MATERA É UN MONDO A PARTE di Carmen Lasorella – Numero 1 – Luglio 2015

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ritardi e i limiti del Sud più irriducibile, dove i sedimenti del passato passano dalle pietre all’anima. Con la designazione a capitale della cultura europea nel 2019, si è dilatata l’iperbole del possibile. In una città che non è servita da un treno veloce, che non ha un porto, né un aeroporto, con strade improbabili e attività economiche decotte, si ragiona di platee internazionali e di orizzonti spalancati, senza porsi il senso del limite o la misura. E’ inebriante l’euforia che ha pervaso i luoghi e chi li abita, quasi una malia. E’ come se l’atavica rassegnazione del Sud si fosse frantumata nell’aspettativa di una trasformazione radicale “a prescindere”, per il solo fatto che la scelta europea ne farà comunque una capitale.

 

MATERA É UN MONDO A PARTE

 

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Cavalca la fantasia di una realtà immaginaria quasi che fosse il pianeta di Saint Exupéry, con il Piccolo Principe innamorato della sua rosa, ma sconta i 

Non è arrivato anche Ben Hur con la sua quadriga? Il fasto millenario dell’impero di Roma è stato evocato proprio qui, tra quinte di cartapesta e tufo della murgia, con Morgan Freeman, il grande attore di Menphis, magnetico nel suo sguardo di ebano e Jack Huston, che prova a reggere il confronto con Chalton Heston, in un remake digitale del colossal americano, che vinse 11 Oscar negli anni ’50. Matera, un set, dunque, intanto. E nella finzione cinematografica, la promessa di un mondo migliore dove vincono i buoni sui cattivi, con il primato della fede in Dio, che spazza via gli idoli pagani. Non importa se il circo di una produzione movie nel giro di pochi mesi ha smontato le tende, riavvolgendo le bobine chilometriche dei suoi cavi volanti e con essi il senso della precarietà di un’avventura: i riflettori hanno illuminato la notte materana. I cittadini, che pure si sono dovuti accontentare di rimanere dietro le transenne di una quotidianità che è rimasta distante, potranno ammirare la loro città in una poltrona di prima fila sullo sfondo di un sogno.

Ecco, è questo forse il segreto dell’alchimia materana: il rapporto con la città da parte di chi ci è nato o la vive. A prescindere dall’età dal genere o dall’estrazione, Matera provoca incanto, ammirazione, crea una relazione soggettiva, che si fa magnetica. I Sassi incastonati sulla collina, nella sapienza di popoli primitivi e rielaborati dal tempo nelle architetture di ogni epoca, sono uno spettacolo. Si può parlare di magia. Si provano emozioni intense, si vive il piacere, si gode la bellezza. Ci si ritrova come in uno spazio acronico che include e moltiplica. E’ così immediato il senso dell’unicità e la specialità dell’atmosfera, che ne sono contagiati soprattutto i più giovani, oramai abituati alla dimensione virtuale. Qui lo stupore è immanente e riprodotto in 3D.

Nel dossier preparato per la commissione europea, che ha vagliato la candidatura di Matera, in apparenza in svantaggio rispetto alle altre concorrenti blasonate, sono stati enumerati i pregi e le virtù, ma anche i progetti in cantiere per l’appuntamento del 2019. Si è trattato di una sorta di cahier du bonehur, che ha suscitato non poche critiche, ma che ha fatto effetto. La sfida è di quelle che possono segnare la storia ed entrare nella leggenda. L’anatroccolo che diventa un cigno. Il progresso che arriva con la cultura. Gli sprechi e l’approssimazione del Sud dimenticato, che virano verso un futuro operoso, dove la genialità meridionale e l’identità territoriale portano sviluppo e seminano legalità. Un’occasione ghiotta, nella lungimiranza illuminata di una decisione non facile. Toccherà ora agli interpreti.

Matera, negli ultimi mesi, è stata teatro delle grandi manovre per il rinnovo della giunta comunale, con la poltrona di sindaco contesa dai partiti e dalle liste civiche. Mai come questa volta si è trattato di una competizione allo spasimo, affollata, imprevedibile. La posta in gioco e soprattutto le risorse che pioveranno sulla città hanno alimentato gli antagonismi e le ambizioni, anche gli appetiti. E’ stato il tutto per tutto e il tutti contro tutti. Ma se poteva essere l’irripetibile occasione per un voto d’opinione nell’attenzione dei media nazionali e delle politiche per il Sud – che sarebbe stato di per sé un nuovo principio – ci si è limitati invece ad una kermesse dai confini locali e così per gli interessi. Il risultato ha premiato la discontinuità rispetto ai precedenti equilibri politici, senza però cambiare gli attori e ancor meno le logiche della politica di sempre, che costruisce alleanze di poteri e non di scopi. Dato positivo, però, la partecipazione, altissima, e il pathos, che si manifesta con la partecipazione.

Nella città dei Sassi, forse, si potrebbe davvero avviare un percorso verso nuovi traguardi. Sarebbe la scommessa già vinta da Matera e da tutto il Sud. La speranza che può nascere quando c’è un’opportunità, dimostrando che esiste una cura possibile anche per un corpo trascurato, che voglia lasciare al passato la marginalità.

La questione dunque va a spostarsi sulla portata del cambiamento. Servirebbe a poco una fabbrica di eventi – come alcuni immaginano – perché la sfida culturale è crescita sociale, coesione, sviluppo armonico di un territorio e delle sue infrastrutture, tradizioni e tecnologie, sentimento e razionalità. I Sassi dovranno imparare a difendere la propria anima, ma dovranno farlo anche le periferie, dal rischio di diventare il fast-food dei turisti e il loro albergo. Toccherà alle donne e agli uomini di Matera, insieme agli altri che da questa città sono attratti, diventare i garanti della transizione. Il loro impegno ne sarà lo strumento. La prospettiva di capitale europea della cultura, anche se solo per un anno, è l’investimento che può lasciare traccia per sempre. Lo stupore immanente dei luoghi, riprodotto in 3D, che ammalia anche i giovani dell’era digitale, dovrà poter rappresentare il loro futuro. E’ questa la cifra concreta, che farà la differenza.

 

NORD, SUD O SEMPLICEMENTE UN UNICO PIANETA di Aloisio Gaetani d’Aragona – Numero 1 – Luglio 2015

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Da secoli e secoli la fisionomia, i sentimenti, la forza e le debolezze dell’essere umano continuano ad essere essenzialmente sempre le stesse. Quando ci fermiamo di fronte ad un busto romano, ad un calco di un corpo fermato all’improvviso dall’eruzione, un quadro rinascimentale o anche una foto in bianco e nero di appena cento anni fa e ci obblighiamo a guardarli respirando più lentamente e con l’attenzione di tutti i sensi uniti, incluso il sesto, non ci sono dubbi che quanto stiamo osservando siamo proprio noi stessi e non solo nella somiglianza delle espressioni del volto ma nel profondo, così come a sua volta tra mille anni lo intuirà chi avrà voglia di curiosare nelle testimonianze del passato, circondato da cose e tecnologie che oggi sarebbe meglio non provare neanche ad immaginare.

NORD, SUD O SEMPLICEMENTE UN UNICO PIANETA

 

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E’ un po’ come cliccare su Google, formulare domande complesse e scoprire che prima di noi c’è sempre stato qualcuno che si è chiesto esattamente la stessa cosa, ma solo con altre parole, vestito in un’altra maniera, nato in posti diversi e lontani, circondato da altre cose; nel fondo sarà comunque sempre la stessa identica domanda intorno allo stesso, identico concetto con 

la stessa risposta.

Quello che crediamo di percepire così diverso da come siamo adesso è solo il contorno, l’apparenza ma la nostra essenza non è cambiata nel tempo e, probabilmente, non cambierà. L’idea che il vestire, il comunicare, il modo intero di vivere ci faccia pensare di essere così diversi da chi ci ha preceduto, magari anche solo di poco, non vuol dire che tutto sia cambiato e che non abbiamo niente a che fare con le generazioni precedenti, tentati a volte di fare anche dell’ironia; tutto il contrario.

Mi viene un po’ difficile quindi accettare che esistano ancora nel nostro Paese, come nel resto del pianeta, delle differenze nel progresso e nei modi di vivere, spesso limitanti, legati soprattutto ad una posizione geografica particolare e sentirmi in qualche modo obbligato a confrontare, cercando di riscattarli, gli infiniti meriti legati ad un pezzetto di mondo sovrapponendoli agli altrettanti infiniti meriti dell’altro.

Musica, pensiero, arte, figure folgoranti in ogni campo, eccellenze e genialità, senso innato dell’ospitalità, amabilità, creatività e immaginazione le abbiamo lungo tutto lo stivale e forse varrà la pena di accennare invece al grosso del tessuto umano, quello che vive senza seguire “virtute e canoscenza”.

Le differenze vere sono quelle tra pensiero illuminato, aperto, creativo e libero che confini e radici esclusive in uno specifico territorio non ne può avere e l’ottusità, la ripetitività e la pigrizia di milioni di persone che a loro volta non possono essere esclusivamente legate ad un fattore geografico.
Questi limiti si riferiscono qualche volta a punti sul pianeta nei quali si presentano più frequentemente, ma ne sono tutti allo stesso tempo pezzi integranti, meravigliosi ed unici con una storia altrettanto ricca e complessa, fondamentale negli equilibri della storia universale che li riunisce.
Solo il pensiero illuminato e libero si intreccia però con gli altri, si innalza, crea e lascia il segno.Nel nostro Paese le grandi differenze nel pensiero e nella scala dei valori corrispondono a sacche di stagnazione che non hanno casa a Milano anziché Palermo o a Roma invece di Napoli, ne’ le possiamo abbinare alla incapacità di saper odorare il vento, sfruttando le occasioni che a volte vengono depositate qui e domani lì, come spesso alcuni tendono a fare. Non sono le opportunità che fanno la storia o rendono un Paese progredito e diverso ma la capacità di saperle vedere, creare o intuire insieme alla fiducia in noi stessi, al coraggio e l’onestà intellettuale, le quali nascono quando si è ancora bambini dall’esempio, dai valori che altri ci hanno trasmesso, dalla conoscenza e dall’educazione ricevute nei nostri primi anni di vita.

