LA LUNGA VIA VERDE di Pierluigi Giorgio – Numero 2 – Ottobre 2015

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Abbandonati da decenni, escono dall’oblio e stanno per essere protetti e valorizzati. E’ stata infatti presentata ufficialmente a Roma, lo scorso maggio, una richiesta all’Unesco per inserire queste immense strade verdi nel patrimonio culturale dell’umanità. Una grande opportunità per chi si batte per conservare la memoria di un passato umile e, insieme, grandioso del nostro Paese e preservare storia, cultura e ambiente delle regioni che erano interessate dalle spettacolari transumanze di una volta, e cioè Abruzzo, Molise, Puglia. Myrrha ha chiesto ad uno dei maggiori studiosi di storia e costumi dell’Italia rurale, Pierluigi Giorgio, di raccontare la sua esperienza e i suoi viaggi lungo i tratturi. Quella che segue è la sua commovente testimonianza.

Percorsi di pellegrinaggio, del commercio itinerante e della conoscenza di altri popoli, usi, tradizioni. I campi di battaglia tra Sanniti e Romani; oggetto di controllo e regolamentazione dei passaggi animali ed umani, che si sono susseguiti nei secoli: Normanni, Svevi, Aragonesi, Borboni…
A contrappunto del percorso, mura di difesa e avvistamento di popoli antichi, le torri, i castelli, le cappellette, le chiese, i mulini, i fontanili, gli opifici… Autostrade erbose: senza auto, naturalmente!

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LA LUNGA 
VIA VERDE

 

Pierluigi-Giorgio

I tratturi non erano solo le vie delle greggi, ma sino a non moltissimi anni fa, le vene ove pulsava la vita di un territorio; arterie in cui fluivano civiltà, economia, cultura, scambio…

Il vecchio zi’ Felice non poteva credere che avrei percorso passo passo con loro, che erano abituati da generazioni, i 180 km. che dalle Puglie, li separavano da Frosolone; che avrei condiviso il sole, la pioggia, i bivacchi attorno al fuoco. Dovette ricredersi: l’ultima sera aveva le lacrime agli occhi! Me lo ricordo quando vide il documentario che avevo fatto realizzare, in silenzio: la fatica di una vita innanzi agli occhi di tutti! E la commozione, la gratitudine e anche il disappunto per un percorso sempre più in residuo, invaso dagli sterpi, inglobato dai frontisti (i contadini confinanti con le proprie terre); dalle concessioni della Forestale e – sembra incredibile dato il vincolo – a volte anche dal permesso di asfaltare…
E’ rimasto un urlo soffocato il suo, strozzato! Se l’è portato via con sé, tra le nuvole nel ’95 su tratturi sicuramente più ampi, senza confini. Forse è lì che scuote ancora la testa guardando le difficili transumanze dei suoi cari…
Passarono gli anni e per i tratturi non fu fatto niente, o forse veramente poco: salvo le parole, parole, parole. Anche le ultime taverne dei pastori, stanno inesorabilmente crollando. Si stanno sgretolando! Ma tutto ciò appartiene alla storia, all’identità di un popolo, del Molise: alla storia universale!…
Ho sempre pensato che la nostra regione non ha laghi pittoreschi come quello di Como o del Garda; non ha Dolomiti, ma possiede una risorsa unica, tutta propria, che se fosse stata protetta in tempo, oggi costituirebbe un’alternativa turistica per il Molise; particolarissima. 
I tratturi non esistono più in Puglia, miseri tratti in Abruzzo vanno cercati.

Ben 111 metri di larghezza: ai lati, a delinearne l’ampiezza e a impedire lo sconfinamento animale o coltivo, due lunghe fitte siepi longitudinali: i guardrails d’altri tempi. I luoghi di sosta? Gli autogrill, i motel d’altri tempi: vecchie taverne…

Era il 1986 quando m’infilai gli scarponi, zaino in spalla e volli per la prima volta percorrere circa 250 Km. di tratturi a piedi affascinato dall’idea che solo nella mia terra, il Molise, erano in buona dose ancora intatti, seppur comunque seriamente a rischio: come i Koala o certe forme endemiche flogistiche… Pubblicizzai l’evento: non sarebbe stato un semplice trekking ma una marcia provocatoria: riportare il problema “salvaguardia e cura” di tracciati antichi più di 2000 anni, all’attenzione della gente dei borghi che gravitavano sui tratturi, dei politici molisani del momento, dei media nazionali.
E la gente venne ad incontrarmi puntuale; ad ascoltare le storie che narravo; le proposte che suggerivo… A volte mi venivano incontro; a volte mi accompagnavano per qualche tratto, mi offrivano cibo, attenzione e sostegno… Capirono man mano di non vivere con le loro case, accanto ad un semplice prato d’erba; compresero che dovevano impedire la cancellazione dei tratturi e magari la loro stessa storia, con una colata d’asfalto su quel verde cordone ombelicale che li riconduceva alle proprie vicende umane; ad un’identità di popolo…

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Insomma un mondo semplice ma funzionale che oggi può tornare ad insegnarci l’armonica simbiosi tra uomo e territorio. Il senso del mio andare? Passo passo, seguivo il ritmo del mio cuore, le sensazioni a fior di pelle, il palpito della storia… Si, tanta gente venne, tanti borghi s’inventarono una festa d’agosto, un momento di riflessione e vi fu un “tam tam” pubblicitario fitto ed intenso, sicuramente a livello non solo regionale, ma largamente nazionale. Anche Maurizio Costanzo mi volle in trasmissione, intrigato dal fatto che un attore e scrittore, invece delle tavole di palcoscenico sceglieva di calcare… la cacca di armenti. Preferiva cioè recitare e narrare testi intrisi di messaggio legati al percorso attraversato e alla sua storia, nelle varie 14 tappe che si susseguirono in una teoria di giorni esaltanti. Insomma, finalmente se ne parlava! Proposi di salvare ed utilizzare i tratturi per il turismo, lo sport, lo spettacolo!

