono le danzatrici del ventre terre voluttuose di conquista.

I designer accostano quei pigmenti che ritrovano lo splendore di antichi popoli che lottavano per affermare la bellezza delle loro terre, abbellendole con pregiati intarsi, con maioliche, arabeschi e architetture simili ai luoghi del Corano. I tessuti si colorano dei toni del beige, dei marroni chiari, dei blu cobalto, dei silenzi, delle dune attraversate solo da un vento che scuote, con il proprio tormento, le vesti fascianti dei nomadi. Le collezioni nascono da queste terre e a questi luoghi ritornano per rendere uniche e pregevoli le movenze di chi si lascia catturare da uno stile che non teme confronti, perché sa che il Sud non è stato creato come un semplice luogo ma come archè divino.

 

CONSTRUIRE UN MEZZOGIORNO MEILLEUR di Carlo Borgomeo – Numero 2 – Ottobre 2015

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La question du développement du Mezzogiorno est une ancienne question, mais qui reste toujours ouverte, même si au cours des dernières années elle a semblée être particulièrement négligeable, presque marginale dans le débat politique et institutionnel.
Depuis toujours, nous avons été habitués à considérer le problème en termes d’écart économique entre le Sud et du Nord, donc, en substance, en termes de PIB. Mais étant donné les résultats de cette approche, il serait d’autant plus souhaitable de s’interroger sur la nature réelle de l’écart. Il faut se demander s’il s’agit principalement d’une question économique, de revenu, ou plutôt de degré de cohésion sociale, de sens de la communauté, de la diffusion de la culture de la légalité et, plus spécifiquement, de la qualité de la vie en société.

 

CONSTRUIRE UN MEZZOGIORNO MEILLEUR

 

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Depuis la fin de la Seconde Guerre mondiale le développement envisagé pour le Sud a été, en fait, « dirigé de l’extérieur”, peu pertinent pour les réalités locales, manquant d’attention aux sujets émergents et d’une inattention inquiétante à la qualité. Au contraire, le développement est un processus lent qui devrait être construit avec la participation des nombreuses personnes qui ne peuvent pas être considérés comme des «bénéficiaires» mais des protagonistes.

C’est un facteur déterminant et non un appendice du développement. Habituellement, personne n’est ouvertement hostile ou opposé aux politiques sociales, mais dans les faits, nous voyons qu’elles ne sont mises en œuvre que lorsque l’économie est florissante ou en phase de croissance. Au contraire, maintenant nous assistons à des désinvestissements et à des coupes. Mais s’il n’y a pas une communauté cohérente, il n’y a pas d’amour pour les règles et il ne peut pas y avoir de développement.
Le phénomène important de décrochage scolaire, la faible capacité d’attirer et retenir les « cerveaux » au Sud, l’abandon et la négligence des biens publics, l’incapacité à valoriser notre patrimoine, ne sont que quelques exemples d’une culture politique myope qui, en plus de causer des dégâts directs à l’économie (il suffit de penser aux coûts pour gérer les « urgences » ou limiter les dégâts), prive le Sud et le pays d’un potentiel de développement énorme. Un exemple significatif en est la gestion de la garde d’enfants, qui, étant donné l’importance de l’écart entre le Nord et le Sud et le reste de l’Europe devrait être la priorité d’une politique un tant soit peu attentive à «l’avenir» de l’Italie. En Calabre, la couverture des services de crèches est d’un peu plus de 2%, tandis que dans l’Émilie-Romagne, le pourcentage d’enfants pris en charge par ce type de services est de 27,3%. Un énorme gaspillage de potentiel humain qui vaut également pour beaucoup d’autres régions du Sud comparées au Centre-Nord. Il faut ajouter aussi que le Conseil Européen de Lisbonne avait fixé pour 2010 un objectif de couverture en crèches de 33% dans chaque État membre. Un écart de citoyenneté, pourrait-on dire, qui commence à un âge précoce et qui continue en croissant et s’ajoute à d’autres problèmes, jusqu’au baccalauréat et au-delà. Quel sens a-t-il alors de développer de riches systèmes incitatifs pour attirer les investisseurs dans des régions desquelles, très souvent nous voudrions que nos enfants s’en aillent?

s’occuper sérieusement des questions sociales est une forme d’investissement pour le développement d’une région.

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Je ne le crois pas. Je pense que désormais aucune perspective crédible de développement n’est possible si nous ne partons pas de la conviction que la véritable priorité, dans le Sud, est la cohésion sociale. La question de la Sud est devenue, si elle ne l’a pas toujours été, un problème social: de nouvelle pauvreté, de besoins différents, de fragmentation du tissu civil.
Est-il logique, alors, d’imaginer des politiques pour attirer les investissements dans des régions à la culture administrative très faible et avec une communauté fortement désagrégée? Est-il logique de « faire circuler d’argent » dans des systèmes incitatifs et des subventions, sans sélection et sans (véritable) vérification des résultats, avec des systèmes administratifs et institutionnels incapables de dépenser et, surtout, rarement en mesure de le faire bien? Est-il juste, dans une perspective de développement, de mettre en œuvre diverses mesures pour soutenir les revenus, non pas dans une logique de soutien transparente, mais de mille manières, souvent ambiguës et clientélistes, qui aboutissent souvent à générer de nouvelles distorsions dans le marché du travail? Est-il logique d’ignorer qu’une part substantielle du PIB du Mezzogiorno se trouve dans l’économie souterraine (qui ne coïncide pas nécessairement avec la criminalité) et de n’essayer aucune politique autre que des mesures répressives cycliques et partiellement efficaces?
Encore une fois, je ne le crois pas. Nous devons partir, tout d’abord, de la conviction que