Le grandi differenze a mio parere risiedono soprattutto nel protrarsi quasi infinito dell’accettazione, a volte quasi patologica, di tradizioni, dialetti ed usanze limitate o sbagliate, a prescindere dalla classe sociale di appartenenza; ne conseguono un rispetto diverso verso se stessi e gli altri e soprattutto la presenza o l’assenza di una solidarietà genuina verso ogni essere umano, sia nelle classi veramente umili che in questo modo continueranno inevitabilmente ad esserlo, sia in quelle privilegiate ma solo economicamente, che continueranno a credere di costituire per diritto acquisito la casta portante dell’ economia e del pensiero di un Paese, mentre non lo sono affatto e, al contrario, ne costituiscono il virus più pericoloso.
I limiti ed il danno che ne derivano per la società intera e per il mondo sono immensi.

Nulla di tutto questo ha a che vedere né con il livello sociale né con una regione o con l’altra, ma solo con il modo generale di vivere, di sognare o non, di sperare o non, di valutare a fondo le cose o non nella vita di tutti i giorni.

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Le dimostrazioni del potere, così come l’estrema povertà che è sorella dell’ignoranza, la fortuna e la sfortuna accettate come inevitabili, la salute o il suo contrario, gli sfarzi e le ricchezze spropositate o le ingiustizie sulle quali a volte esse si fondano, gli sperperi e l’arroganza a qualsiasi livello, la brutalità sia in alto come in basso senza distinzione, fanno capo soprattutto ad una educazione mancata proprio quando, poco prima dell’adolescenza, la mente era più aperta, pulita e generosa; il centro allora rischierà di non essere più l’uomo ma il potere da una parte e la rinuncia dall’altra, alcuni concetti di parte assoluti e indiscutibili versus l’ignoranza sterile e buia.
Uno spreco di esistenze di cui i più si rendono conto solo quando la clessidra è ormai vuota, che si perpetua nel tempo come il passaggio di un testimone di una staffetta infinita.

Mahatma Gandhi diceva che la massima espressione della saggezza è la gentilezza.Nulla toglie a chi ne fa derivare la propria forza, il proprio intuito e la concretezza dell’intelligenza pratica e concludente.
Finché però in troppi continueranno a confonderla con la debolezza che è tutto un altro discorso, non capendo che è invece esattamente il contrario, fino a quando in troppi continueranno a seguire alcune mode stupide, invece di creare nuove tendenze intelligenti e fattive, fino a quando il pensiero elitesco ed una certa intellettualità, spesso allineata e prepotente faranno la differenza, la spinta in avanti sarà irrimediabilmente ostacolata e tutto rimarrà sempre uguale.

A volte si può avere un’idea più accertata di un Paese o di una parte di esso, osservando semplicemente la qualità della pubblicità più diffusa, i luoghi comuni più accettati, i pensieri e le parole che più fanno presa sulla “gente”.

I grandi spiriti sono stati sempre ostacolati dalle menti mediocri, lo pensava un uomo straordinario di nome Albert Einstein.Una delle soluzioni a mio modo di vedere potrebbe essere quella di fare passare lentamente ma inesorabilmente le generazioni attuali che, francamente, valutate all’ingrosso, lasciano poche speranze, cambiando allo stesso tempo il modo di combatterne i vizi senza alzare la voce, ma solo con la forza delle idee concentrandosi intanto su un educazione dei più “piccoli” decisamente diversa, sia a casa come nelle scuole.Insegnanti ben pagati (perché non invertire gli emolumenti di alcuni funzionari pubblici con quelli degli insegnanti che potrebbero rappresentare la nuova elite) valutati e selezionati con estrema cura e attenzione sulla base della fusione di valori veri e senza età, aperti però allo stesso tempo ai grandi cambiamenti di oggi e di domani.Un riferimento speciale lo darei all’informazione di massa ed alla maniera di esprimersi dei personaggi dello sport e dello spettacolo (i bambini più piccoli ascoltano tutto) che potrebbero diventare (se ci accordassimo con loro) messaggeri di principi semplici, sani, moderni senza per questo perdere appeal o glamour (ammesso che li abbiano davvero) a causa del passaggio dalla volgarità alla gentilezza, dai luoghi comuni a pensieri un po’ più elevati e senza che ciò possa intaccare credibilità e seguito; si tratta di alzare un po’ il livello; prima o poi qualcuno dovrà farlo.Un discorso a parte meriterebbe il linguaggio e la feroce combattività dei politici, ma la palla l’avrà sempre in mano il primo ministro ed il presidente del nostro Paese che dovranno dare l’esempio cominciando da come si dirigono agli italiani, pronti ad avere la mano di ferro quando il messaggio inviato agli azionisti (noi) dai politici in generale e dal sottobosco che gli sta intorno si faccia indegno e fomenti confronto e scontro.

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Vorrei concludere immaginando un prato dove all’improvviso per uno scherzo del tempo e dello spazio che per un momento si siano distratti, si incontrino, solo per giocare e senza poter comunicare ed avere modo di percepire eventuali differenze sociali o di appartenenza, una decina di bambini di epoche storiche differenti, fino alla nostra. Ma guarda, sono tutti uguali, si stanno divertendo, si intendono e si immedesimano nel gioco… Ma allora perché crescendo sono poi tutti così cambiati? Com’è possibile che il mondo sia andato avanti qualche volta proprio al buio, altre volte con guerre interminabili, ci siano state delle lunghe epoche oscure ed altre inondate di luce e creatività come svegliandosi da un lungo sonno, dove a volte sono prevalse guerre di idee e convinzioni diverse mentre in altre epoche sembrava che all’improvviso tutti si capissero e ritrovandosi su un piano comune… Quei bambini sono ad un tratto cresciuti forse senza avere avuto una mano amica, continua, solidale e intelligente sulla spalla; per tante ragioni diverse quella scintilla di vita, quel pizzico di polvere di stelle si è andato perdendo e, per un motivo o per un altro, altre cose hanno preso il sopravvento. Le loro vite si sono andate in qualche maniera modificando e perdendo, lasciando che troppe volte le grandi mete infinite contenute nei rispettivi DNA venissero sostituite da brevi, leggerissimi e inutili lampi. Perché abbiamo continuato a guardare dall’altra parte e ci siamo dimenticati così spesso di noi, di quanto valiamo, della nostra unicità? Non ho parlato solo del meridione come mi era stato chiesto ed ho divagato, perché credo che il centro di tutto sia sempre e soltanto quella scintilla divina che porta dentro ognuno di noi indistintamente (ma non tutti lasciamo uscire nella stessa misura) che a sua volta è il fine e la soluzione di ogni cosa: passione e intuizione le si avvicinano. Il problema vero è che in troppi casi si è persa lungo la strada e credo che sia arrivato il momento di fare ogni sforzo per ritrovarla e aiutare gli altri a fare altrettanto, a piccoli passi con un ritrovato senso di solidarietà, semplicità e speranza. Se vuoi davvero la pace nel mondo e la serenità dentro di te, comincia stasera quando tornerai a casa; lascia le ansie fuori dalla porta e fai entrare nella tua famiglia solo pezzetti di allegria, serenità, affetto e luce con tanti piccoli gesti. Non è così difficile e funziona.In bocca al lupo.

 

LA REGIONE MEDITERRANEA DESTINAZIONE PRIVILEGIATA PER GLI INVESTIMENTI STRANIERI di Gaia Bay Rossi – Numero 1 – Luglio 2015

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destinata ad accogliere, nei prossimi anni, investimenti superiori a quelli dell’Europa continentale, dell’Africa e dell’Asia. Difficile a credersi, ma stiamo parlando dell’area mediterranea, ad onta della crisi greca e delle difficoltà economiche di Spagna, Italia e Francia.
Le previsioni non sono nostre: provengono da una fonte internazionale che gode di una reputazione acclarata, la Ernst & Young. Secondo quest’ultima, infatti, la regione mediterranea rappresenta una delle destinazioni privilegiate per i progetti di investimento stranieri, e i risultati saranno tangibili e sotto gli occhi di tutti già a partire dal decennio 2020-2030.

Secondo Ernst & Young, la Regione è ricca di idee, energie e competenze non ancora sfruttate. 
Il Mediterraneo ospiterà più di 750 milioni di persone entro il 2040, con un potere d’acquisto sempre più crescente. Quella del Mediterraneo è considerata un’area più attrattiva dell’Europa (51%), dell’Africa (60%) e dell’Asia (52%).

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* I 27 Paesi presi in considerazione dal BaroMed sono: Albania, Algeria, Bahrein, Bosnia Erzegovina, Croazia, Cipro, Egitto, Francia, Grecia, Israele, Italia, Giordania, Kuwait, Libano, Libia, Malta, Montenegro, Marocco, Oman, Qatar, Arabia Saudita, Slovenia, Spagna, Siria, Tunisia, Turchia, Emirati Arabi Uniti.
** In linea con il Worldwide Tourism Organization (UNWTO), secondo una cui ricerca a lungo termine, gli arrivi di turisti nelle destinazioni del Mediterraneo nel 2030 raggiungeranno i 500 milioni. 
***Si vedano in proposito i dati ottimistici del Population Reference Bureau e gli studi del prof. Fawaz A. 
Gerges della London School of Economics. Il prof. Gerges è un accademico libanese-americano e autore con esperienza sul Medio Oriente, politica estera statunitense, relazioni internazionali, Al Qaeda e relazioni tra il mondo islamico e occidentale. Gerges è un importante intellettuale e uno dei più importanti studiosi al mondo del Medio Oriente. È apparso sulle reti televisive e radiofoniche di tutto il mondo, incluse la CNN, ABC, CBS, BBC e Al Jazeera.
“L’IS è molto più fragile di quanto Baghdadi ci vorrebbe far credere. La sua chiamata non ha trovato seguaci né tra i predicatori, né tra i dirigenti di organizzazioni islamiche jihadiste internazionali, mentre gli studiosi islamici – tra cui i religiosi salafiti più importanti – hanno respinto la sua dichiarazione come nulla. 
Finché IS ha una serie di successi, si può allontanare con la sua povertà di idee e diffusa opposizione da parte dell’opinione pubblica musulmana: promette utopia e la esprime vincendo. La sfida del gruppo è che una volta che i suoi progressi vengano controllati, la sua mancanza di un’ideologia coerente accelererà il suo degrado sociale”. (www.bbc.com/news/world-middle-east-30681224).

LA REGIONE MEDITERRANEA DESTINAZIONE PRIVILEGIATA PER GLI INVESTIMENTI STRANIERI

 

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“Se si continuerà a promuovere l’integrazione e la collaborazione all’interno dei Paesi del Mediterraneo, nei prossimi anni la mappa mondiale sarà arricchita dalla nascita di un nuovo mercato emergente.