Tre anni dopo venni a sapere di una famiglia – i Colantuono – che ancora faceva la transumanza con circa 600 mucche: Molise-Puglia e ritorno. Me la feci presentare ed espressi il desiderio di seguirli, di raccontare, di fotografare la loro storia, di filmarla.

Recuperiamo, salvaguardiamo almeno i nostri, in linea con quell’illuminato decreto ministeriale che anni fa li sottopose a vincolo ritenendoli di notevole interesse per l’archeologia e per la storia politica, sociale e culturale.

Turismo e cultura, potrebbero dare lavoro a molte persone, giovani in particolare… Offriamo la possibilità a contadini ed artigiani di vendere i loro prodotti, di offrire ospitalità: non strozzandoli di tasse o altro. Incentiviamo il restauro delle vecchie masserie, non costruiamo nuove strutture; diamo sostegno e albergo ai nuovi trekkisti, ai cavalieri, a coloro che amano passeggiare per giorni senza incontrare l’asfalto; fare soste tra gente e cibi genuini. Suggeriamo veri itinerari, fattibili, a tutti coloro che in un ritmo lento ritrovato, cercano un’oasi di pace ove passo, pensiero e cuore possano viaggiare all’unisono. 
Molise, terra dal fascino discreto, terra di grande ospitalità che a mio avviso il turista cercherà come l’oro quando Umbria e Toscana – ad esempio – saranno sempre più inaccostabili per l’inarrestabile lievitazione dei prezzi e per la perdita di un volto proprio.
Qui avremmo e offriremmo la possibilità di

riassaporare gli umori di una terra, ricalcare le tracce degli antenati, ritrovare ritmi più umani nel dialogo e rispetto con la natura.

Come concludere? Mi rendo conto delle difficoltà organizzative, burocratiche e compagnia bella. Lo so, non sono un diplomatico, forse solo uno sciocco idealista legato ad alcun partito e non potrei e vorrei mai essere un politico; ma solo un artista con la sensibilità dell’artista; un uomo che conserva e protegge autonomia e che vive le cose dall’interno, con grande rispetto: sempre; che ha voluto relazionarsi con la gente – soprattutto con i più semplici – che ne ha attinto insegnamento, che si è voluto rimescolare con la terra. Una cosa però la so: se mancherà seriamente e immediatamente l’impegno, la volontà di proteggere definitivamente i tratturi facendone rispettare il vincolo; la lungimiranza di un progetto turistico fattibile; se non si affiderà a competenti professionisti del campo e non a improvvisati avventori politici il compito di “vendere” il pacchetto Molise, di credere nei tratturi, consci che un giorno tutto ciò “pagherà” – perché è questo che i nuovi turisti in genere, già stanno chiedendo – perderemo irrimediabilmente l’ultimo treno e con esso la magica lunga via verde. Resteranno solo le parole, i vani proponimenti; le chiacchiere a vuoto di chi dovrebbe essere preposto alla salvaguardia e all’utilizzo mirato.
Perché non ricostruire (riattare) tutto un lungo ininterrotto percorso fratturale per transumanze e turisti, recuperandone nei punti difficili, non più riscattabili, non dico 111 metri di larghezza come all’origine, ma almeno 3 a testimonianza e continuità di percorrenza? Valutando dove creare sottopassi e cavalcavia per non incrociare, a proprio rischio, l’asfalto e auto distratte e “frettolose”.

La richiesta presentata all’Unesco lascia ben sperare in un futuro di conservazione e valorizzazione delle grandi vie della transumanza.

Un passato di lavoro duro, umile, lento, di cui gli italiani non debbono vergognarsi, ma andare fieri. Dovremmo indicare i tratturi ai nostri figli come un esempio di armonia tra il lavoro dell’uomo e la conservazione dell’ambiente che, oggi, è assai raro scorgere nel tumultuoso sfruttamento della natura.
Il Molise crescerà con i tratturi e i tratturi con il Molise! Sono pronto a scommetterci…
E’ il momento di azioni pratiche: nonostante tutto, voglio ancora sperare!…

 

HERCULANUM DECOLLE ENFIN GRÂCE À UN PARTENARIAT PUBLIC-PRIVE di Giorgio Salvatori – Numero 3 – Gennaio 2016

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Herculanum recommence à vivre. Voici une autre réussite du Sud ignorée, ou presque, par les grands médias nationaux.
A partir de cette année, l’extraordinaire site archéologique de la Campanie offre au public quarante pour cent de plus de zones à visiter, soit une augmentation de près de 150.000 unités par rapport à 2000. Pour être précis, 384.000 contre 247.000 recensées au début du troisième millénaire. Un résultat exceptionnel. Résultat la « thérapie Packard ” et de la synergie public-privé qui donne d’excellents résultats.

Pourquoi le riche mécène américain a-t-il choisi Herculanum et non pas Pompéi, pour tester une collaboration internationale jamais tentée auparavant, et, apparemment, si difficile et délicate?

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HERCULANUM DECOLLE ENFIN GRÂCE À UN PARTENARIAT PUBLIC-PRIVE

 

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Tout a commencé en 2001, lorsque David W. Packard, le philanthrope américain bien connu, a fondé le Projet de Conservation Herculanum. Objectif: soutenir l’Etat italien à travers la Direction pour le Patrimoine Culturel de Naples et Pompéi dans son travail de protection et de valorisation du site d’Herculanum. Le projet repose sur la collaboration d’une équipe d’archéologues italiens et étrangers avec le soutien de la l’Ecole Britannique de Rome.

Pour au moins deux bonnes raisons: la première est que la zone de Pompéi est dix fois plus grande que celle de Herculanum. Par conséquent, elle se prêtait et se prête mieux à une action de soutien qui montre rapidement des résultats visibles. La seconde est que, mise à part sa taille, Herculanum, n’est pas moins importante que Pompéi et présente des caractéristiques uniques et précieuses, plus précieuses, même que celles de Pompéi. Lesquelles? Par exemple, le fait que Herculanum, à la différence de Pompéi, permet d’étudier la composition de la population grâce aux squelettes bien conservés de ses habitants surpris par le nuage de cendres et de gaz chauds qui les ont frappés lors de l’éruption du Vésuve en 79 après JC (le même qui a submergé les habitants de Pompéi). En outre, il convient de noter

Il s’agit d’un franc succès, résultat de la volonté de tous les participants à l’accord – Ministère de la Culture, Direction pour le Patrimoine, Fondation Packard – de travailler ensemble, sans a priori ni publicité inutiles.