Il faut engager une bataille culturelle et politique pour le Sud qui, tout d’abord, vise à aller au-delà de l’écart de PIB entre le Nord et le Sud et qui modifie la hiérarchie des interventions, des priorités, avec la conviction que la cohésion sociale, l’affirmation d’une logique communautaire adaptée ne sont pas des conséquences, mais des conditions préalables indispensables au développement.
Il faut refaire de la Politique (avec un grand P), récompenser l’exercice de la responsabilité, plutôt que les déclarations de loyauté, en développant une culture permanente de réseau, de confrontation, de débat, et d’écoute. En somme, nous devrions investir à nouveau dans les classes dirigeantes. Dans ce défi, le secteur tertiaire devrait jouer un rôle important, parce que – au-delà des cas sensationnels qui font l’actualité – il est capable d’exprimer un possible renouveau, porteur d’expériences et de bonnes pratiques qui, en fait, sont des éléments constitutifs de la vraie politique dans les territoires. Et je ne me réfère pas seulement aux aspects de solidarité et d’intégration, même s’ils sont importants, mais aussi aux dynamiques de réseau qui augmentent les possibilités de l’économie civile et le développement d’un bien-être commun.
Si nous imaginons un modèle qui ne cherche pas à tout prix un niveau de richesse improbable mais le développement ordonné et durable de nos territoires, alors nous pourrons construire un Mezzogiorno meilleur.

Il est clair que les importantes différences de richesses disponibles constituent une source formidable de différences dans les conditions de vie et il est fondamental de rappeler que le pays, malgré tout, a une obligation de solidarité avec le Mezzogiorno. Mais nous devons évaluer la validité de cette approche : est-ce la bonne, est-elle viable, est-elle culturellement gagnante et politiquement productive?

 

BUILD A BETTER SOUTH di Carlo Borgomeo – Numero 2 – Ottobre 2015

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The problems of Southern Italy (the so called “Mezzogiorno”) are old, but, nevertheless, always new. Are we sure that conventional ideas about the Mezzogiorno are still valid – after so many years of policy failures? The gap between Northern and Southern Italy has increased, rather than reduced. Is this gap only a matter of income, or is it more of a social issue, a matter of quality of the civil society? We cannot imagine to attract new funding if the territories do not provide the essential services to the people, if there are no investments on education and culture, if we do not foster civic-mindedness, if we do not aim for social cohesion. 

BUILD A BETTER SOUTH

 

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The development of the Mezzogiorno is an ancient topic, yet it remains open even if in recent years it has appeared feeble, barely marginal if compared to social and political debates.
The problem has always been assessed in terms of financial gap between North and South, so basically in terms of GDP. Considering the outcomes of this approach, though, we should be questioning the real nature of this gap. We must wonder if it is mainly financial, income-based, or maybe if it is rather affected by the degree of social cohesion, of sense of community, of distribution of legal knowledge and, more specifically, of civil coexistence.
It is clear that the strong differences in terms of available wealth are an adamant point of differentiation between the living standards, and it is right to say that Italy, no matter the circumstances, has a joint liability towards its Mezzogiorno. But one must first analyze the effectiveness of this approach: is it the right one? Is it feasible? Culturally successful and politically productive?
I personally believe not. I think that by now no realistic outlook of development will be possible if we don’t start from the belief that Southern Italy’s true priority is social cohesion. The Mezzogiorno issue has become, or has always been, a social issue: regarding new destitutions, different needs, fragmentations of the social canvas.

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Does it therefore make sense to imagine policies that will lure investments in territories with poor cultural administration and strongly broken up communities? Does it make sense to “spin some money around by promoting subsidies and benefits, without any selection or serious follow up of the results, with administrations and institutions that are unable to spend money, let alone in a good way? Is it right, when considering a policy of development, to actuate numerous income-supporting measures not trying to obtain a transparent assistance but rather through many unclear, client-based ways, that often cause further distortion in the labour market? Does it make sense to ignore that a substantial portion of the Southern GDP is made up of underground economy (not necessarily of a criminal nature) instead of trying out some sort of policy, if not cyclical and partially effective repressive measures?
Even in this case, I believe it does not. First of all we must up-bring the belief that seriously taking care of the social world is a way to invest in the development of a territory. It is a crucial aspect of the development itself, not an annex of it. Usually no one is blatantly against or in opposition to social policies, but factually we can only see these taking place in situations of flourishing or growing economy. Instead, we witness disinvestments and cut-offs. But without a cohesive community we cannot have love for rules and therefore development.

 

The growing phenomenon of early school leaving, the inability to attract and keep “brains” within our regions, the abandonment and negligence towards public assets, the incapability of appraising our heritage are just a few examples of a short-sighted policy that, in addition to affecting the economy (just think about costs when dealing with emergencies or when trying to limit damages), deprive Italy and its South of an enormous development potential. An example above all is the management of child-related services, with a gap between North and South and the rest of Europe so big that having a policy even vaguely interested in Italy’s “future” should be a top priority. In the southern region of Calabria the coverage of nursery schools is just over 2%, whilst in the north-eastern Emilia Romagna the percentage of children taken care of by childcare services is 27.3. A huge waste of opportunities that affects many other regions of the South compared to Italy’s central and northern ones. Moreover, the European Council in Lisbon set as a 2010 objective the 33% coverage regarding nursery school services for each Member State. A citizenship discrepancy, we could say, that starts for the earliest of ages and that carries on, growing and intertwining with other difficulties, up until adulthood and beyond. What is therefore the point in tuning rich subsidies to land investors in territories from which even we would often want our children to flee?