In quella zona, infatti, la crescita economica è più rapida rispetto alle altre regioni e le opportunità di affari sono maggiori, spinte dalla crescita demografica e dall’urbanizzazione, con la nascita di nuove enormi città che sorgono negli Stati del Golfo, in Turchia e in Nord Africa.

Così comunica Ernst & Young, presentando la ricerca BaroMed Attractivness Survey 2015 “The Next Opportunity” (che ha coinvolto 156 dirigenti di 20 paesi del mondo) al Convegno internazionale Strategic Growth Forum, dedicato alle strategie di crescita dei Paesi dell’area mediterranea, alle possibili sinergie con quelli europei e al ruolo che l’Italia può assumere in questo contesto.
Il convegno ha visto protagonisti il 16 aprile 2015, a Roma, oltre 70 rappresentanti delle più importanti aziende dei Paesi dell’area mediterranea di fronte ad una platea composta da oltre cinquecento imprenditori. I dati emersi destano stupore, anche se, sorprendentemente, hanno avuto scarsa attenzione da parte dei media. 
Secondo la ricerca, tra il 2009 e il 2013, i Paesi del Mediterraneo, Medio Oriente e quelli del Golfo hanno attirato 17.110 progetti di investimenti stranieri diretti, principalmente realizzati nell’area dell’Europa mediterranea e dei Paesi del Golfo. Ben più consistenti saranno quelli che arriveranno nei prossimi anni.

Donato Iacovone, Amministratore Delegato di Ernst & Young in Italia e Managing Partner dell’Area Mediterranea, afferma:

Nell’immediato futuro si prevede una crescita positiva e gli investitori sembrano dimostrare interesse nella Regione. Grazie ad un mercato non ancora saturo e alle risorse presenti, non solo l’Europa e gli Stati Uniti, ma anche Cina e India considerano l’area come una meta altamente attrattiva per gli investimenti.”

Le aziende considerate più interessanti sono quelle appartenenti ai settori delle telecomunicazioni, dei media, delle tecnologie, della vendita al dettaglio, dei prodotti di consumo e dell’energia.
Sfruttando la posizione centrale tra Europa, Asia e Africa, la Regione sta sviluppando i settori dell’immobiliare, del turismo e del commercio al dettaglio con l’ambizione di diventare una destinazione primaria ed una delle più importanti mete turistiche del mondo**.
Ciò che rimane problematico, secondo gli investitori, sono i rischi all’interno della Regione: l’instabilità (una media del 53% nelle 5 sotto-regioni) e la mancanza di trasparenza (29%) sono i principali ostacoli agli investimenti e ad una crescita sostenibile. Tuttavia, nel medio periodo, tale livello d’instabilità dovrebbe diminuire. Concorrono in questa direzione diversi fattori, quali una sorprendente contrazione del tasso di fertilità regionale e la fragilità di un’IS oggi molto sopravvalutato.***
Sul sito Viaggiare Sicuri del Ministero degli Esteri, gli avvisi per le unità di crisi particolari nel mese di giugno 2015, sui Paesi che ci interessano, riguardano solo Israele, nella cui nota all’interno sono citati anche Libia, Libano e Siria (consigliano in ogni caso di consultare il sito dell’Home Front Command israeliano www.oref.org.il).
L’Italia non deve e non vuole rimanere a guardare, anche perché secondo Ernst & Young “nel 2050, le economie emergenti della Regione supereranno in termini di PIL, di crescita, d’innovazione e di adozione di tecnologie rivoluzionarie alcuni dei Paesi sviluppati”. 
Insomma, dialogo, patrimonio e diversità culturali contribuiranno alla crescita di una delle Regioni più affascinanti del mondo.

 

IL NUOVO SUD, DOPO “VENT’ANNI DI SOLITUDINE”! di Giuseppe Soriero – Numero 2 – Ottobre 2015

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Il dibattito è già avviato non solo tra i meridionalisti, ma innanzitutto nella Politica e nel Governo.
I riflettori accesi in piena estate dalle anticipazioni del Rapporto SVIMEZ hanno disgelato dati eclatanti di “quella parte dell’Italia che sta peggio della Grecia”: dai 46,6 mila euro di valore aggiunto per abitante di Milano si precipita ai 12 mila in provincia di Agrigento. 
Già Romano Prodi, nella prefazione alla nuova edizione del volume “Sud, vent’anni di solitudine”, aveva richiamato l’attenzione sul “Racconto di due economie” illustrato dall’Economist: il prodotto interno lordo per abitante, in Calabria (16.462 euro) è ancora la metà esatta di quello di un cittadino della Valle d’Aosta (34.415 euro). Adesso, in presenza di primi incoraggianti segnali di ripresa della produzione, e dei consumi, è doveroso chiedersi se l’area meridionale sarà questa volta coinvolta positivamente negli scenari di sviluppo del Paese. Il Governo annuncia infatti nuovi investimenti nazionali ed europei assieme all’elaborazione di un “Master Plan” per l’area meridiana.

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“VENT’ANNI DI SOLITUDINE”!

 

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MEZZOGIORNO SENZA MERIDIONALISMO?

Scritti e libri hanno alimentato un dibattito fazioso tra i sostenitori del mercato e quelli dello Stato: chi gridava allo scandalo per le troppe risorse verso il Sud e chi replicava, implorandone ancora di più.
E giacchè “non si può risolvere un problema con la stessa mentalità che l’ha generato”(Albert Einstein), sono da correggere i guasti indotti sia dal potere centrale che dalle classi dirigenti meridionali, risvegliando l’anima del Sud e suscitando fiducia tra le forze propositive cui si rivolge innanzitutto il messaggio suggestivo della rivista Myrrha. Le energie sane in campo sono tante.
Si può dire infatti che il Mezzogiorno, come l’ambiente descritto nel capolavoro di García Márquez, sia ancora oggi un luogo popolato da persone, quali il protagonista José Arcadio Buendía, «la cui smisurata immaginazione andava sempre più lontano dell’ingegno della natura, e ancora più in là del miracolo e della magia». E si può naturalmente parlare di un’area territoriale certo diversa dal villaggio di Macondo, ma non affatto irrecuperabile, nella quale come altrove «le cose hanno vita propria […] e si tratta soltanto di risvegliargli l’anima».

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RISVEGLIARE L’ANIMA DEL SUD.

Archiviando, innanzitutto, la singolare semplificazione sulla «diversità» identitaria dei meridionali che aveva istigato in alcune zone del Nord una diffusa interpretazione razzista. Certo, l’intervento pubblico straordinario verso il Sud è stato, nel passato, gelosamente tutelato come la «calamita», considerata indispensabile da Arcadio Buendía per «sviscerare l’oro della terra». Una buona parte dei cittadini meridionali, come nel romanzo di Márquez, non riuscendo a «consolarsi dell’insuccesso delle proprie calamite», concepì l’idea di «utilizzare quella invenzione come arma da guerra». E gli effetti qui sono stati devastanti nel moltiplicarsi di calamite clientelari che hanno precluso ogni argine alla penetrazione della corruzione e delle mafie.

MALI DEL SUD E MALI DELL’ITALIA.

Il potere criminale ha saputo cogliere in tempo i ritmi della globalizzazione ed è riuscito a integrare capitali e risorse umane superando ogni dualismo dentro un sistema unitario con baluardi vistosi addirittura in Lombardia, in Liguria, in Emilia e a Roma capitale. Tutto ciò è accaduto proprio mentre la politica privilegiava un dibattito ideologico sul federalismo fiscale come misura risolutiva dell’utilizzo della spesa pubblica, soprattutto per rieducare il Mezzogiorno. 
Vale convincersi, pertanto, che né la politica, né la cultura, hanno più tempo per distrarsi, eternando stancamente meri conflitti territoriali tra “Nordisti” e “Sudisti” giacchè è arrivata l’ora di rivoluzionare il nesso tra politica, economia e pubblica amministrazione. La crisi internazionale ha clamorosamente squarciato il velo e lo scenario oggi è più netto: o le due aree del Nord e del Sud cresceranno insieme o la ripresa dell’Italia rimarrà sempre più tiepida proprio mentre il Mediterraneo è in ebollizione e spinge comunque verso la modifica di secolari equilibri.

UN NUOVO INTERVENTO PUBLICO E PRIVATO.

«Un’altra Europa è possibile» continua a scrivere Habermas nella direzione indicata con nettezza da Paul Krugman: «I nostri governi devono spendere di più, non di meno, assumere insegnanti, costruire infrastrutture, scegliere spese utili». L’analisi più rigorosa delle esperienze internazionali analoghe, dalla Germania all’Irlanda, ci dice che l’intervento dello Stato, solo se protratto nel tempo, con misure innovative e consistenti supporti finanziari, può ridurre drasticamente i divari territoriali interni fino ad annullarli.

Le novità di scenario vanno a questo punto valutate in tempo: la macroregione vera è quella euro mediterranea.

Hic Rhodus hic salta! Il Nord Africa, pur condizionato dalla evidente instabilità politica, cresce più dell’Europa ed è già all’attenzione dei capitali finanziari della Cina e dell’India tanto da indurre rispettabili studiosi a coniare il neologismo “Cindoterraneo”.

Qui, c’è la vera sfida culturale per chi voglia contribuire a innovare il Meridionalismo, sapendo ragionare sull’utilità europea del Sud: un’area che possa essere percepita nella sua validità da ogni cittadino europeo,

dai sistemi europei dell’economia, della finanza, dell’informazione, della scienza e della cultura. Il problema vero è se l’Italia, nel suo insieme, intenderà misurarsi in una competizione non scontata tra alleanze internazionali. Qui, più che altrove, è praticabile la riduzione del costo logistico totale, attraverso l’offerta di servizi integrati per affrontare la sfida globale dei mercati. Dopo l’ampliamento del Canale di Suez v’è la possibilità di raddoppiare in dieci anni i movimenti di merci (nel 2025 ben 56.880.000 di TEU); quale sistema portuale saprà trarne vantaggio? Solo la Spagna, la Francia, il Nord Africa o finalmente anche l’Italia? 
E giacchè le attuali deficienze logistiche implicano per noi “un costo superiore dell’11%, circa 12 miliardi di euro, rispetto alla media europea” (studio Cassa DD.PP.), il pieno utilizzo delle infrastrutture meridionali è la precondizione per tornare a crescere; mediante la specializzazione di filiera di alcuni poli produttivi e di tutti i porti meridionali da Gioia Tauro a Taranto, da Napoli a Cagliari a Catania, con una strategia di sistema, utilissima anche ai porti del Nord, da Genova a Trieste e proiettando finalmente la rete di Alta Velocità da Salerno verso Gioia Tauro e la Sicilia.
Si richiedono oggi, pertanto, coraggio civile e culturale, analoghi a quelli delle classi dirigenti che nel secondo dopoguerra diedero impulso al miracolo economico; per suscitare adesso il proficuo coinvolgimento di tutte le energie culturali, progettuali, operative espresse da sindacati, imprenditori, università, associazioni culturali. Con analogo spessore dell’impegno nazionale profuso per l’Expo di Milano si lavori insomma per esaltare la scelta di Matera 2019, indicando nuove capacità operative e anche nuovi riferimenti simbolici alle nuove generazioni.