Une caractéristique unique par rapport non seulement à Pompéi, mais aussi à tout autre site archéologique dans le monde.
Massimo Osanna, délégué spécial pour Pompéi, Herculanum et Stabia ne cache pas Sto arrivando! satisfaction.

L’enjeu est la préservation d’un bien commun inestimable, source de découvertes continues et laboratoire archéologique et didactique sans précédent.
L’espoir de Myrrha est que l’exemple du projet Herculanum puisse être suivi ailleurs en Italie. Afin de ne pas laisser à l’abandon, de manière irresponsable, des vestiges et la mémoire historique de notre prestigieux passé.

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que c’est seulement à Herculanum que la nuée ardente a enveloppé, mais pas détruit, le mobilier et les aménagements de la ville. Ceux-ci, de fait, sont restés en grande partie intacts, dans leur forme originale, dans des maisons privées et dans les lieux publics.

 

ERCOLANO FINALMENTE DECOLLA CON LA FORMULA PUBBLICO-PRIVATO di Giorgio Salvatori – Numero 3 – Gennaio 2016

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Ercolano torna a vivere. Ecco un’altra eccellenza del Sud ignorata, o quasi, dai grandi media nazionali.
Da quest’anno lo straordinario sito archeologico campano si offre al pubblico con un significativo 40 per cento in più di aree aperte ai visitatori che, rispetto al 2000, sono aumentati di circa 150mila unità. Per l’esattezza, 384mila contro i 247 mila conteggiati all’inizio del terzo millennio. Un risultato eccezionale. Effetto della ”cura Packard” e della sinergia pubblico privato che sta dando ottimi risultati.

Perchè proprio Ercolano, e non Pompei, è stata scelta dal facoltoso mecenate americano per sperimentare una collaborazione internazionale mai tentata prima e, apparentemente, così difficile e delicata?

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ERCOLANO FINALMENTE DECOLLA CON LA FORMULA PUBBLICO-PRIVATO

 

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Tutto è cominciato nel 2001 quando David W. Packard, noto filantropo statunitense, fondò l’Herculaneum Conservation Project. Obiettivo: sostenere lo Stato Italiano attraverso la soprintendenza speciale per i beni archeologici di Napoli e Pompei, nell’opera di tutela e di valorizzazione del sito di Ercolano. Il progetto si avvale della collaborazione di un team di archeologi italiani e stranieri ed ha il supporto della British School di Roma.

Almeno per due buone ragioni: la prima è che l’area di Pompei è vasta 10 volte quella dello scavo di Ercolano: quindi, quest’ultimo si prestava e si presta meglio ad un’azione di sostegno, con risultati visibili, in tempi rapidi. La seconda è che Ercolano, dimensioni a parte, non è meno importante di Pompei e, anzi, presenta caratteristiche uniche e preziose, più preziose ancora di quelle riscontrabili a Pompei. Quali? Ad esempio il fatto che a Ercolano, a differenza di Pompei, è possibile studiare la composizione della popolazione attraverso gli scheletri ben conservati delle persone sorprese dalla nube di ceneri e gas roventi che li investì durante l’eruzione del Vesuvio del 79 avanti Cristo (la stessa che sommerse la popolazione di Pompei). In più c’è da notare che

Si tratta di un successo incontestabile, frutto della volontà di tutti gli artefici dell’accordo – Ministero dei Beni Culturali, Soprintendenza, Fondazione Packard – di lavorare insieme, senza riserve e inutili protagonismi.

Una condizione unica rispetto non soltanto a Pompei, ma anche a qualsiasi altra area archeologica del mondo. Non nasconde la sua soddisfazione Massimo Osanna, Soprintendente Speciale per Pompei Ercolano e Stabia.

In gioco c’è la salvaguardia di un bene comune dal valore inestimabile, fonte di scoperte continue e laboratorio archeologico-didattico senza precedenti.
L’auspicio di Myrrha è che l’esempio del progetto di Ercolano possa essere seguito anche altrove, in Italia. Per non far deperire, irresponsabilmente, vestigia e memoria storica del nostro prodigioso passato.

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solo a Ercolano la stessa nube ardente avvolse, ma non distrusse mobili e arredi. Questi ultimi, anzi, restarono sostanzialmente intatti, nelle loro forme originarie, nelle case private e nei luoghi pubblici della città.

 

LA COSTITUZIONE MANCATA A NAPOLI di Cesare Imbriani – Numero 3 – Gennaio 2016

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Avrei potuto, anzi forse dovuto titolare le poche cose che dirò: “i Borbone e le Costituzioni mancate” o, meglio, “i Borbone e le occasioni mancate”, riferendomi così ai vari problemi di politica interna e internazionale, un insieme di nodi irrisolti o mal gestiti la cui somma si è riflessa alla fine nel dissolvimento del Regno delle due Sicilie. Basti ricordare la “questione dello zolfo”, che vide coinvolte con differenti ruoli le due maggiori potenze dell’epoca, Inghilterra e Francia, oppure la necessità della riconquista della Sicilia manu militari da parte di un sovrano della dinastia restato nel dire comune (dopo il bombardamento della città di Messina) con l’appellativo di Re Bomba, o ancora le mancate risposte ad una laicizzazione costituzionale in una Europa che era una polveriera di richieste di rappresentatività democratica.
Ho scelto invece di riferirmi alla Costituzione Napoletana del 1820/21 per tre ordini di motivi:
1- Perché, nei fatti, ritengo che, insieme ai noti problemi interni del Regno delle Due Sicilie (legati essenzialmente al mancato costituzionalismo ed anche ai problemi della annessione in una logica di stato unitario del Regno di Sicilia), la fine dello

 

LA COSTITUZIONE MANCATA
A NAPOLI

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In definitiva si può ritenere che il 1820/21, per dirla con un termine molto usato in economia, rappresenti una sorta di benchmark interpretativo. In tale periodo re Ferdinando, stretto dai suoi rapporti con l’Austria per la attuazione ed il rispetto degli impegni derivanti dal Congresso di Vienna, ma anche da quelli della restaurazione del Regno fece esporre il figlio Principe vicario Francesco che, quale suo mandatario, promulgò una Costituzione sul modello di quella spagnola di Cadice.