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From the end of World War II onwards the development imagined for Southern Italy has been, in fact, hetero-directed: little relevance to local thrusts, poor interest to emerging subject and a worrying inattention to quality. On the contrary, development is a slow process that should be built involving many parts that cannot be considered “beneficiaries” but protagonists.
We have to start a cultural and political battle for Italy’s South that will, in first place, set the objective to go beyond the gap of GDP between North and South, and change the hierarchy of the interventions and priorities, in the certainty that social cohesion and the setting of a righteous communal logic are not consequences but indispensable preconditions for development.
We must go back to doing Politics (with a capitol P), rewarding the exercise of responsibilities rather than the declarations of loyalty, developing a permanent knowledge of the net, of comparison, of debate, of listening. In other words, we should go back to investing in the Establishment. In this challenge the Leaders of Society must play an important role because – a part from the occasional striking news – in it we find those capable of expressing a possible new reality, bringing together experience and good deeds that, in concrete, are pieces of true politics in the territories. And I am not talking about solidarity and inclusive aspects, that are nevertheless important, but also other network dynamics that can increase financial paths and the development of a communal welfare.
If we keep in mind a model that does not chase unconvincing levels of richness to be obtained at any cost, but the organized and lasting development of our territories, we could build a better Mezzogiorno.

 

COSTRUIRE UN MEZZOGIORNO MIGLIORE di Carlo Borgomeo – Numero 2 – Ottobre 2015

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Il tema dello sviluppo del Mezzogiorno è una questione antica, ma sempre aperta, sebbene negli ultimi anni appaia particolarmente debole, quasi marginale rispetto al dibattito politico e istituzionale. 
Da sempre, siamo stati abituati a leggere il problema in termini di divario economico tra Sud e Nord, quindi sostanzialmente in termini di PIL. Ma visti gli esiti di questo approccio, sarebbe quanto meno auspicabile interrogarsi sulla natura reale del divario. Bisogna chiedersi se è soprattutto questione economica, di reddito, o non riguardi piuttosto il grado di coesione sociale, di senso comunitario, di cultura della legalità diffusa e, più precisamente, di qualità della convivenza civile. È evidente che le forti differenze in termini di ricchezza disponibile costituiscono una causa formidabile di differenziazione nelle condizioni di vita ed è sacrosanto ribadire che il Paese, nonostante tutto, ha un obbligo di solidarietà verso il Mezzogiorno.

COSTRUIRE UN MEZZOGIORNO MIGLIORE

 

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Dal secondo dopoguerra in poi lo sviluppo immaginato per il Sud è stato, di fatto, “eterodiretto”: poca rilevanza alle spinte locali, scarsa attenzione ai soggetti emergenti e una preoccupante disattenzione alla qualità. Al contrario, lo sviluppo è un processo lento che andrebbe costruito con il coinvolgimento di tanti soggetti che non possono essere considerati “beneficiari”, ma protagonisti.

Io credo di no. Penso che ormai nessuna credibile prospettiva di sviluppo sia possibile se non si parte dalla convinzione che la priorità vera, nel Sud, è la coesione sociale. La questione meridionale è diventata, se non è sempre stata, una questione sociale: di nuove povertà, di diversi bisogni, di frammentazione del tessuto civile.
Ha senso, quindi, immaginare politiche di attrazione di investimenti in territori a scarsissima cultura amministrativa e con una comunità fortemente disgregata? Ha senso “far girare un po’ di soldi” in incentivi ed agevolazioni varie, senza selezione e senza verifica (seria) dei risultati, con circuiti amministrativi ed istituzionali incapaci di spendere e, soprattutto, solo raramente in grado di farlo bene? E’ giusto, in una prospettiva di sviluppo, attuare svariate misure di sostegno del reddito, non in una logica di trasparente assistenza, ma in mille modalità, molte volte ambigue e clientelari, che spesso provocano ulteriori distorsioni nel mercato del lavoro? Ha senso ignorare che una quota consistente del PIL meridionale è fatto di economia sommersa (che non coincide per forza con quella criminale) e non tentare alcuna politica, se non cicliche e parzialmente efficaci misure repressive? 
Anche in questo caso credo di no. Bisogna partire, innanzitutto, dalla convinzione che

occuparsi seriamente del sociale è una forma di investimento per lo sviluppo di un territorio.

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E’ un aspetto determinante e non un appendice dello sviluppo. Solitamente nessuno è palesemente ostile o contrario alle politiche sociali, ma nei fatti notiamo che queste vengono praticate esclusivamente in condizioni di economia fiorente o in una fase di crescita. Di contro, assistiamo invece a disinvestimenti o tagli. Ma se non c’è una comunità coesa, non c’è amore per le regole e non può esserci sviluppo. 
Il consistente fenomeno della dispersione scolastica, la scarsa capacità di trattenere e attrarre i “cervelli” al Sud, l’abbandono e l’incuria dei beni comuni, l’incapacità di valorizzare il nostro patrimonio, sono solo alcuni esempi di una cultura politica miope che, oltre a provocare effetti diretti all’economia (basti pensare ai costi per gestire le “emergenze” o contenere i danni), privano il Sud e il Paese di un enorme potenziale di sviluppo. Un esempio su tutti è la gestione dei servizi all’infanzia, con un divario tra Nord e Sud e resto d’Europa così grande che dovrebbe essere la priorità di una politica minimamente attenta al “futuro” dell’Italia. In Calabria la copertura di asili nido è poco più del 2%, mentre in Emilia Romagna la percentuale di bambini presi in carico dai servizi per l’infanzia è del 27,3%. Un enorme scarto di opportunità che vale anche per tante altre aree del Sud rispetto a quelle del Centro-Nord. C’è da aggiungere, poi, che il Consiglio Europeo di Lisbona ha individuato per il 2010 l’obiettivo del 33% di copertura relativa al servizio asili nido in ciascun Stato membro. Un divario di cittadinanza, potremmo dire, che parte dalla tenera età e che prosegue, crescendo e intrecciandosi con altre criticità, fino alla maturità e oltre. Che senso ha, quindi, mettere a punto ricchissimi incentivi per attrarre investitori in territori dai quali molto spesso noi stessi vorremmo che i nostri figli andassero via?