 

IL SILENZIO DEL SUD di Giorgio Salvatori – Numero 2 – Ottobre 2015

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Lo Stato non è solo finanziamenti pubblici, ma anche leggi e doveri uguali per tutti. Pochi, al sud, reclamano il rispetto di questa regola. C’è un grande silenzio su questo nodo cruciale da parte della grande maggioranza della società meridionale. 

 

IL SILENZIO DEL SUD

 

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Questa, in estrema sintesi, l’accusa di Ernesto Galli Della Loggia, dalle pagine del Corriere della Sera, in un editoriale del 9 agosto scorso. Analisi impietosa, cui si sovrappongono i dati, inquietanti, contenuti nel rapporto Svimez, la società che si occupa delle ricerche sul Mezzogiorno, secondo cui il sud, dal 2000 al 2013, ha visto aumentare il suo Pil del 13 per cento contro il 24 dell’agonizzante economia greca. “È sparito il sud” ha titolato, in copertina, l’Espresso del 10 settembre scorso e, nel sottotitolo, ha affondato il coltello: “crollo demografico, fuga dei cervelli, economia immobile, imprenditoria assente. Un terzo del paese è scomparso dalle mappe”. Se le cose stessero veramente così Myrrha potrebbe salutare i suoi lettori e scrivere un epitaffio: “ci siamo sbagliati, interrompiamo le pubblicazioni”. Noi, però, non pensiamo che il Sud sia scomparso, sommerso dalle sue piaghe storiche, dal suo fatalismo, dalla sua rassegnazione. Lo abbiamo scritto già sul primo numero della nostra rivista. Le tante manifestazioni spontanee, di giovani e di meno giovani, che, in assenza di convocazioni politiche o sindacali, si stanno moltiplicando in Campania, in Calabria, in Sicilia, dimostrano che una parte considerevole della società meridionale vuole uscire dal torpore e battersi per il cambiamento. Si tratta di studenti, imprenditori, comuni cittadini che chiedono proprio quello che Galli della Loggia invoca, cioè un’etica e una programmazione politica che, finora, sono mancate, nelle “sette regioni dell’antico regno borbonico”, come sottolinea Luigi Vicinanza nell’editoriale dell’Espresso dello scorso settembre. Se siano maggioranza o minoranza i meridionali non rassegnati all’immobilismo e al dominio della illegalità è problema secondario, almeno in questa fase, lenta, ma che a noi appare decisa, di presa di coscienza e di trasformazione sociale e culturale. Non si tratta di vedere il bicchiere mezzo pieno a differenza di chi, come Galli della Loggia, lo vede mezzo vuoto o addirittura privo di una fonte a cui attingere acqua. D’altra parte, le nostre analisi, non cercano di nascondere e neppure di edulcorare l’amaro sapore dei fallimenti e dei veleni di cui il Sud è cosparso per effetto dei tanti piani di sviluppo mai realizzati, degli sprechi, delle mafie che hanno spadroneggiato condizionando la politica, l’economia e l’occupazione nel Meridione. Carlo Borgomeo, in un articolo ospitato in questo numero (e già in sommario prima della divulgazione dei dati Svimez), afferma che il problema del sud è stato finora, sostanzialmente affrontato in termini di Pil, di divario economico tra un nord sviluppato e un meridione arretrato e immobile. “Bisogna invece chiedersi” – scrive Bogomeo – se si tratta soprattutto di questione economica, di reddito, o non riguardi piuttosto il grado di coesione sociale, di senso comunitario, di cultura della legalità diffusa e, più decisamente, di qualità della convivenza civile.

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Questa, in estrema sintesi, l’accusa di Ernesto Galli Della Loggia, dalle pagine del Corriere della Sera, in un editoriale del 9 agosto scorso. Analisi impietosa, cui si sovrappongono i dati, inquietanti, contenuti nel rapporto Svimez, la società che si occupa delle ricerche sul Mezzogiorno, secondo cui il sud, dal 2000 al 2013, ha visto aumentare il suo Pil del 13 per cento contro il 24 dell’agonizzante economia greca. “È sparito il sud” ha titolato, in copertina, l’Espresso del 10 settembre scorso e, nel sottotitolo, ha affondato il coltello: “crollo demografico, fuga dei cervelli, economia immobile, imprenditoria assente. Un terzo del paese è scomparso dalle mappe”. Se le cose stessero veramente così Myrrha potrebbe salutare i suoi lettori e scrivere un epitaffio: “ci siamo sbagliati, interrompiamo le pubblicazioni”. Noi, però, non pensiamo che il Sud sia scomparso, sommerso dalle sue piaghe storiche, dal suo fatalismo, dalla sua rassegnazione. Lo abbiamo scritto già sul primo numero della nostra rivista. Le tante manifestazioni spontanee, di giovani e di meno giovani, che, in assenza di convocazioni politiche o sindacali, si stanno moltiplicando in Campania, in Calabria, in Sicilia, dimostrano che una parte considerevole della società meridionale vuole uscire dal torpore e battersi per il cambiamento. Si tratta di studenti, imprenditori, comuni cittadini che chiedono proprio quello che Galli della Loggia invoca, cioè un’etica e una programmazione politica che, finora, sono mancate, nelle “sette regioni dell’antico regno borbonico”, come sottolinea Luigi Vicinanza nell’editoriale dell’Espresso dello scorso settembre. Se siano maggioranza o minoranza i meridionali non rassegnati all’immobilismo e al dominio della illegalità è problema secondario, almeno in questa fase, lenta, ma che a noi appare decisa, di presa di coscienza e di trasformazione sociale e culturale. Non si tratta di vedere il bicchiere mezzo pieno a differenza di chi, come Galli della Loggia, lo vede mezzo vuoto o addirittura privo di una fonte a cui attingere acqua. D’altra parte, le nostre analisi, non cercano di nascondere e neppure di edulcorare l’amaro sapore dei fallimenti e dei veleni di cui il Sud è cosparso per effetto dei tanti piani di sviluppo mai realizzati, degli sprechi, delle mafie che hanno spadroneggiato condizionando la politica, l’economia e l’occupazione nel Meridione. Carlo Borgomeo, in un articolo ospitato in questo numero (e già in sommario prima della divulgazione dei dati Svimez), afferma che il problema del sud è stato finora, sostanzialmente affrontato in termini di Pil, di divario economico tra un nord sviluppato e un meridione arretrato e immobile. “Bisogna invece chiedersi” – scrive Bogomeo – se si tratta soprattutto di questione economica, di reddito, o non riguardi piuttosto il grado di coesione sociale, di senso comunitario, di cultura della legalità diffusa e, più decisamente, di qualità della convivenza civile.

 

MEDITERRANEO CENTRO DELLE DIVERSITÀ di Giusto Puri Purini – Numero 2 – Ottobre 2015

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Palestina a Roma, il viaggio di S. Paolo.
Poi, l’esperienza ai “Vivai Del Sud” come Art-Director, in un contraltare di ombre sfavillanti, al design milanese, allora imperante, rigoroso e scarno.
Il mio punto di partenza di questa lunga ricerca senza fine è stato un libro, divenuto un cult degli anni 60, edito in USA, “The Hole Earth Catalogue”, accompagnato da uno splendido “Architettura Spontanea” di Bernard Rudowsky.
Nel Mediterraneo, quell’edificare nuragico, quei trulli di pietra, le Pagliare salentine e tante altre tipologie simili, sprigionavano un fascino che solo una vera armonia con la natura circostante poteva sprigionare.
Il Sud diventava così un osservatorio privilegiato, ed era l’habitat a far scorrere fra le genti quel minimo comune denominatore. Cambia lo scenario e il pensiero va al Nostro Mare, ai 1-10 -100 – Mediterranei, sparsi nel mondo, dove condizioni simili avevano creato Civiltà Simili, fino a raggiungere, nonostante rivalità e conflitti, eccellenze in tanti campi.

Dall’Himalaya quindi, “nuovo” antico centro, verso di noi (occidente) come un sasso in uno stagno attraverso fasce circoncentriche di culture e civiltà complesse, fino al Mediterraneo, alle colonne d’Ercole, superate psicologicamente e storicamente solo nel 1492, dall’altra parte, verso il continente americano, dove le colonne d’Ercole asiatiche rappresentavano per i popoli in movimento un “unicum” terrestre, continuo, e oggi è in distanza reale come da Stromboli vedere Panarea.
In questa collocazione strategica delle cose, come un grande progetto del passato, appare più naturale, originale per noi del Mediterraneo, proporre un viaggio a ritroso dai Greci verso oriente, alla ricerca di quelle tracce unificanti che diano ragione al progredire all’incontrario della storia e delle sue influenze.

immaginare un nuovo centro più “Mediterraneo” degli altri, il più alto, il più forte, il più vario climaticamente, centro di produzione di fonti vitali quali l’acqua, la terra, l’aria e il fuoco.

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MEDITERRANEO CENTRO DELLE DIVERSITÀ

 

Giusto-Puro-Purini

Questa e altre sono

le responsabilità di MYRRHA, raccogliere quelle tracce originarie, per avviarci verso una nuova contemporaneità dei mezzogiorni, che prodotta dal territorio e dalle genti che ci vivono, contribuisca, con quelle nobili origini, alla trasformazione del mondo in direzioni il più possibile sostenibili.