Ciò però si realizza in un quadro di costanti e mancate risposte istituzionali e politiche da parte dei Borbone alle problematiche interne specie al costituzionalismo, di cui quello del 1820/21 fu una occasione a mio avviso stoltamente mancata, perché avrebbe consentito alla Casa regnante di collocarsi dal lato giusto della storia.
2- Certo, e siamo al secondo motivo, anche (per alcuni, soprattutto)

l’ottuso rifiuto di una effettiva modernizzazione istituzionale – dopo il periodo rivoluzionario del 1789 e quello murattiano dell’inizio del secolo – ebbe un ruolo fondamentale e favorì nel momento della dissoluzione del Regno

davanti alla avanzata delle truppe garibaldine (in palese violazione del diritto internazionale) un comportamento di non interventismo, un benign neglect all’incontrario, delle varie potenze: tale atteggiamento riguardò oltre a Francia e Gran Bretagna (come poteva essere prevedibile), persino l’Austria, frenata nel suo intervento anche dalle superiori capacità della flotta inglese. La Prussia era invece distante, ancora in crescita ed alla ricerca di un consolidamento di ruolo in Europa; la Spagna era ormai troppo debole e poco ascoltata nel contesto dell’equilibrio dei poteri. Solo la Russia cercò di intervenire diplomaticamente davanti all’evidente sopruso militare e politico che veniva perpetrato, anche in ricordo dell’atteggiamento a lei favorevole del Regno delle Due Sicilie in occasione della Guerra di Crimea, quando di contro il Piemonte le si era schierato contro con Francia e Gran Bretagna; ma ciò non bastò.
3- Ecco, quindi, e siamo al terzo motivo, l’importanza politica della vicenda del 1820/21 e della

Costituzione

(concessa dopo moti insurrezionali di matrice carbonara che coinvolsero guarnigioni nella zona di Nola – gli ufficiali Morelli e Silvati, il prete Minichini – e poi in Irpinia), la quale

avrebbe collocato il Regno napoletano dal lato delle monarchie costituzionali, prima di tutte nell’Italia Continentale.

Per il vero, una prima Costituzione sulla falsariga di quella inglese fu concessa dai Borbone alla Sicilia nel 1812,quando la parte continentale del loro Regno era sotto il dominio francese nella persona di Murat. Tale costituzione viene quindi correttamente ricordata come l’assetto costituzionale italiano che anticipò il normale decorso di democratizzazione già implicito nelle dinamiche risorgimentali; purtroppo la Sicilia, nell’ambito delle sue continue vicende indipendentiste, quando si concretizzò una Costituzione ispirata da Lord Bentinck, la vide dismessa nel successivo accorpamento unitario del Regno di Borbone. Ed è ben noto che la mancata risoluzione, almeno in termini federali, della questione siciliana fu un altro fondamentale motivo di debolezza del Regno napoletano.

all’inizio del 1821, Re Ferdinando l si recò a Lubiana, al Congresso convocato con fini di Restaurazione dopo i moti insurrezionali di quel periodo; promise solennemente nel partire da Napoli, che avrebbe difeso e giustificato la Costituzione nel consesso delle altre nazioni.

Era una Costituzione con evidenti limiti istituzionali, ma rappresentò un’occasione importante perché era determinata in un clima sicuramente lealista rispetto all’istituto monarchico. Gli stessi deputati dell’epoca, tra cui Giuseppe Poerio, padre del più noto Carlo (storicamente conosciuto, perché alcuni anni dopo divenne un simbolo internazionale della repressione delle libertà attuate dai Borbone) erano per la massima parte fedeli all’istituto monarchico, seppur recependo le abbondanti tracce dell’illuminismo locale.
In ciò Napoli dopo le esperienze rivoluzionarie del 1799 e l’epoca murattiana, piena di cambiamenti ideali e strutturali, si era sempre differenziata idealmente e culturalmente dall’altra “capitale agognata”, Palermo, dove invece il riconoscimento del Regno passava attraverso un complicato gioco di richieste di rappresentatività politica e gestionale, al fine di ripristinare autonomie statuali, che configgevano con l’atteggiamento fortemente unitario, da un punto di vista politico ed economico, dei Borbone.
Ma i patti sottoscritti non furono rispettati:

la Costituzione del 1820, seppure nei suoi limiti, era la cosa giusta al posto giusto, nel momento giusto, da un lato, per allentare la sudditanza verso l’Impero Austro-ungarico (che a sua volta si dissolse nel 1918,cioè meno di sessanta anni dopo il Regno delle due Sicilie); dall’altro, per far divenire lo Stato napoletano un Attore rispettato ed autorevole del processo di unità nazionale, che all’ epoca perseguiva anche vie federaliste;

Viceversa, la sua richiesta di intervento giustificò una spedizione di truppe austriache, che attraversò la penisola e si scontrò con l’esercito napoletano guidato dal generale Guglielmo Pepe nei pressi di Rieti e poi alle gole di Antrodoco.
La sconfitta dell’esercito costituzionale comportò il ripristino di un regime di monarchia assoluta nel Regno delle due Sicilie; le dolorose esecuzioni di vari rivoltosi, seppur leali ad un istituto monarchico costituzionale, la diaspora dei Deputati del primo Parlamento napoletano ed il pagamento per molti anni del corpo di spedizione austriaco (una sorta di beffardo tutoraggio, come ancora oggi si vede nel contesto delle relazioni internazionali) furono i dolorosi residui di una vicenda che peserà negli anni a venire, sconnettendo la intellighenzia risorgimentale del Sud dai destini dei Borbone. Per inciso, il generale Pepe lo ritroviamo nel 1848 a difendere Venezia per poi morire nel 1855 esule a Torino.
Insomma,

tutto ciò avveniva ben prima che il Piemonte si impossessasse di quel ruolo che ci condusse all’unità nazionale.