Bisogna avviare una battaglia culturale e politica per il Sud che, in primo luogo, si ponga l’obiettivo di andare oltre il divario di PIL tra Nord e Sud e che cambi la gerarchia degli interventi, delle priorità, nella convinzione che la coesione sociale, l’affermarsi di una corretta logica comunitaria, non sono conseguenze, ma indispensabili premesse dello sviluppo.
Occorre riprendere a fare Politica (con la P maiuscola), premiando l’esercizio delle responsabilità, piuttosto che le dichiarazioni di fedeltà, sviluppando una permanente cultura della rete, del confronto, del dibattito, dell’ascolto. Insomma, bisognerebbe ritornare a investire sulle classi dirigenti. In questa sfida il terzo settore dovrebbe giocare un ruolo importante, perché – al di là degli eclatanti casi di cronaca – sa esprimere una possibile novità, portatrice di esperienze e buone pratiche che, nei fatti, sono pezzi di politica vera nei territori. E non mi riferisco solo agli aspetti solidaristici e inclusivi, pur importanti, ma anche alle dinamiche di rete che incrementano percorsi di economia civile e lo sviluppo di un welfare di comunità. 
Se abbiamo in testa un modello che non insegue a qualunque costo improbabili livelli di ricchezza, ma lo sviluppo ordinato e duraturo dei nostri territori, potremo costruire un Mezzogiorno migliore.

 

HERCULANUM DECOLLE ENFIN GRÂCE À UN PARTENARIAT PUBLIC-PRIVE di Giorgio Salvatori – Numero 3 – Gennaio 2016

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Herculanum recommence à vivre. Voici une autre réussite du Sud ignorée, ou presque, par les grands médias nationaux.
A partir de cette année, l’extraordinaire site archéologique de la Campanie offre au public quarante pour cent de plus de zones à visiter, soit une augmentation de près de 150.000 unités par rapport à 2000. Pour être précis, 384.000 contre 247.000 recensées au début du troisième millénaire. Un résultat exceptionnel. Résultat la « thérapie Packard ” et de la synergie public-privé qui donne d’excellents résultats.

Pourquoi le riche mécène américain a-t-il choisi Herculanum et non pas Pompéi, pour tester une collaboration internationale jamais tentée auparavant, et, apparemment, si difficile et délicate?

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HERCULANUM DECOLLE ENFIN GRÂCE À UN PARTENARIAT PUBLIC-PRIVE

 

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Tout a commencé en 2001, lorsque David W. Packard, le philanthrope américain bien connu, a fondé le Projet de Conservation Herculanum. Objectif: soutenir l’Etat italien à travers la Direction pour le Patrimoine Culturel de Naples et Pompéi dans son travail de protection et de valorisation du site d’Herculanum. Le projet repose sur la collaboration d’une équipe d’archéologues italiens et étrangers avec le soutien de la l’Ecole Britannique de Rome.

Pour au moins deux bonnes raisons: la première est que la zone de Pompéi est dix fois plus grande que celle de Herculanum. Par conséquent, elle se prêtait et se prête mieux à une action de soutien qui montre rapidement des résultats visibles. La seconde est que, mise à part sa taille, Herculanum, n’est pas moins importante que Pompéi et présente des caractéristiques uniques et précieuses, plus précieuses, même que celles de Pompéi. Lesquelles? Par exemple, le fait que Herculanum, à la différence de Pompéi, permet d’étudier la composition de la population grâce aux squelettes bien conservés de ses habitants surpris par le nuage de cendres et de gaz chauds qui les ont frappés lors de l’éruption du Vésuve en 79 après JC (le même qui a submergé les habitants de Pompéi). En outre, il convient de noter

Il s’agit d’un franc succès, résultat de la volonté de tous les participants à l’accord – Ministère de la Culture, Direction pour le Patrimoine, Fondation Packard – de travailler ensemble, sans a priori ni publicité inutiles.

Une caractéristique unique par rapport non seulement à Pompéi, mais aussi à tout autre site archéologique dans le monde.
Massimo Osanna, délégué spécial pour Pompéi, Herculanum et Stabia ne cache pas Sto arrivando! satisfaction.

L’enjeu est la préservation d’un bien commun inestimable, source de découvertes continues et laboratoire archéologique et didactique sans précédent.
L’espoir de Myrrha est que l’exemple du projet Herculanum puisse être suivi ailleurs en Italie. Afin de ne pas laisser à l’abandon, de manière irresponsable, des vestiges et la mémoire historique de notre prestigieux passé.

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que c’est seulement à Herculanum que la nuée ardente a enveloppé, mais pas détruit, le mobilier et les aménagements de la ville. Ceux-ci, de fait, sont restés en grande partie intacts, dans leur forme originale, dans des maisons privées et dans les lieux publics.

 

ERCOLANO FINALMENTE DECOLLA CON LA FORMULA PUBBLICO-PRIVATO di Giorgio Salvatori – Numero 3 – Gennaio 2016

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Ercolano torna a vivere. Ecco un’altra eccellenza del Sud ignorata, o quasi, dai grandi media nazionali.
Da quest’anno lo straordinario sito archeologico campano si offre al pubblico con un significativo 40 per cento in più di aree aperte ai visitatori che, rispetto al 2000, sono aumentati di circa 150mila unità. Per l’esattezza, 384mila contro i 247 mila conteggiati all’inizio del terzo millennio. Un risultato eccezionale. Effetto della ”cura Packard” e della sinergia pubblico privato che sta dando ottimi risultati.

Perchè proprio Ercolano, e non Pompei, è stata scelta dal facoltoso mecenate americano per sperimentare una collaborazione internazionale mai tentata prima e, apparentemente, così difficile e delicata?