Ma, se similitudini tra le poleis sono una certezza, che nasce dalle analogie delle necessità, diverso è il discorso sulle ideologie, sulle religioni, che dovrebbero essere le cinghie di trasmissione delle varie conoscenze, e dei suoi vari stati di sviluppo, e al contrario offuscano, ora da una parte ora dall’altra, con interventi drastici, l’immagine con la quale hanno assunto il loro ruolo egemonico tra le genti.
Se prevalesse la politica del “senso comune”, quello con la C maiuscola, a dispetto delle faziosità pratiche e della microconflittualità, in un’area come quella del Mediterraneo, rimarrebbero, alla fine, le diversità individuali e culturali sempre più appariscenti e spettacolari, come anche le sfumature e le similitudini… si fonderebbero piramidi con colonne, palme con bastoni, vezzi con potenzialità costruttive, i vuoti con i pieni, le ombre con la luce, i colori, in un infinito gioco delle parti, un crogiolo pieno da cui pescare con passione.

Come un’atomizzazione del territorio, collegati da flussi energetici, così ci appaiono gli insediamenti umani del Mediterraneo ed è questo infine il segno di molteplicità, intesa come scuola, fucina delle esperienze umane, come sviluppo del viaggio e della ricerca, e oltre a noi verso Est, l’immane pianeta oriente, più antico, più vasto, più alto, con altrettanti paradisi,

(French quarter, S. Charles, ecc.).
Immaginare tutto ciò, insieme ad influenze indiane, africane, francesi, inglesi, creole… un altro Mediterraneo e così via… Ed è questo il senso della ricerca (così come appare nell’Oltre il 7), suggerendo di collegare a questi viaggi, ed a questi spunti, un progettare continuo, un essere presente con strumenti adeguati, dubbi e certezze (impermanenze) suggerendo porte da aprire, sguardi da volgere, attivare i nostri sensi, raccontare le storie che fluiscono da nuovi incontri, costruire molteplici direzioni.
E, viaggiando oltre i Greci, quindi, verso la Ionia; l’Asia Minore e oltre; riuscire a far pace con la cultura d’origine, quella Greca, la nostra, nonostante si sia impadronita nei secoli di verità profonde, provenienti dal lontano oriente, e dopo averle acquisite, abbia alzato un baluardo verso quelle culture, considerando barbare le terre dalle quali Alessandro Magno, tanto aveva appreso (per esempio il Dio unico) in così poco tempo.
Scoprire, inoltre, affascinati, le favole dei miti, e, con l’architettura, le loro componenti terrene, come il mito della “Chimera”, drago e leone, sconfitta da Bellerofonte, con un dardo di piombo, con l’aiuto di Pegaso il cavallo alato, e precipitare sui monti della Lycia accanto ad Olimpia, lasciando al suolo 600 bocche di fuoco ancora fiammanti oggi, e descritte da Erodoto, in viaggio via mare da Side verso Alicarnasso, trent’anni dopo l’epica impresa di Alessandro Magno (330 a.C.).

 

Questo “non essere” cultura sedentaria ne ha spinto alcuni, nei tempi più remoti, verso il nord prima, e verso oriente poi, ancora… verso lo stretto di Bering, e le pianure nord americane, determinando la nascita e lo sviluppo di nuovi popoli, allungatisi e frazionatisi in un’infinita migrazione verticale… fino all’australe 

Patagonia…

Il Sud è nel mio DNA e nella mia mente da sempre. Un’attrazione irresistibile per quelle leggende e quei miti! Ho avuto un padre triestino-mitteleuropeo e una madre salernitana. Il Sud è entrato nella mia vita, come longitudine e latitudine, durante i miei studi alla facoltà di Architettura a Valle Giulia, e proseguito come scenografo di Roberto Rossellini con “Gli Atti degli Apostoli”, dove si descrive, dalla 

con centri del mondo come il Kaylas nell’Himalaya, ove il “macro” del pianeta si esalta, e i fiumi fluiscono senza fine verso i quattro punti cardinali della terra, e con loro fluisce il sapere, antichi intrecci, di dialogo cosmico mai interrotto, quel fruscio di qualche cosa che è arrivato anche a noi e forse ad altri.
E poi, oltre l’estremo Oriente, l’America invasa in tempi più recenti ancora dal “suo Oriente”, ma questa volta siamo noi, i popoli dell’occidente, ad avere incrinato l’idilliaco vivere delle popolazioni indiane, ricche di grandi civiltà e depositarie di antichi segreti. Vi abbiamo condotto in catene gli africani, e da questa unione impossibile è nato il nuovo continente, dove il magnifico e l’orribile si sono spesso avvinghiati in furiosi corpo a corpo, per fare sorgere comunque un laboratorio umano d’incredibile spessore, che da questa esperienza sta conducendo oggi la sfida mondiale agli altri continenti e alle vecchie sedimentazioni.
Mi viene in mente, tra gli altri “Mediterranei” il Golfo del Messico con New Orleans, regina in USA della musica, città “entertainment” del passato.

Il fatto di collegare impianto architettonico e giardino attraverso continui confronti e interazioni, ha reso possibile assimilare i segnali di un’architettura filtrante che sdrammatizzasse la severa occupazione di spazio del corpo centrale, con elementi leggeri che ne fossero come un’intercapedine e, quindi, anche matrice di una nuova possibilità di progettazione anche a livello di scale diverse, dai padiglioni effimeri ad interi quartieri di case minute (2 piani) e leggiadre, soffuse di Palladismo e ricche di armonia

Da qui l’idea dei due orienti, se visto dal nostro osservatorio mediterraneo, marginale in qualche modo rispetto al movimento vorticoso delle genti sino, mongole, tibetane.
Esse sono per noi il profondo oriente; quindi diviene “oltre oriente” per noi anche la terra degli maquis sugli altopiani messicani, e gli sciamani di corvo Rosso nelle “Black Hills”.
Le similitudini etniche sono stupefacenti, quelle semantiche e spirituali altrettanto…
Coloro invece che sono rimasti e hanno vegliato nei millenni all’ombra del Kaylas, nel centro del mondo al centro delle vette più alte, lì dove l’impatto della deriva dei continenti è stato più forte (subcontinente indiano con continente asiatico) sono il popolo tibetano, detto per eccellenza “il popolo degli uomini” così come si definiscono gli indiani delle praterie americane.
Questo popolo degli uomini è oggi calpestato come tanti altri popoli in terre ancora più lontane, ad Oriente… e come ci accaniamo contro la foresta Amazzonica, privando la terra del suo ossigeno, così falciamo i popoli antichi, cinghie di trasmissione di quella impertinenza, di cui avremo bisogno, oscurando i pochi fenomeni luce a noi rimasti.
Andare quindi verso oriente in un viaggio orizzontale attratti da un’antica verità, un’origine storico-geografica comune, una culla dei popoli, che attraverso il suo dispiegarsi, illustri come un grafico i movimenti vorticosi degli uomini;

 

LE MEZZOGIORNO AU CENTRE DE L’ATTENTION di Carlo Malinconico – Numero 2 – Ottobre 2015

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La « question méridionale » a été ravivée ces derniers mois. Tout d’abord par les données de l’étude SVIMEZ pour le septennat 2007-2014, selon laquelle le Sud de l’Italie a eu ces dernières années une croissance économique plus faible que celle de la Grèce, puis l’article de Roberto Saviano sur l’état d’abandon du Sud, puis l’article du magazine l’Espresso dénonçant le fait que « le Sud a disparu » « Effondrement démographique, fuite des cerveaux, économie immobile, entrepreneuriat absent ». Le mérite de ces publications a été de remettre l’état critique du Sud parmi les objectifs de l’action gouvernementale, le gouvernement ayant indiqué qu’il s’en saisira en octobre. Le ministre du Développement économique a en effet annoncé la convocation des Etats Généraux du Sud.

LE MEZZOGIORNO AU CENTRE DE L’ATTENTION

 

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Le Sud constitue une opportunité qui peut bénéficier au pays tant sur le plan économique que sur les autres plans, grâce aux énergies et aux ressources qu’il recèle et au potentiel de réhabilitation et de développement que des actions bien ciblées peuvent libérer.

Bien sûr, comme le note le rapport SVIMEZ, l’entreprise n’est pas facile, mais les résultats peuvent être significatifs. Dans le cadre général – certainement peu brillant – des résultats de notre pays, les chiffres concernant le Sud montrent une baisse plus importante que la moyenne nationale: qu’il s’agisse de l’investissement ou de l’emploi, de la capitalisation ou de la taille des entreprises ou de leur capacité productive. Il n’est pas négligeable que les exportations qui expliquent une grande partie de l’amélioration – bien que modeste – de la situation économique du Centre-Nord, ne se développent pas, pour des raisons structurelles, dans le Sud. La crainte est que ces facteurs ne se traduisent par une spirale qui conduise à la désertification du Sud, avec des scénarios allant de la dépression économique à l’émigration des jeunes en quête de formation ou d’emploi. Cela causerait un dommage énorme l’ensemble de la communauté nationale. Le Sud est traditionnellement complémentaire à l’économie du Nord et l’absence de demande intérieure qui affecte l’économie du Nord, bénéficierait certainement d’une augmentation de cette dernière, qui a diminué précisément dans le Sud et qui, en cas de reprise, donnerait une impulsion majeure à l’ensemble de l’économie nationale. Voilà pourquoi le Sud ne devrait pas être considérée comme un problème mais comme une opportunité et il convient de concentrer les efforts pour redonner un élan au Sud et, avec lui, au pays. La mission de la politique industrielle doit être d’indiquer aux institutions et aux entreprises des priorités et des objectifs à atteindre, de sorte que les efforts soient coordonnés et efficaces. Les ressources publiques et privées sont limitées, il donc indispensable de les concentrer sur quelques objectifs jugés essentiels. Bien sûr, il faut s’inspirer des analyses de la Banque d’Italie, de SVIMEZ et d’autres instituts, pour en dégager des axes d’actions. Sans oublier que les institutions peuvent faire beaucoup si elles peuvent identifier des priorités, des moyens d’accélérer et de concentrer les compétences nécessaires pour atteindre ces objectifs. Bref, beaucoup peut être fait pour soutenir l’action des opérateurs privés même sans l’utilisation de ressources publiques et sans recours à des outils exceptionnels. 
L’idée de convoquer des Etats Généraux du Mezzogiorno, annoncé par le Ministre du Développement Economique est digne d’encouragement. Les Etats Généraux n’appartiennent pas à la tradition de notre pays. Mais l’esprit et le but en sont partagés. Les institutions nationales et locales, les universités, les opérateurs économiques et financiers, les syndicats doivent pouvoir exprimer leurs points de vue dans le cadre d’une consultation publique et transparente ou d’une conférence institutionnelle élargie aux citoyens, d’un débat public avec un calendrier prédéfini. Puis chacun prendra ses décisions dans sa sphère de compétences. Il ne s’agit pas d’une forme de concertation paralysante avec droits de vote, mais d’une discussion commune qui permette également de créer des synergies entre les institutions, notamment locales ou à compétences territoriales définies, afin d’assurer la coordination des politiques et des actions sur le territoire.
Des propositions qui pourraient être soumises à cette consultation peuvent déjà être avancées.
Il convient de privilégier parmi les initiatives économiques celles qui investissent dans les filières productives (global value chain) en particulier le secteur agro-alimentaire et les services, ces derniers constituant au Sud le secteur qui montré une croissance majeure, et dans les infrastructures, en particulier les services publics de mobilité et les réseaux.