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LIBRERIA MARESCRITTO di Matteo Eremo – Numero 3 – Gennaio 2016

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“Il seguente articolo – estratto da un racconto più ampio contenuto nel volume: La voce dei libri II. Storie di libraie coraggiose raccolte e raccontate da Matteo Eremo – è qui pubblicato per gentile concessione dell’editore Marcos y Marcos e dell’autore”.

Immaginate una libreria vicino al mare, in Salento, in uno dei punti più estremi della nostra penisola, a due passi dalle coste dell’Albania e della Grecia. Immaginate un luogo minuscolo ma coloratissimo, dove è possibile sfogliare le pagine di un libro con in sottofondo le note celestiali di un capolavoro come Kind of Blue di Miles Davis.

a Tricase, fino a quel momento, non c’era stata richiesta di libri perché era mancata l’offerta, non il contrario. Il problema non era aprire una libreria al Sud ma, semmai, superare i pregiudizi. Perché la gente desiderosa di leggere c’è, eccome: bisogna solo offrire un servizio e un luogo adatti alle loro esigenze.

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LIBRERIA MARESCRITTO

 

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Un tempietto consacrato all’olimpo dei libri da una giovane donna che, dopo essere emigrata al Nord come tanti suoi conterranei del Sud, ha deciso di tornare nella propria città di origine per aprire una libreria. Sì, avete capito bene. Vendere libri nella più periferica delle periferie, dove nemmeno le librerie di catena osano andare, in una piccola cittadina del Capo di Leuca, al confine tra due mari: l’Adriatico e lo Ionio.

Letture contro i pregiudizi

 

“A vent’anni” racconta Isabella “ho sentito una forte esigenza di compensare le mie lacune culturali. Si trattava di un’autentica necessità di emancipazione da certi limiti del pensiero, di liberarmi da quelle che Henry Miller chiama ‘pastoie della propria natura’. Cercavo letture in grado di farmi vedere le cose da un punto di vista alternativo. 
“È così che è avvenuto l’incontro con gli autori che più amo e da cui mi sono lasciata influenzare: Marguerite Duras, Céline, Kafka, Simone de Beauvoir, la Beat Generation, Musil, Pasolini, Boris Vian, John Fante… Lo definirei un vero e proprio punto di non ritorno. Già mentre mi immergevo per la prima volta in quelle letture scoprivo nuovi orizzonti di senso. I miei libri erano tutti sottolineati, annotati, con le pagine usurate e ingiallite per il mio continuo soffermarmi su passaggi che ritenevo illuminanti.
“Mentre studiavo e lavoravo saltuariamente, ho cominciato a chiedermi cosa volessi fare nella vita, finché non ho raggiunto i miei fratelli a Bologna. Lì, all’ombra delle due torri, mentre mi reinventavo in diversi ruoli, mi sono posta la fatidica domanda: perché non aprire una libreria a Tricase, dove sono nata e cresciuta? 
“Gli aspetti positivi che potevano decretare la buona riuscita dell’impresa non mancavano di certo in quel periodo, alla fine degli anni Novanta. Pur essendo il centro più grande del Capo di Leuca, innanzitutto, Tricase aveva qualche piccola cartoleria rifornita di scolastica, ma nemmeno una vera libreria. Poi si trovava a soli tre chilometri dal mare, in una posizione privilegiata. 
“All’epoca, inoltre, stava per esplodere il fenomeno del Salento, con la riscoperta di forme musicali come la pizzica e la taranta. Eravamo ancora lontani dal successo turistico di oggi, ma già in quel momento si poteva intuire che ci sarebbe stato un grande rilancio della mia terra. Avevo però un dubbio: perché nessuno aveva aperto una libreria a Tricase? 
“All’epoca, purtroppo, ero ancora vittima del preconcetto secondo il quale al Sud è tutto più difficile. Per tanti anni, d’altronde, i nostri giovani sono emigrati al Nord o all’estero rafforzando una paura e un complesso di inferiorità con il quale chi nasce nel meridione prima o poi deve fare i conti. 
“La situazione, in realtà, è diversa:

Isabella Litti, l’intraprendente e coraggiosa libraia di Marescritto, è un perfetto testimonial della forza e della portata, troppo spesso sottovalutate, dei libri. 
La sua vita è infatti segnata da un netto spartiacque: c’è un prima e un dopo aver cominciato a leggere. E il dopo, ça va sans dire, è tutta un’altra storia.

“Un contesto in cui rientra anche la riscoperta della lentezza, una virtù messa in cattiva luce da una società frenetica, iperproduttiva e isterica. Del resto, chi l’ha detto che la velocità è tutto? Al contrario, come ci insegna Franco Cassano con una bellissima metafora, dovremmo ‘essere lenti come un vecchio treno di campagna, come chi va a piedi e vede aprirsi magicamente il mondo, perché andare a piedi è sfogliare il libro e invece correre è guardarne soltanto la copertina’. 
“Il futuro dei libri, non solo quello del Sud, passa anche da concetti come questo”.

basta leggere un libro come Il pensiero meridiano di Franco Cassano per assumere tutta un’altra prospettiva e capire che occorre restituire al Sud la sua antica dignità di soggetto del pensiero, riformulando l’immagine che esso stesso ha di sé. Non più ‘periferia degradata dell’impero’, ma centro di un’identità ricca e molteplice, autenticamente mediterranea.