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ERCOLANO FINALMENTE DECOLLA CON LA FORMULA PUBBLICO-PRIVATO

 

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Tutto è cominciato nel 2001 quando David W. Packard, noto filantropo statunitense, fondò l’Herculaneum Conservation Project. Obiettivo: sostenere lo Stato Italiano attraverso la soprintendenza speciale per i beni archeologici di Napoli e Pompei, nell’opera di tutela e di valorizzazione del sito di Ercolano. Il progetto si avvale della collaborazione di un team di archeologi italiani e stranieri ed ha il supporto della British School di Roma.

Almeno per due buone ragioni: la prima è che l’area di Pompei è vasta 10 volte quella dello scavo di Ercolano: quindi, quest’ultimo si prestava e si presta meglio ad un’azione di sostegno, con risultati visibili, in tempi rapidi. La seconda è che Ercolano, dimensioni a parte, non è meno importante di Pompei e, anzi, presenta caratteristiche uniche e preziose, più preziose ancora di quelle riscontrabili a Pompei. Quali? Ad esempio il fatto che a Ercolano, a differenza di Pompei, è possibile studiare la composizione della popolazione attraverso gli scheletri ben conservati delle persone sorprese dalla nube di ceneri e gas roventi che li investì durante l’eruzione del Vesuvio del 79 avanti Cristo (la stessa che sommerse la popolazione di Pompei). In più c’è da notare che

Si tratta di un successo incontestabile, frutto della volontà di tutti gli artefici dell’accordo – Ministero dei Beni Culturali, Soprintendenza, Fondazione Packard – di lavorare insieme, senza riserve e inutili protagonismi.

Una condizione unica rispetto non soltanto a Pompei, ma anche a qualsiasi altra area archeologica del mondo. Non nasconde la sua soddisfazione Massimo Osanna, Soprintendente Speciale per Pompei Ercolano e Stabia.

In gioco c’è la salvaguardia di un bene comune dal valore inestimabile, fonte di scoperte continue e laboratorio archeologico-didattico senza precedenti.
L’auspicio di Myrrha è che l’esempio del progetto di Ercolano possa essere seguito anche altrove, in Italia. Per non far deperire, irresponsabilmente, vestigia e memoria storica del nostro prodigioso passato.

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solo a Ercolano la stessa nube ardente avvolse, ma non distrusse mobili e arredi. Questi ultimi, anzi, restarono sostanzialmente intatti, nelle loro forme originarie, nelle case private e nei luoghi pubblici della città.

 

FENOMENI LUCE di Giusto Puri Purini – Numero 3 – Gennaio 2016

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…E dunque dopo tanto percorrere, tanto praticare, è del “Fenomeno Luce” che andrebbe disquisito… nel riconoscere alla sua invadenza ed alla sua mancanza (assenza), il valore di ciò che in arte si tace o si manifesta.
Questa continua alternanza è l’altalena della vita, e non limitandosi a percepire di questo fenomeno i valori visivi, ma anche quelli spirituali, ambientali, culturali e volumetrici, si accede alla soglia della porta della conoscenza, e scoprendola non piena, ma, soave e traforata, si attraversa, alla ricerca della luce che vi affiora; quindi, superata la soglia, si rivolge indietro lo sguardo ed attraverso lo stesso traforo, si scopre la luce lasciata… dall’impulso “innovativo” e dalla comprensione di ciò che si lascia ci si proietta verso il nuovo.

Da qui il millenario culto per il Dio dell’innovazione che portava con sé il segno dei tempi nuovi. L’isola si ancorò al fondo marino con immensi pilastri di cristallo e, sulla superficie, gli uomini con l’aiuto degli dei collaborarono a costruire l’isola della luce. In questo racconto, appare la zattera-isola, il nuovo e la luce insieme, il culto, la cultura ed il fiorire della civiltà…

Chi ne ripartiva, tornava alle sue terre arricchito del sapere. I metodi, per esempio, di interazione tra progettualità e cerimonialità, con una metodologia quotidiano-sociale, fonte di arricchimento collettivo tesa a sostenere anche durante lo scorrere della vita terrena l’anello impermalente che ci lega alle forze cosmiche, sono stati molteplici, e, molti sfrondati del loro “Divino” sono oggi i metodi con i quali esercitiamo le nostre magre, asciutte e specialistiche professioni.
Così allora, la Geomanzia, oggi Architettura, tesa a perpetuare i valori esoterici, in simbiosi con quelli astrologici, cerca ogni volta, nell’intreccio della lotta tra il vento e l’acqua (Feng shui) il luogo predestinato alla costruzione.
Accanto alle colline verdeggianti, ed in presenza di un corso d’acqua, il drago e la tigre si incontrano, e dal loro atto d’amore nasce un vortice di energia benefica, e sarà quello il luogo ideale prescelto per l’insediamento (zona esogena).

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FENOMENI LUCE

 

Giusto-Purini-Marrone

La luce, quindi, anche come filo di Arianna della storia: ed essa, da lei abbagliata, ci racconta, sotto molteplici aspetti, il suo comparire nelle religioni come ammaliatrice degli spiriti, nella mitologia per significare i luoghi sacri; nei territori, nelle città, nei picchi montuosi, nella biologia per spiegare la vita; nella musica, nella pittura…dovunque! Anche nella fisica, ove si sostiene che, più un corpo si avvicina alla velocità della luce, più aumenta la sua massa, fino a divenire luce essa stessa, compaiono quelle grandi teorie ove innumerevoli spunti ed affinità le avvicinano alle antiche scritture.
Quindi immaginando della luce, un “incredibile” processo all’incontrario, tendente alla formazione di una massa, di una forma, in un inesauribile processo di raffreddamento, tra le infinite probabilità, sorgiamo noi e ciò che ci circonda.