La nécessité, ressentie par tous, de mettre à nouveau le Mezzogiorno au centre de l’attention nationale doit être considérée non pas comme un problème insoluble, mais comme une grande chance, non seulement pour le Sud, mais pour tout le pays.

Le Sud n’a pas besoin de grands travaux, ils ne sont en tout cas pas une priorité, mais d’un entretien adapté du territoire, des infrastructures existantes et de l’environnement, avec des interventions qui auraient l’avantage d’un retour immédiat en termes économiques, et de résultats rapides sur l’activité économique et touristique.

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ce qui frappe le voyageur c’est le mythe, la légende qui figure derrière chaque lieu, symbole, rocher, buisson ou falaise. Ici, plus que dans toute autre partie de notre pays, la nature et les choses sont vivantes et racontent des histoires et des traditions.

La base de tout est la légalité. Elle doit constituer l’engagement de l’Etat à assurer la sécurité des citoyens et des opérateurs. Il faut favoriser particulièrement dans le Sud la création de centres d’excellence

La valorisation du patrimoine artistique, historique, et archéologique – qui constitue la vraie richesse naturelle du Sud – requiert un ensemble de compétences qui heureusement existent déjà, mais aussi une communication plus efficace et la définition de parcours de qualité qui expriment ces valeurs. Il faudrait utiliser au mieux les moyens modernes d’accès à l’information et la “mise en réseau” des connaissances et expériences, afin de créer les synergies nécessaires au développement et en faciliter l’accès: un Portail Pour le Sud, autour duquel solliciter la création, par des universitaires et des étudiants, d’applications pour faciliter l’accès aux utilisateurs. Les administrations, les universités et les opérateurs peuvent coopérer dans ce but.
Last but not least, la formation. Les universités doivent trouver de meilleures formes d’intégration et de coordination des cours, pour éviter les chevauchements préjudiciables. Il conviendrait ensuite de se concentrer sur les centres d’excellence, de les identifier et de les favoriser. Des cours de formation post universitaires peuvent être institués pour soutenir la création de spin-off dans les secteurs économiques les plus prometteurs, identifiés dans les axes de développement, des parcours qui impliquent les universitaires, les diplômés et les opérateurs économiques.

pour inciter les jeunes à entreprendre des carrières dans la magistrature et les forces armées et de police.
Il ne s’agit bien sûr que de quelques idées. Il peut s’en trouver d’autres et des meilleures, avec une conviction : que le Sud, malgré les critiques qui ont récemment ressurgi, est une grande opportunité de croissance, un laboratoire dans lequel peuvent être expérimentées des voies utiles à l’ensemble du pays. L’énergie et la volonté sont là et il peut être fait appel à ceux qui dans le Sud croient et sont prêts à adhérer, de manière désintéressée, à une «mobilisation» des intelligences qui puissent contribuer à concevoir un nouveau démarrage. Ce serait un autre don du Sud.

A cette fin il serait utile de s’inspirer de ce qui a été réalisé dans d’autres pays européens sur les Zones Economiques Spéciales (ZES) qui, comme l’explique l’étude SVIMEZ, sont «les zones caractérisées par la présence d’un port … et dans lesquelles sont appliqués des systèmes de traitement douanier spécifiques, des exonérations fiscales, des facilités administratives et de services aux entreprises, dans le but principal d’attirer des investisseurs étrangers ». Les avantages fiscaux prévus par l’UE devraient être utilisés dans ces ZES. Dans le Sud, les ZES pourraient être établies dans les zones portuaires transhipment de Gioia Tauro, Tarente et Catane. Sans oublier que les grands réseaux qui transportent le gaz, et sont essentiels pour la production d’énergie, ont différents points d’accès dans notre Mezzogiorno et de là, rayonnent dans le reste du continent: quatre gazoducs partent de la rive sud de la Méditerranée vers l’Europe, deux d’entre eux vers le sud de l’Italie: le Transmed qui de l’Algérie traverse la Tunisie pour arriver à Mazara del Vallo, le Greenstream, qui de la Libye arrive à Gela; et d’autres sont prévus: le gazoduc Galsi entre l’Algérie et la Sardaigne puis vers Piombino; le TAP – le gazoduc trans-andriatique, qui traversera la Grèce et l’Albanie pour rejoindre le réseau italien à Salento; l’Interconnexion Grèce-Italie (Port d’Otrante).
Pour financer ces interventions il convient d’utiliser au mieux les Fonds Structurels pour la période 2014-2020. Là aussi, une coopération mutuelle est nécessaire. Il existe en effet des administrations et des régions capables plus que d’autres de partager leurs connaissances sur les modalités d’accession à ces fonds. Le transfert de ces best practice constituerait une valeur ajoutée à exploiter, par le détachement d’experts des meilleures administrations dans celles moins efficaces, ou l’envoi d’employés de ces dernières dans les premières pour apprendre les méthodes les plus adaptées. La Conférence Etat-Régions pourrait donner une impulsion au processus.
Une autre ressource clé de notre Mezzogiorno sont la culture et les paysages. Ce n’est pas seulement la beauté des panoramas ou des monuments historiques ou archéologiques qui surprend le visiteur mais le caractère évocateur de cette beauté. Qu’il s’agisse des bronzes de Riace, ou de la Vallée des Temples d’Agrigente, du théâtre grec de Syracuse, de Paestum, de Pompéi ou d’Herculanum, de la campagne du Salento, du Cretto Burri ou des Sassi de Matera,

 

IL MEZZOGIORNO NEL FUOCO DELL’ATTENZIONE di Carlo Malinconico – Numero 2 – Ottobre 2015

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Si è riaccesa negli ultimi mesi la “questione meridionale”. Prima i dati della ricerca Svimez per il settennio 2007-2014, secondo cui il Mezzogiorno d’Italia ha avuto negli ultimi anni una crescita economica inferiore a quella della Grecia, poi l’articolo di Saviano sullo stato di abbandono del Sud, poi l’articolo de L’Espresso che denuncia “È sparito il Sud” “Crollo demografico. Fuga di cervelli. Economia immobile. Imprenditoria assente”. Il merito di queste denunce è stato quello di riportare le criticità del Sud negli obiettivi dell’azione di Governo, che – a quanto comunicato – se ne occuperà a ottobre prossimo. Il Ministro dello sviluppo economico ha preannunciato la convocazione degli Stati Generali del Sud.

 

IL MEZZOGIORNO NEL FUOCO DELL’ATTENZIONE

 

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Per le energie e le risorse che può esprimere e per il margine di recupero e di sviluppo che azioni ben mirate possono realizzare, il Sud costituisce un’occasione in grado di avvantaggiare i conti, economici e non, del Paese.

Certo, come ricorda il rapporto SVIMEZ l’impresa non è facile, ma i risultati possono essere importanti. Nel generale quadro – non certo brillante – dei risultati del nostro Paese, le cifre che riguardano il Mezzogiorno indicano un arretramento maggiore rispetto alla media nazionale: dagli investimenti all’occupazione, dalla capitalizzazione e dimensione delle imprese alla capacità produttiva. Non insignificante è la considerazione che il traino delle esportazioni, che costituisce gran parte del, sia pur modesto, miglioramento della congiuntura economica del Centro-Nord, non funziona, per ragioni strutturali, al Sud. Il timore è che questi fattori diano luogo ad un avvitamento, che porti alla cosiddetta desertificazione del Sud, con scenari che vanno dalla depressione economica alla fuga dei giovani in cerca di formazione prima ancora che di occupazione. Sarebbe un danno enorme per l’intera comunità nazionale. Il Sud è tradizionalmente complementare all’economia del Nord e la carenza di domanda interna, che affligge l’economia del Nord, certo si avvantaggerebbe di una crescita della domanda interna, che proprio al Sud è maggiormente calata e che, in caso di ripresa, darebbe una spinta importante a tutta l’economia nazionale. Ecco perché il Sud non va visto come un problema ma come un’opportunità ed occorre una concentrazione di sforzi per ridare slancio al Sud e, con esso, al Paese.

L’esigenza, da tutti avvertita, di mettere nuovamente il Mezzogiorno nel fuoco dell’attenzione nazionale deve essere vista non come un problema irresolubile, ma come una grande occasione, non solo per il Sud ma per tutto il Paese.

Non di grandi opere ha necessità il Sud, almeno non come priorità, ma di una robusta manutenzione del territorio, delle infrastrutture esistenti e dell’ambiente, con interventi che avrebbero il pregio di un ritorno immediato in termini economici di effetto della spesa e della fruibilità immediata a vantaggio delle attività economiche e turistiche.

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Certo occorre una politica industriale che dia punti di riferimento precisi e affidabili. Le energie non possono disperdersi in mille rivoli. Occorre procedere con realismo ma anche con determinazione.