“Non era un problema di domanda, ma di offerta”

 

L’avventura di Isabella Litti parte ufficialmente nel giugno del 2004, in un piccolissimo locale di appena trenta metri quadrati nel cuore del centro storico di Tricase. 
Il nome, così evocativo e sinestesico, è un omaggio a un ricercato libretto fotografico dell’amata Marguerite Duras: Il mare scritto, appunto. 
L’avvio è tutto in salita. Il budget limitato costringe Isabella a partire con grande cautela, con un catalogo di soli duemila titoli, e a passare attraverso i grossisti.
“Già nel corso del primo anno” ricorda Isabella Litti “ho però iniziato ad avere diversi riscontri positivi e ho capito una cosa fondamentale:

“Rinfrancata da queste considerazioni, ho speso tutte le mie energie per crescere in maniera costante, reinvestendo tutti i guadagni nella libreria: in pochi anni il catalogo è così passato da due a quattordicimila titoli, grazie anche ai rapporti di fiducia sviluppati nel tempo con gli editori”.
Marescritto è un piccolo mondo senza tempo a due passi dalla piazza principale di Tricase, dove svettano le sagome severe di due chiese e il profilo fiabesco del castello, nella cui Sala del trono Isabella organizza spesso le presentazioni. Il locale che ospita la libreria, d’altronde, è troppo piccolo per gli eventi.

La limitatezza degli spazi, però, non è vista dai clienti come un aspetto negativo, anzi. Isabella è infatti riuscita a creare un ambiente estremamente bello, intimo e di qualità. Un luogo vivace, ricco di spunti e di contaminazioni sotto le solide volte a botte del soffitto.

Qual è, dunque, il segreto di questo minuscolo scrigno? “Innanzitutto” spiega la libraia “contano molto il catalogo e la piacevolezza del luogo, entrambi studiati accuratamente. Marescritto si è formata attorno alle esigenze dei lettori, ma tenendo conto dei miei gusti e delle accortezze che studio stando qui, mentre osservo quello che accade in libreria.
“Il secondo segreto è invece la terra su cui sorge. Tricase è una cittadina vivace, con ben tre cinema, e si trova a due passi dal mare, la cui vista opera un vero e proprio sfondamento nel modo di pensare”.

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Nonostante la sua lontananza rispetto ai grandi centri produttivi del paese, Tricase si è dunque rivelato da diversi punti di vista un luogo privilegiato in cui aprire una libreria. Tanto che Isabella Litti, dopo aver confutato molti stereotipi, ora guarda con estrema fiducia al futuro del libro e del proprio mestiere. 
“Il turismo” spiega la libraia “garantisce un grande volume di vendite da maggio a settembre, ma anche durante tutto il resto dell’anno non ci possiamo lamentare, anzi.

Siamo infatti troppo periferici per subire la concorrenza delle librerie di catena, che non ci pensano proprio ad aprire da noi. E la base di clienti su cui possiamo contare è molto solida, anche perché il Salento, in controtendenza con molte zone del Sud e persino del Nord, subisce sempre meno il problema dell’esodo dei propri giovani.

Molti, anzi, stanno rientrando negli ultimi anni. 
“Col tempo siamo diventati un punto di riferimento per il tessuto sociale del luogo e abbiamo contribuito a rivitalizzare il centro storico. Ora ci sono numerosi ragazzi che vengono qui a chiacchierare e a confrontarsi, comprando tanti libri. Siamo diventati un luogo di aggregazione e confronto”.

Circondato dalle acque del Mediterraneo, a più di mille chilometri dalla frenesia della grande capitale italiana dell’editoria e dell’industria, c’è un Sud che, riscoprendo la propria identità e i benefici della lentezza, va decisamente più forte di tante realtà del Nord.

 

L’ECO DEL MOLISE LE CAMPANE DELLA PONTIFICIA FONDERIA MARINELLI di Sergio Spatola – Numero 3 – Gennaio 2016

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L’ECO DEL MOLISE
LE CAMPANE DELLA PONTIFICIA FONDERIA MARINELLI

 

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Non è strano che Antonio Pascale abbia scritto “che il Molise si deve essere vendicato di quell’abbandono. Con le campane. Quell’eco è appunto del Molise che risuona in tutto il mondo”.

Peso, spessore e circonferenza sono le variabili che creano il timbro della campana, rapporti definiti per la prima volta da Diderot nell’Encyclopédie e che ancora oggi sono capisaldi della “scala campanaria”.

Tanto importanti sono le campane della Pontificia Fonderia che risuonano dalla Torre di Pisa, dal Santuario della Beata Vergine del Rosario di Pompei, dall’Abbazia di Montecassino, dalla Cattedrale di Buenos Aires.
Ne sono state commissionate e benedette da numerosi pontefici, quali Pio IX, Giovanni XXIII, Giovanni Paolo II Benedetto XVI e Francesco. Ne è stata commissionata, da ultimo, una di ben 850 kg di bronzo puro per Expo 2015.
Per una campana a regola d’arte occorrono molti mesi di lavorazione e diversi passaggi, tutti fondamentali.
Si passa dalla creazione dell’“anima” in mattoni alla copertura di questa con strati di argilla, con l’ausilio di una guida in legno. Sull’argilla – adatta a resistere all’azione erosiva del bronzo liquido durante la colata – vengono riportate le decorazioni e iscrizioni in cera – tra i quali lo stemma pontificio di cui i Marinelli si possono fregiare dal 1924 – così da arrivare alla creazione della falsa campana.
Falsa, perché si tratta di uno stampo da cui verrà ottenuto il negativo (il mantello), sovrapponendo altri strati di argilla lasciati essiccare tra un’applicazione e l’altra. 
Durante la fase di essiccazione, eseguita con carboni ardenti, la cera di cui sono costituiti i fregi si scioglie venendo assorbita dall’argilla (procedimento a cera persa) così da consentire di sollevare il mantello – nel quale restano impresse in negativo le decorazioni ed iscrizioni – e di liberare l’“anima” della campana.
A questo punto il mantello viene ricollocato sull’anima così da creare lo spazio vuoto in cui verrà colato il bronzo liquido (78 pari di rame e 22 di stagno).