La luce, nelle antiche scritture, ci è mostrata come sintesi finale dell’unione cosmica, dove tutto confluisce, e le nostre essenze si realizzano in quell’infinito…

golfo del Messico, mare Giallo, mare Andamano, mar Nero… luoghi lontani, territori ancora da scoprire in profondità; la tendenza: “in profondità”! Conquiste nuove del sapere, altri fenomeni luce dove applicare ciò che si va apprendendo. Ma è casa, la prima culla “home”, e quindi tornati nel “Mare Nostrum” possiamo vedere altre leggende, altri miti applicati al fenomeno luce, come i fabbri di Vulcano, Dio del fuoco, nel cuore dell’Etna, le luci dello Stromboli, che con le sue cicliche esplosioni (ogni 15/20 minuti) indicavano il percorso ai naviganti diretti verso l’alto Tirreno; le pietre megalitiche ad Arzachena in alta Sardegna disposte ad arco come le corna del bue sacro, a formare la tomba dei giganti, violata all’alba dal primo raggio di sole, attraverso la piccola fessura ad arco intagliata ai piedi della pietra più grande, colei che ripara il dormiente nel suo sonno eterno: ed ecco ancora, dall’interno il volto del dormiente percepire il primo raggio di luce… 
Gli elementi vitali, quindi, in comunicazione tra di loro, fori e trafori, permettono all’energia di continuare ad essere trasmessa.
Così pure il Ka-Ba dell’antico Egitto, energia che dall’interno (tombe) si trasmette verso l’esterno (Ka) e viceversa (Ba), perché anche ciò che non è più, sotto forma materiale, continui a fluire verso la grande luce finale.
La tomba di Ramsete, il culto di Amon e la poetica del sole. Questi e mille altri spunti “luminosi” per una lettura coordinata dei miti, delle leggende, delle cerimonie, dello sciamanesimo, che formano il nostro archetipo, le colonne di cristallo, sulle quali stabilizzare la nostra zattera-isola, vista come terra non ferma… Su queste basi è necessario fondare una vasta area di ricerca, basata sull’applicazione di un metodo che tenda all’utilizzazione della cultura e della conoscenza per applicare la lezione della mitologia alle successive fasi dell’evoluzione dei popoli del Mediterraneo;

Ed ecco che “Fenomeni Luce” vari, dall’Egeo, la porta della conoscenza, alle colonne d’Ercole, dalla velocità della luce al raffreddamento della materia, dall’infinitesimamente piccolo all’infinitesimamente grande, conducono alla percezione di quella irrealtà psicofisica detta: “impermanenza”.

L’essere e non essere, l’apparire (colpire) e sparire, la metafisica e la metamorfosi, sono fenomeni conseguenti a questa consapevolezza, ed è attraverso la porta traforata della conoscenza che si compie il rito di colui che ritorna un attimo con lo sguardo sui suoi passi e non vi sarà più paura del nuovo… le due facce di una stessa medaglia, un unico filtro luminoso ma nelle due diverse realtà da osservare. 
Ed anche qui, una manovra di ingegneria umana complessa, ci consegna le possibilità di percepire a fondo le “sensazioni professionali” che esercitiamo.
E’ la luce, insieme agli occhi, direttamente collegata alla nostra memoria conoscitiva, ai nostri dati, alla nostra capacità di produrre immagini, suoni o pensieri, a “divenire” nel nostro mondo fantastico, e prendere forma non solo come discorso progettuale (in pianta), ma con qualche cosa di, sempre in movimento, mutevole, fluido, impermalente…
…uno, cento, mille… Mediterranei.
Avvinto dalla luce adesso mi trovo nell’Egeo, nelle Cicladi, sono ciò che rimane del grande pianeta scomparso: Mu; ed esse affiorarono dal mare come gemme, formando un cerchio (ciclo) il cui centro è appunto Delos… la lucente.

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Penso oggi che più tempo impiega un corpo a raffreddarsi e più armonicamente si disporrà l’insieme dei nostri meccanismi fisico-biologici, migliori e più consapevoli saranno quindi le certezze di “essere” e di poter usare le capacità infinite di cui siamo dotati.
Ma ciò che il raffreddamento a timer armonico non ci avrà dato, si potrà ottenere con lo studio, la ricerca, l’applicazione, e a mano a mano che ci si libera del proprio ego e si accetta di far parte dell’universalità, si rientrerà in possesso di quegli strumenti per i quali siamo stati resi operativi. Si può dire ancora che la luce è pura energia, che l’energia deriva dalle esplosioni atomiche dei tanti soli figli di quella piccola esplosione, che fu all’origine del Big Bang…

La mitologia racconta che Delos era l’unica isola galleggiante, e che qui Letona, amata da Zeus, inseguita dall’ira della moglie Era, costretta dal divieto di partorire in qualsiasi terra ferma, vi si recasse e desse alla luce Artemide ed Apollo…

siamo nel Mediterraneo tra tante storie impermanenti… il Mediterraneo come esempio mondiale di club-sandwich culturale, strati di storia sovrapposti, sapori che si confondono… uno, cento, mille Mediterranei…

dalla creazione del loro habitat quotidiano, alle infrastrutture del territorio, alla creazione dei luoghi sacri (vedi Delos), primi veri grandi centri d’incontro tra genti diverse, vere Nazioni Unite del passato.

Il corpo e la terra in simbiosi; le nostre vene, dove viva scorre l’energia, il “Ci”, assimilato ai fiumi, ai corsi d’acqua, questo era l’architetto astrologo-cerimoniere.
Il “Fenomeno luce” si perpetua, anche se oggi l’uomo esternamente si spente, cavaliere com’è della “Coca Cola” e dei suoi ridicoli egocentrismi.