Compito della politica industriale deve essere quello di indicare a Istituzioni e imprese le priorità e gli obiettivi da realizzare, in modo che gli sforzi siano coordinati ed efficaci. Le risorse, pubbliche e private, sono limitate e a maggior ragione occorre concentrarle su alcuni obiettivi ritenuti essenziali. Certo si deve partire dalle analisi già elaborate da Banca d’Italia, da SVIMEZ e da altri Istituti, per trarne gli spunti dell’azione di governo. Senza dimenticare che le Istituzioni possono fare molto già se riescono a individuare priorità, descrivere procedimenti accelerati, concentrare le competenze per realizzare detti obiettivi. Insomma, molto si può fare, anche senza impiego di pubbliche risorse e senza ricorso a strumenti straordinari, per sostenere l’azione degli operatori privati.
L’idea della convocazione degli Stati generali del Mezzogiorno, preannunciata dal Ministro dello sviluppo economico appare meritevole d’incoraggiamento. Gli Stati generali non appartengono, invero, alla tradizione del nostro Paese. Ma lo spirito e l’obiettivo sono condivisibili. Istituzioni nazionali e locali, Università, operatori economici e finanziari, sindacati debbono poter esprimere i rispettivi punti di vista in una sorta di consultazione pubblica e trasparente o, se si vuole, una conferenza di servizi allargata al pubblico, un débat public con tempi prefissati. Poi ognuno prenderà le sue determinazioni nell’ambito della propria sfera di competenza. Non una forma di necessaria concertazione paralizzante e con diritti di veto, ma una discussione comune che valga anche a mettere in sinergia le istituzioni, specie locali o con competenza territorialmente delimitata, al fine di assicurare il coordinamento delle direttive e delle azioni sul territorio. 
Possono fin d’ora avanzarsi proposte da sottoporre al vaglio di questa consultazione. 
Tra le iniziative economiche, occorre privilegiare quelle che investono sulle filiere produttive (global value chain), specie della catena alimentare e dei servizi, questi ultimi essendo – oltre tutto – il settore che ha manifestato al Sud la maggiore positività, e sulle infrastrutture, specie quelle dei servizi pubblici di mobilità e sulle reti.

Si potrebbe puntare, a questo fine e prendendo spunto da quanto avvenuto in altri Paesi europei, sulle Zone Economiche Speciali (ZES), che come spiega il rapporto SVIMEZ, sono “aree caratterizzate dalla presenza di un porto … e nelle quali vigono specifici regimi di trattamento doganale, di esenzioni fiscali, di facilitazioni amministrative e di servizi alle imprese, con il principale obiettivo di attrarre investitori stranieri”. E andrebbe percorsa in queste ZES la via della fiscalità di compensazione nell’ambito dell’UE. Nel Mezzogiorno, ZES potrebbero essere costituite nelle aree dei porti transhipment di Gioia Tauro, Taranto e Catania. Senza dimenticare che le grandi reti che trasportano gas e sono essenziali per la produzione dell’energia hanno diversi punti di accesso al nostro Mezzogiorno e da qui si irradiano al resto del continente: dalla riva Sud del Mediterraneo partono quattro gasdotti verso l’Europa, due dei quali verso il Mezzogiorno d’Italia: il Transmed che dall’Algeria attraverso la Tunisia arriva a Mazara del Vallo, il Greenstream, che dalla Libia arriva a Gela; ed altri sono in progettazione: il Galsi dall’Algeria alla Sardegna e poi a Piombino; il TAP – Gasdotto Trans Adriatico, che attraverserà la Grecia, l’Albania per connettersi alla rete Italiana in Salento; l’Interconnettore Grecia-Italia (Porto di Otranto). 
Per finanziare questi interventi occorre utilizzare al meglio i Fondi strutturali 2014-2020. Anche qui è necessaria la mutua collaborazione. Esistono infatti amministrazioni e regioni capaci più di altre di trasferire conoscenze sulle modalità di accesso a tali Fondi. Il trasferimento di queste best practice costituirebbe un valore aggiunto, cui si potrebbe accedere o con il distacco di esperti delle migliori amministrazioni presso quelle più deficitarie o attraverso l’invio di dipendenti di queste ultime presso le prime per apprendere i comportamenti virtuosi. La Conferenza Stato regioni potrebbe dare un impulso al processo. 
Altra risorsa fondamentale del nostro Mezzogiorno sono la cultura e il paesaggio. A sorprendere il visitatore non è solo la bellezza panoramica o il singolo monumento storico-archeologico, ma il carattere evocativo di tali bellezze. Che si tratti dei bronzi di Riace o della Valle dei templi di Agrigento, del Teatro greco di Siracusa, di Paestum, di Pompei o di Ercolano, della campagna salentina, del Cretto di Burri o dei Sassi di Matera,

ciò che colpisce il viaggiatore è il mito, la leggenda che sta dietro ogni luogo, simbolo, roccia, pietra, arbusto o faraglione. Qui più che in ogni altra parte del nostro Paese la natura e le cose sono vive e raccontano storie e tradizioni.

La valorizzazione del patrimonio artistico, storico, archeologico – che è il vero petrolio del Mezzogiorno – richiede una serie di competenze che fortunatamente già ci sono, ma anche una più efficace comunicazione e la definizione di percorsi di qualità che esprimano questi valori. Occorre sfruttare al meglio i moderni strumenti di accesso alle informazioni e la “messa in rete” delle conoscenze e delle esperienze, perché si crei la necessaria sinergia di sviluppo e la più agevole facilità di accesso: un portale per il Sud, attorno al quale sollecitare la creazione, da parte di universitari e studenti anche più giovani, di applicazioni per agevolare l’utente. Soprintendenze, Università e operatori possono cooperare a tale fine.
Da ultima, ma non ultima, la formazione. Le Università debbono trovare forme migliori d’integrazione e di coordinamento dei corsi, per evitare dannose duplicazioni. Occorre poi puntare sui centri d’eccellenza, individuarli e favorirli. Si possono istituire percorsi formativi successivi allo studio universitario per il sostegno alla creazione di spin off nei settori economici più promettenti, individuati nelle linee di sviluppo, percorsi nei quali coinvolgere docenti, laureati e operatori economici.

Base di tutto è la legalità. Questo deve essere l’impegno dello Stato per dare sicurezza a cittadini e operatori. Occorre favorire proprio al Sud la creazione di centri di eccellenza

per la formazione di giovani da avviare alle carriere delle magistrature e delle forze armate e di polizia. 
Naturalmente si tratta solo di spunti. Altri e migliori se ne possono trovare, con una convinzione: che il Sud, pur con le criticità da ultimo riemerse, è una grande occasione di crescita, un laboratorio in cui si possono sperimentare percorsi utili per tutto il Paese. Le energie e la volontà ci sono e si può fare appello a quanti disinteressatamente nel Mezzogiorno credono e sono pronti ad aderire ad una “leva” di intelligenze che possano contribuire al disegno di rilancio. Sarebbe un ulteriore dono del Sud.

 

UNA MADRE COSTITUENTE PER IL SUD di Carmen Lasorella – Numero 2 – Ottobre 2015

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Nel 1946, una donna trentina veniva eletta con i voti del Sud all’Assemblea costituente. Si chiamava Maria De Unterrichter. Era di cultura tedesca ed aveva sposato un napoletano. 
Contraddizioni? Fu una ricchezza. 
Accaddero tante cose in quell’anno in Italia. Il referendum cancellò la monarchia. Le donne ebbero il diritto di voto. Si lavorò alla Costituzione della Repubblica. Si prese in mano la vita del Paese, che usciva dalla guerra. Non ci furono solo i Padri costituenti, dunque, ma anche le Madri costituenti: 21 donne su 556 deputati. Una pattuglia composta da 9 Dc, 9 comuniste, 2 socialiste e 1 rappresentante del Fronte dell’Uomo qualunque, una formazione di centro-destra.

UNA MADRE COSTITUENTE PER IL SUD

 

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Con le colleghe che vissero quell’irripetibile avventura, condivise la prima battaglia istituzionale di genere, che superò le radici e le ideologie: ottenere il rispetto degli uomini; influire attraverso le scelte politiche sui destini della neonata repubblica in un dopoguerra di sconfitta; occuparsi della condizione femminile, cominciando da quella più emarginata del Sud.

Del Mezzogiorno erano in cinque: due siciliane, due abruzzesi e una pugliese, cui si aggiunse, sesta, la De Unterrichter, che era stata eletta nella circoscrizione lucana (Potenza, Matera), già che suo marito, Raffaele Jervolino, correva per Napoli. Lei veniva da esperienze mittle europee, dalla Fuci, dai movimenti femminili che stavano nascendo, dall’insegnamento e da una realtà profondamente cattolica.

Il Piano Marshall fu pensato per il Nord capitalista, mentre agli imprenditori del Sud non fu offerto lo stesso sostegno, nè condizioni di parità.

L’ambiente intorno non era dei più favorevoli. Per ragioni diverse, ma riconducibili allo stesso pregiudizio maschilista, le donne erano appena tollerate, considerate troppo emotive per occuparsi di politica o di economia, inadatte agli incarichi pubblici, vissute come una minaccia per la stabilità della famiglia. Lo pensavano i democristiani e perfino di più le sinistre, nonostante proprio le donne, durante la guerra, entrando nelle fabbriche e negli uffici, oltre agli impieghi sanitari e scolastici, avessero egregiamente sostituito gli uomini al fronte. Era un sentire diffuso, che il Sud esprimeva in modo radicale. Quel Sud che paradossalmente aveva segnato la più alta percentuale di affluenza alle urne delle prime elettrici (86,2 contro 84,8 elettori, mentre in Sardegna aveva superato l’87 per cento), laddove però le donne meridionali, in gran parte analfabete, avevano votato a maggioranza per la monarchia, condizionate dal retaggio delle tradizioni e dal fascino della corona. 
In un tempo in cui vigeva ancora la patria potestà e la potestà del marito, fuori dalla magistratura e dalla diplomazia, con salari deliberatamente più bassi e in un contesto culturale arcaico, che si imperniava proprio sull’arretratezza femminile,

le prime donne investite di un potere istituzionale pensarono al Sud. E cominciarono naturalmente dalla formazione, seguendo anche il metodo Montessori.

L’equilibrio, appunto. 
Sia per le donne, sia per il Sud non è stato mai cercato. Ai tempi della De Unterrichter sappiamo come è andata. Per le aree depresse del Mezzogiorno, si preferì una riforma agraria, piuttosto che l’industrializzazione. Alla domanda di giustizia sociale, si rispose con la creazione di una debole classe media, che avrebbe arginato le rivendicazioni comuniste e rassicurato “i padroni”, come pure gli interessi d’oltre oceano. Si consolò la miseria con le opere pubbliche e si alimentò il sottogoverno con la speculazione edilizia.

Perfino il Papa, negli stessi giorni, se ne è occupato. Ha espresso concetti forti: le donne devono trovare il posto che spetta loro nella società, la corruzione le sfrutta, i pregiudizi le isolano, peggio, sono ingiustamente demonizzate. Una società che vuole crescere deve trovare l’equilibrio.