Ed ecco arrivare la parte più suggestiva e religiosa della creazione: il mantello sotterrato in una fossa in corrispondenza dei forni, viene riempito dal bronzo liquido il quale, una volta raffreddato, viene liberato dando vita alla campana.

Questo ed altro si può osservare facendo visita alla Pontificia Fonderia Marinelli, dove, fatta una visita al suggestivo museo in cui sono conservati reperti antichissimi – come l’edizione olandese del 1664 del “De tintinnabulis”, vera e propria “Bibbia” dell’arte campanaria – e testimonianze fotografiche e campane commemorative, si può assistere, nella sala della Fonderia, ad un “concerto” di campane, previsto anche per commemorare il disastro avvenuto nel Terremoto del Molise del 2002.

Da trenta generazioni, dunque, i Marinelli si trovano ancora dove gli avi hanno impiantato il nucleo produttivo della fucina che oggi è divenuto un museo sotto la spinta della nomina, da parte dell’UNESCO, di “patrimonio dell’umanità”.

Copyright – La Nobilità del Fare – Acqua di Parma

E’ facile dimenticare un Sud così produttivo nell’odierno caos mediatico privo di approfondimenti. Myrrha vuole invece preservare e custodire questa memoria perché, come i rintocchi delle campane create dalla famiglia Marinelli, possa ricordare con eco costante, l’immenso giacimento culturale e artistico del Mezzogiorno.

Neanche la dominazione tedesca ha fermato questa famiglia, costretta ad abbandonare la Fonderia – divenuta Pontificia nel 1924 ad opera di Papa Pio IX -, nel frattempo trasformata all’uopo in fucina di creazione di armi da guerra.
La passione di una generazione di campanari si può “toccare con mano” andando a trovare la famiglia Marinelli nella fucina, ove la tecnica di creazione della voce angelica è rimasta immutata.
I Marinelli vi diranno che per la riuscita di una buona campana, è fondamentale attenersi a regole e misure ben precise, da secoli e secoli. Un suono che può essere deciso in fase di progetto e adattato alle esigenze del cliente.

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THE ROYAL WAY di Tamara triffez – Numero 4 – Aprile 2016

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THE ROYAL WAY

 

Dear friends,   

 

Please share a moment of attention through my few words entrusted to the courtesy of Tamara. This event is called “A view of Italy from above”, but, in the case of Tamara, I should say “view from inside” because, like all great travelers, Tamara is an artist who moves to see people from very near; indeed, to probe the possibility of identification. Her exhibition has as theme the Royal Way which means the right way, the one that is, in fact, drawn from Art.   Here the protagonist is Sicily seen through processions, those moments when the feeling of a past that looms over the present becomes particularly strong, in each of us. But, this past can be easily seen, at least by a layman’s point of view, from two opposite and associated points: the solemnity and the ridicule. Citizens who all become actors of the sacred representation are living and true but, at the same time, take on such important and worrying roles that leave those who observe them from outside mostly stunned. Do they truly believe? Are they really able to identify those people with Christ, with his torturers, with the people attending, accompanying suffering and exulting? Of course the answer is yes, and it’s not even that difficult. The collective suggestion is a verifiable and moving reality. And what does our Tamara see in her crisp, clean black and white with which she scrutinizes people from a short distance? She sees the Character and the Man so overlapping and indistinguishable from each other that they push us to seriously believe in an ancestral world that, in its total unawareness, walks along the Royal Way.   Tamara Triffez dedicated and dedicates her life to this type of investigation. Perhaps, her most acute interest is Tibet, that tragic historical paradox that is the destruction, or rather the attempted annihilation of a Royal Way that, in the name of a misguided ideology, believes in the possibility of triumphing through elimination. Tamara, as an artist, opposes and always will oppose to any form of cancellation of the legacies which, although different in different parts of the world, are intrinsic to the very existence of the human being.   From this point of view her Sicily and her Tibet are no different; and they are not because it is the artist’s approach that is the same. Tamara gives a sense of participation to those who look at her work. The sequence of images is taken from within the procession and it is not a curious look caused by the peculiarity or strangeness; but, in fact, it is the vision of a participant who, evangelically, does not judge but only looks. And by looking, sees the greatness and weaknesses of the world winding together, because together they have always existed and will always exist. Sure, the characters of the procession, in some extraordinary places as Piana degli Albanesi, are inevitable quotations of the great figurative arts of the past. The Weeping women seem extracted from the wooden statues of the Middle Ages and the Renaissance, the Christ that passes or the lying one seem to be created by the figurative Mannerist culture. But maybe no one needs to know this, not even the artist who wanders among the people with her camera. When she approaches, though, the crowds thin out as if the photographic act were a sacred act itself, because it sanctifies the recklessness of those who do not know why they are there and why they should carry on preconceived attitudes.   In the procession everything has been already written, everything has already happened, but Tamara captures the expressions of doubt, perplexity, distraction, delusion, that show on the faces so powerfully filled with past that they result fascinating as they are. The photos were taken on the occasion of the Easter holidays, in recent times. But the date does not matter, because all this can always be lived, because it is very likely that it has never happened in the exact way we see it in Tamara’s photos. It is not a matter of stopping the time, which is impossible, but of portraying the emotions with a clear awareness that the fiction of art pushes towards the Royal Way.   Tamara belongs to that group of people who see life only as positive energy, but her images do not emanate a feeling of unconscious optimism. The fact is that the artist is keenly aware of what they are representing and its implications but does not treat the people represented as elements of a hedonistic exercise. Despite the clear beauty of these images, there is never the feeling of an ecstatic stop, that seizes that moment as particularly beautiful or charming.   The advance of the photographer in the procession proceeds, however, with the intent to make room within a world that could reject us because we do not know and perhaps fear it. We are afraid of hurting its ancient susceptibility, of not respecting rules that are unknown to us but obvious and granted for the locals; afraid of unintentionally disrespecting it, but only due to a lack of information. All these fears are latent in Tamara’s eyes but then exorcised by the strength of the relationship between the photographer and those who are in front of the camera. Precisely for this reason we get a sense of fullness and dominance of reason and spontaneity that, if well lived, could be good for us.   