Com’è importante invece praticare le isole della luce che sono dentro di noi, ma come dice il buddismo tibetano, dette forze (che ci spingono verso l’illuminazione) appaiono in forme spaventose ai nemici della luce e della verità.
Volendo visualizzare oggi queste forme spaventose potremo pensare alla Psichiatria, allo psicosomatico, alla paranoia, allo stress, al razzismo… religioni e sensi di colpa e quant’altre forme di sgretolamento umano il mondo occidentale e moderno ha saputo assumere nella costante e ossessiva ricerca del muro pieno, dell’ostruzionismo.
Rendersi conto che la gran parte delle malattie esistenziali del nostro tempo, nascono dalla volontà di disattendere le leggi naturali che sono insite in noi, questa volontà cosciente di voler frapporre la “ragione”, quindi il razionale, seppur fondamentale in ogni essere pensante, ad ogni soffio di metafisica, di illuminazione, di camminare con le proprie gambe, è senz’altro causa, come è dimostrato oggi, di malattie profonde, che al limite intaccano il nostro sistema neurovegetativo e rendono precario il nostro sistema (immunitario). 
Ecco che l’ostruzionismo, l’ignoranza, portano automaticamente ad un conflitto luce-malattia (buio), anche malattia di sempre; c’è oggi nella società una sindrome del “non sapere più” o del “non aver mai saputo”.
“Barbara” è la condizione del brodo primordiale, che ha originato il mondo occidentale, e con le sue barbarie ogni distruzione è stata lecita, nel passato e nel quasi presente… ma oggi, dopo le utopie ottocentesche, e le distruzioni novecentesche, una società più equa, assistenziale, informatica si è pur creata in occidente; ma

l’attesa che la ricchezza ed il benessere possano divenire gli alleati dei “Fenomeni luce”, si sta rivelando una delusione cocente.

Come sotto un rullo compressore, valori e spessori antichi sono stati spezzati via, ed i loro sacerdoti “licenziati e messi in catene”.
Questo anche perché il pensiero, nel suo imbruttimento attuale, dai generosi sospiri socratici, alla mesta depressione pan-germanica, ha contribuito alla creazione di un pensiero “dominante” e tutto quanto non gli attiene, viene definito trasgressivo, quindi tollerato, ma ridotto all’impotenza. Il volto freddo del capitalismo aleggia su di noi, dopo tanto illusionare… 
Naturalmente vi sono eccezioni: ad eventi eccezionalmente repressivi, rispondono uomini eccezionalmente rappresentativi: per leggi fisiche che regolano il flusso della luce nello spazio, Einstein, Hawking; Tiensing Gyatsò per la luce dello spirito ed il riscatto dell’uomo; Piero della Francesca per la luce nell’arte, e poi altri nelle scienze, religioni, politica e poi, semplici maestri di vita del quotidiano, presi tra la gente, dovunque. Ecco quindi prodursi lungo questa strada, forme più complesse ed articolate del sapere, nuovamente primarie, in grado di comunicare non solo per date storiche o per ordini di capitelli, ma anche ad esempio attraverso i “vezzi” dei popoli; molto spesso manifestati dalle loro architetture.
Se dovessimo dunque ipotizzare l’esistenza di due strade maestre, non è che quella di serie B, il “nuovamente primario”, sia più praticabile di quella di serie A, ma attraverso la prima si manifesta meglio la continua “reincarnazione” della storia; come se un filo logico, un narratore unico, ci facesse prendere un ascensore verso il passato e viceversa, ed è questo filo di Arianna, quello che mantiene vive le tradizioni, che ci rende delle lente, lentissime metamorfosi di una architettura e di un territorio, della loro mutazione -dall’austerità al vezzo (penso alle colombaie delle torri di Mykonos) – merletti a definire i contorni delle architetture realizzati oggi in mattoni forati e poca calce, o quello che noi italiani abbiamo fatto nel Dodecanneso vestendo le architetture che nascevano ispirate alla neo razionalista Sabaudia, con i veli delle Mille e una notte,… i vetri colorati della finestra di Tangeri… il tufo giallo di Noto, dove una città è scolpita come una statua, i pergolati a vigna di Sorrento, le cupole dei camusi di Pantelleria… le bianche colonne rotonde dell’architettura Eoliana… Nulla contro la serie A!

Anzi quanti elementi sintetici, tipici dell’espressione di ogni diversa civiltà, si manifestano nelle facciate, negli snodi strutturali, nei contenuti, nella sontuosità della “Grande Opera”, nella compiutezza di un messaggio culturale complesso, veri pilastri, a testimoniare le glorie di ogni civiltà!

Ma spesso è l’espressione del potere che le ha create a mostrarcele come cattedrali nel deserto, opere realizzate nel loro significato più profondo, anche a dispetto di una committenza spesso ignara del contenuto artistico e spirituale, ma pronta a paludarsi ed a moltiplicare attraverso di esse la propria immagine.
Questo dualismo, arte e potere, è alla radice della costruzione della nostra e di altre civiltà. Forse nella costruzione della città-stato italiana, questo dualismo arte e potere e le due strade, di cui prima si ipotizzava (A e B), si fondevano, attraverso una conflittualità che si stemperava per divenire concausa di interessi.