In sostanza, deliberatamente, mancò una visione unitaria del Paese. Secondo i codici keynesiani, all’epoca di moda, solo lo Stato avrebbe potuto rilanciare l’economia del Sud. Il Mezzogiorno avrebbe vissuto di intervento pubblico e di ammortizzatori sociali. Sarebbe stata una storia di contributi a pioggia, con la Cassa del Mezzogiorno e di sudditanza ai partiti. Inevitabili le collusioni, l’infezione delle mafie, la sottocultura, la rinuncia al progresso – come teorizzava Pierpaolo Pasolini – per il quale il progresso era una nozione ideale, sociale e politica, molto più importante dello sviluppo, in sé solo pragmatico ed economico. 
Se ci saranno gli stati generali per il Mezzogiorno, come annuncia il governo Renzi, dopo 70 anni – diciamo – di equivoci, bisognerebbe trovare un centro alle mille e una cose da fare.

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Contaminazione di altre esperienze, conoscenza, diritti, valori per incidere la carne morta di quella società, cercando anche di attenuare lo “scambio ineguale” – come lo definiva la semantica marxista – del Mezzogiorno rispetto al Nord Italia. Fu un lavoro eroico, presto condiviso dalle intelligenze locali più evolute, che si impegnarono nell’istruzione e nella sanità, puntando sull’associazionismo, per migliorare le condizioni primarie delle donne, oltre gli steccati della diffidenza o peggio in aperta ostilità. 
Quantum mutatis ab illo! Dovremmo poter dire oggi con le parole di Virgilio. Quanti cambiamenti da allora…Ma se scorriamo gli ultimi dati della Svimez (nel dopoguerra, la Svimez recitò un ruolo centrale nella politica per il Mezzogiorno, insieme alla Confindustria e ai governi filoamericani del tempo) l’ottimismo si arena. Nihil sub sole novum?! Niente di nuovo sotto il sole?! Fino ai 34 anni, al Sud lavora solo una donna su cinque. L’allarme povertà riguarda una persona su tre ed è donna. Due milioni di donne meridionali sono classificate NEET, ovvero non studiano, hanno rinunciato al lavoro e non si aggiornano. Nel complesso, la crescita del Mezzogiorno è stata del 13 per cento in quindici anni (2000 -2015), 40 punti in meno rispetto alla media europea, che segna il 53,6. La Svimez prevede che il divario Nord/Sud continuerà a crescere, che ci sarà uno tsunami demografico a seguito dell’aumento dell’emigrazione e del crollo delle nascite; che al Sud si produrrà di meno, si guadagnerà di meno, pagheranno di più i giovani e le donne.

Domanda: quale altro centro sarebbe migliore della ricerca dell’equilibrio? A cominciare proprio dal ruolo delle donne del Sud, che non sono mai state un problema, ma restano una risorsa? La loro esclusione è un deficit di democrazia.

Su ottomila comuni italiani, ce ne sono solo 200 nel Mezzogiorno, che portano la gonna. Sono i sindaci di piccole realtà, in gran parte di poche migliaia di abitanti. Quasi una famiglia, dunque, e nessuno si stupisce se in una famiglia a governare è una donna. E’ poco. La De Unterrichter scriveva: “Coraggio, bisogna prendere in mano il proprio destino”. La storia però ha dimostrato che non basta, quando manca l’equilibrio.

 

THE “MEZZOGIORNO” IN THE FIRE OF ATTENTION di Carlo Malinconico – Numero 2 – Ottobre 2015

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In the last months the “Southern issue” has been lit up again. Firstly, the data gathered by Svimez in the 7-year research from 2007 to 2014, according to which Italy’s Mezzogiorno has had a smaller financial growth than Greece, then Saviano’s article on the state of abandonment of the South, finally Italy’s weekly magazine “L’Espresso” that claims “The South has disappeared” “Demographic collapse. Brain drain. Static economy. Missing entrepreneurs”. The reason for these condemnations comes from the attempt of bringing Southern Italy’s critic situation back in the objectives of the Government’s actions, that – as said- will be dealing with them next October. The Minister of Economic Development has pre-announced the summoning of the Southern States-Generals.

THE “MEZZOGIORNO”
IN THE FIRE OF ATTENTION

 

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The need, felt by everyone, of placing once again the Mezzogiorno in the fire of National attention must be seen not as an unsolvable problem, but as a great occasion not only for the South but for the whole of the Country. For the energy and resources that can come of it, and for the margin of recovery and development that precise actions can bring, Southern Italy is an opportunity that will be able to favour financial and non-financial debts of the Country. Of course, as the SVIMEZ study reminds us, the task is not easy, but the results can be important. In the surely not brilliant general image of our Country, the numbers concerning the Mezzogiorno show it moving back more than the national average: from investments to employment, from capitalisation and size of companies to production capacities. It is important to consider that the pull of exportations that has been a big part of the however modest improvement of the economic Central-Northern conjunction, for structural reasons is not working for the South. The fear here is that these events will lead to a spiral that will bring to the so called desertification of the South, with sceneries going from economic depression to the drainage of youngsters who look for education and training before employment. This would be an enormous damage for the whole National Community. Italy’s South is traditionally complementary to the Northern economy, and the absence of internal demands that distresses the Northern economy would obviously benefit from a larger internal request, that has dropped especially in the South and that, when speaking about companies, would give an important push to the entire National economy. This is why Southern Italy must not be seen as a problem but as opportunity and efforts must be condensed in order to let the South, and with it the whole of Italy, outburst.

 

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For this, an Industrial Policy that can give precise and trustworthy reference points is necessary. We must proceed with realism but also with strong determination. The task of this industrial policy has to be to show institutions and companies the priorities and the objectives to reach, in order to have joint and effective efforts. The resources, both public and private, are limited and therefore should be even more condensed on objectives that are considered essential. Obviously the aim is to start from the analysis already carried out by the Banca d’Italia, by SVIMEZ and other Establishments, to come up with prompts for the Government’s actions. Without forgetting that Institutions can do a lot by simply outlining priorities, describing accelerated processes, condensing competences to obtain the mentioned objectives. A lot can be done to sustain the action of private operators, even without drawing from public resources and without extraordinary measures.
The idea of summoning the States-Generals of the Mezzogiorno, pre-announced by the Italian Minister of the Economic Development, seems to be encouragement-worthy. Not only does this assembly belong to the tradition of Italy, but also the spirit and objective behind it can be agreed upon. National and local institutions, Universities, companies and syndicates must be able to express their own points of view in a sort of public and transparent consultation or, if preferred, in a service conference opened to an audience, a “début public” with prefixed timing. Then, each member will decide upon its resolutions concerning their margin of competence. Not a form of necessary paralyzing consultation with veto rights, but a communal discussion useful to bring together institutions, especially the local ones or the ones with delimited local competence, in order to ensure the coordination of guidelines and of actions on the territories.

 

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Starting from now suggestions to be evaluated by this consultation can be brought up. Among the economic initiatives the ones to be endorsed should be concerning global value chains, especially food and service related ones, being the fields in which Southern Italy has shown the most positivity, and the infrastructures, especially concerning Public Transport services and networking. The South does not need great endeavors, or at least this is not a priority, but what it needs is a strong maintenance of its territory, of the existing infrastructures and of its environment, with actions that would bring the positive effects of an immediate come-back, in economic terms of effects of expenses and immediate usability in favor of economic and tourist activities. One could aim at, for these reasons and taking example from other European Countries, the Special Economic Zones (SEZ) that, as explained by the SVIMEZ report, are areas “characterized by a port… and in which specific regimes of custom treatment, tax exemptions, administration aids and business services are effective, with the main objective of luring foreign investors”. And in these SEZs the guidelines of the EU’s fiscal compensation should be followed. In the Mezzogiorno the SEZs could be established in the transshipment port areas of Gioia Tauro, Taranto and Catania. Keeping in mind that the great lines that transport gas and are essential for the production of energy have different access points in Italy’s Mezzogiorno, and from here they radiate to the rest of the Continent: four pipelines start from the southern bank of the Mediterranean Sea and travel towards Europe, two of them reaching the Mezzogiorno. The Transmed that starts from Algeria, crosses Tunisia and reaches Mazara del Vallo, the Greenstream, that from Libia reaches Gela, and more are being designed: the Galsi from Algeria to Sardinia and then Piombino, the TAP (Trans-Adriatic Pipeline) that will cross Greece, Albania and connect to Italy’s lines in Salento, the Interconnector that will link Italy and Greece (at the port of Otranto).

 

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To finance these investments the EU Structural Funds 2014-2020 must be used at their best- and here too we must have a joint cooperation. In fact there are administrations and Regions that have a greater knowledge on how to obtain said funding. The transferring of these best practices would be an added value, that one could reach either by sending experts from a dexterous region to a less able one, or by sending employees from less expert areas to the best ones for training. The State-Regions conference might give an impulse to this process.
Other indispensable resources of the Mezzogiorno are its culture and landscape. Not only the striking panoramic beauty or the single historical monument mesmerize the visitor, but the actual evocative nature of such beauties. Whether we talk about the Riace bronzes or the Valley of the Temples in Agrigento, the Greek Theatre in Siracusa, Paestum, Pompei or Herculaneum, of the countryside in Salento, Burri’s Cretto or the stones of Matera, what strikes the traveller is the myth, the legend behind each place, symbol, rock, stone, shrub, stack. Here, more than any other place in Italy, nature and things are alive and tell stories and traditions. The enhancement of the artistic, historical and archaeological heritage – that is Mezzogiorno’s real petroleum- needs a series of abilities that luckily are already present, but also a more effective communication system and the definition of quality routes that will express these values. The modern tools to access information and the possibility of sharing knowledge and experiences online must be used at their best, in order to create the necessary development synergy and the easiest access possible: a Southern Portal, around which one can urge the creation, by University students and younger ones, of apps to furtherer help users. Superintendents, Universities and operators can cooperate for this goal.

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Last, but not least, formation. Universities must find better forms of integration and coordination of courses in order to avoid duplications. It is also necessary to point out excelling centers and favor them. Post-University vocational training courses to support the creation of spin-offs in the most promising fields of economy could be established. Courses in which professors, graduates and economic operators would all be involved. 
At the base of all of this is legality. This must be the State’s task to ensure safety to citizens and operators. It is fundamental to create, especially in the South, excellent centers for the formation of young people who can set off towards judiciary careers, the Armed Forces or the Police. 
Of course these are just suggestions. Others, and better ones, can be found with one belief: that Southern Italy, even with all the recently re-emerged criticality’s, is a great growth opportunity, a laboratory in which one can experiment useful paths for the whole Country. Both energy and will are available, and it is possible to appeal to those in the Mezzogiorno who selflessly believe in and are ready to adhere to a “lever” of intelligence that could help in the relaunch design. It would be yet another gift from the South.