Il principe e l’artigiano, l’artista ed il religioso, il mercante e l’astrologo, il guerriero ed il mistico, concorrevano in modo mirabile alla costruzione di un qualche cosa che potremmo definire “evoluzione”,

vedi Sigismondo Malatesta, il signore e Leon Battista Alberti, l’Architetto e la magia della funzione oriente occidente nei lavori malatestiani di Cesena, rappresentazione di un sistema di vita dove gli uomini virtuosi e gli dei si identificavano, lavorando ora per gli uni, in sfide tecnologiche e spregiudicate, ora per gli altri.
In altri casi, ove la corda dei rapporti intersociali era troppo tesa, e quasi sempre a svantaggio del popolo suddito, il potere immancabilmente produceva disequilibrio, e più di ogni altra, ne risentiva l’architettura, pronta ad esasperare suddivisioni sociali, con barriere territoriali e diktat urbanistici… 
Quindi, tornando un attimo ai “vezzi” delle sontuose facciate di cui prima, frutto, come si diceva, di committente ove la corda sociale era troppo tesa, essi ci raccontano del travaglio degli artisti che vi affidavano messaggi della loro autonomia di pensiero e di creazione.
“Vezzi”! dai volti grotteschi e sacrilegi degli altorilievi delle chiese dei secoli bui, ai putti del Barocco, alle volute effimere, ai bugnati sproporzionati e martellati, alle “false prospettive”, arte dell’inganno? Del raggiro architettonico? Non ci erano forse costretti? E non è la costrizione a spingere spesso l’uomo ad escogitare sempre più ingegnosi stratagemmi?
Ed anche arte del segno, della ricerca di un linguaggio solo fra iniziati, esoterico il filo di Arianna, delle isole della luce che era dentro di loro!
La “Serie B”, dunque, come “inconscio” portato in superficie dalla profonda necessità dell’uomo di praticare le proprie libertà, di proseguire quel dialogo diretto con l’ancestrale, e di preservare gli strumenti primari di comunicazione verso l’evoluzione delle “cose”, in perenne conflitto con l’altra via (Serie A).

Siamo schegge di stelle; quindi attori di una metamorfosi che appare inarrestabile, ognuno con il suo processo di raffreddamento, il suo manifestarsi nella propria unicità, ma tutti insieme provenienti dalla stessa sorgente cosmica: “La Luce”.

 

UNA BOTTEGA DORATA NEL CUORE DI SCAMPIA di Alessandro Montone – Numero 3 – Gennaio 2016

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In un’oscurità – fatta di silenzio, desolazione ed indifferenza – c’è Scampia, un quartiere che ogni giorno combatte per un futuro diverso, offrendo al territorio e ai suoi giovani tante opportunità per colorare di nuovo il loro avvenire. Da sempre accostata a fatti di cronaca, portata come esempio di un Sud difficile, dove è impossibile creare opportunità positive, Scampia invece racchiude, in sé, virtù inesplorate e poco conosciute che la rendono grande nella sua intima e innata voglia di essere tra i fari e tra le guide concrete per la rinascita del Mezzogiorno.

Nel tempo, molte sono le realtà sociali, culturali, aggregative che sono sorte nei territori di Scampia; fra queste, un esempio virtuoso di questo processo di rinnovamento è sicuramente la

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UNA BOTTEGA DORATA NEL CUORE DI SCAMPIA

 

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Bottega Artigiana per il Libro: un luogo, uno spazio di rivincita e di rinascita che ha nella conservazione della cultura la sua missione.

La Bottega, dunque, è oggi quel luogo nel quale la cultura rinasce come metafora positiva di un quartiere che, nel silenzio dei media, ogni giorno contribuisce a riposizionare, in un’ottica di eccellenza, il Sud d’Italia.

Al suo interno un team di 9 persone: 3 formatori e 6 legatori.
L’attività della Bottega vive principalmente grazie alle commesse che le vengono affidate da Milano a Bologna, da Firenze a Roma e da Napoli. Fra le realtà istituzionali che ormai da anni si affidano alle capacità legatoria della Bottega c’è da menzionare la Biblioteca Angelica di Roma, che dal 2012 ha creato una positiva sinergia con gli artigiani di Scampia. Molti sono stati e sono i volumi ‘curati’ che hanno ripreso forza e vigore. 
Dopo un breve periodo di ‘convalescenza’, i libri, patrimonio dell’umanità, sono potuti tornare a svolgere il loro ruolo di guida e di conoscenza impreziositi da una nuova forza tattile e visiva, grazie alle quali potranno essere fruiti, ascoltati e vissuti in tutta la loro unicità.

Nata nel 2009, all’interno della Cooperativa “La Roccia”, la Bottega Artigiana per il Libro è un’attività di puro artigianato che punta a diventare un’eccellenza fra le realtà produttive della Campania e del Sud in generale. Il luogo dove sorge, in via della Resistenza è evocativo così come la cooperativa che la accoglie: la Roccia e Resistenza. Due termini, due parole che dicono tanto. Una Roccia, che rimanda alla forza, al suo essere indistruttibile e Resistenza che richiama tutti a non rinunciare, e a combattere sempre per farcela.

La Bottega è questo, uno spazio inclusivo e integrato, forte e determinato, che ha deciso di puntare al cuore del concetto più puro di evoluzione e di progresso di ogni società: la cultura.

E’ proprio attraverso questa che si concretizza e si completa nel tempo il viaggio di ogni uomo, donna e ragazzo nella comunità di un popolo, di una Nazione e nella vita di tutti. E’ nella conservazione, nella cura e nel restauro la forza della Bottega.
Nell’era dell’e-book, del digitale e dove con un click o una app tutto diventa fruibile in tempo reale, la legatoria della Bottega Artigiana punta sulla tradizione, punta sulle pregevolezze culturali che hanno reso grande il Sud e l’Italia nel suo complesso. Le pagine, la carta, gli odori e le lettere diventano un’orchestra di suoni leggeri per promuovere e preservare il nostro patrimonio librario.
Dopo una prima fase di pura formazione durata tutto il 2009, oggi la legatoria è un luogo di produzione artigianale con un proprio nucleo di esperti in progettazione, marketing ed economia:

una vera e propria start-up nella realizzazione di interventi di restauro sia di volumi antichi che moderni; nata, cresciuta e formatasi nel cuore di Scampia.

Se si volesse invertire l’assunto negativo secondo il quale il Meridione ha sempre bisogno di avere una guida per emergere, forse ci si troverebbe a parlare di un Mezzogiorno come motore delle energie migliori da tutelare, conservare e sviluppare. I fari positivi ci sono, basterebbe seguirli per trovare la strada del successo sociale.