 

 With my warmest wishes,   

 

 Claudio Strinati

In my reports, I venture often in search of ancient cultural roots expressed by humans, in various places on the planet. In recent years I have followed a path that highlights the procedures of human evolution.
That manifest themselves through art, myths, religions, to affirm their dignity.
My starting point is the event description, the reflection on everyday life, which expresses itself also in religious festivals.
Starting from these premises, therefore I have decided to follow the Easter celebrations in Sicily, with the many events that ensue.
With enthusiasm and vitality I flew over the staging of the festivities and the protagonists of living paintings.

Sicily is still a land rich in tradition and true ancestral rituals, which still give a testimony on the legendary and multi-cultural origins in the heart of the Mediterranean.
The camera lens has followed the Palm Sunday, in Piana degli Albanesi, a village founded by Albanian communities centuries ago, that has preserved its Orthodox tradition, highlighted by an unexpected amount of uses and customs, the Pope, the crosses… the Pope climbs on a donkey, to retrace the entry of Jesus Christ into Jerusalem.
Among the many celebrations, I perceived in the representation of Christ’s life of Marsala, the feeling of a journey back in time; glimpses of life in Jerusalem two thousand years ago. The evocative power of the representations is revealed thanks to the intense participation of actors and spectators, all inhabitants of towns and villages.

These are ceremonies where everyone re-lives, through representations, their own way of life and spiritual momentum. As in the exempla of the Middle Ages it comes to a religious and strongly cathartic human experience.
I also followed the preparatory representation of the mysteries of Trapani, where young children of various congregations learn to bring the “vare” miniatures. The art of the rhythmic step, the support, and the pace of the “trice e trac”, recurrent instrument in southern Italy, and the subduing of the fanfare (brass bands).
I documented processions of Palermo, the procession of the Cocchieri, tradition that has continued since the seventeenth century; the Ballarò market and the Good Friday procession of San Mauro Castelverde, a small village that climbs around a mountainous peak of the Madonie, where you can watch the kiss of Judas, his hanging, the Way of the Cross, the Crucifixion. The pain of a man. During this visit the mountain was strangely enveloped in a dense and cold fog; This introduced a dreamy sense of unease

Each event so indicates a path between the sacred and the profane.
On Easter Sunday in Ribera, for example, where men who are exhausted from the long journey and the weight of the different paintings – of representations of Christ, the Virgin Mary and St. Michael – are allowed to drink the holy blessed water as a reward for their devotion. The bottle flies quickly from hand to hand as the crowd, moved, sings and jumps.
The band gets excited, the cacophony of the firecrackers explodes, clouds of confetti are released into the air. All to remind us of the resurrection of Christ.
Doves flying between the banners and behold, in those days, reappearing beyond the slightly profane expressions, the soul anxious of knowledge, the path of suffering and finally the liberating joy of resurrection

Through the choice of this ancient and profound theme I wanted to pay tribute to the life of Christ, revealing through his extreme suffering, the divine essence, the transcendence. Research that man has expressed for millennia.

We can also say that “the Royal Way”, the title of this report, is an expression that was used in the ancient world. It shows the way, the straight road, by which we avoid the deviations and the twists and turns that can confuse the soul, symbolic approach to the heavenly Jerusalem, the symbol of Christ.

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LA MEDITERRANEE ET NOUS di Ferdinando Sanfelice di Monteforte – Numero 4 – Aprile 2016

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mais nous ne nous en rendons compte qu’en juillet, lorsque nous emmenons notre familles «à la mer”, et que nous voyons passer des formes étranges à l’horizon, sans nous demander ce qu’elles font là et pourquoi. Nous vivons avec une mer qui source à la fois de bien-être et de problèmes, et il est bon d’en comprendre les qualités et les limites.
Selon les chercheurs, le terme «méditerranée» a de nombreuses significations.

Fernand BRAUDEL disait «la méditerranée est un millier de choses mises ensemble. Ce n’est pas un paysage, mais un nombre infini de paysages. Ce n’est pas une civilisation, mais un certain nombre de civilisations superposées les unes aux autres. Cela est dû au fait que la méditerranée est un carrefour très ancien. Depuis des milliers d’années tout s’y rencontre, compliquant et enrichissant son histoire “.

Nous devons être conscients de ses caractéristiques et ses limites, et prendre des mesures pour réduire ces dernières au minimum, pour le bénéfice des générations futures.

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LA MEDITERRANEE ET NOUS

 

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Pour nous méridionaux, qui connaissons les difficultés que nos ancêtres ont dû affronter pour survivre aux dangers provenant de la mer, cette phrase semble quelque peu optimiste, mais, dans l’ensemble, il est difficile d’être en désaccord avec le jugement historique de BRAUDEL. Un premier aspect de la méditerranée est son climat relativement doux, du moins sur les côtes, grâce au “chauffage central” que constitue le désert du Sahara, qui, dans notre partie du monde, déplace l’équateur thermique beaucoup plus au nord que l’équateur géographique.
Ce n’est pas par hasard que certains géographes ont défini la méditerranée comme la zone qui “s’étend de la limite nord des oliviers à la limite nord de la palme.” Soyons clairs: le climat de la méditerranée n’est pas idyllique, en raison de ses violentes tempêtes et du froid en hiver, mais il est certainement meilleur que celui de beaucoup d’autres régions du monde situées aux mêmes latitudes.
En revanche, les terres bordant la méditerranée sont soumises à des éruptions fréquentes, des tremblements de terre et des raz de marée qui ont toujours rendu la vie de ses habitants dangereuse. Elles sont par ailleurs, en grande partie montagneuses, ce qui pendant des siècles à empêché l’agriculture de se développer au-delà de la simple subsistance. Aujourd’hui nous voyons nos collines bien entretenues et couvertes de cultures, parfois de pointe, mais c’est le résultat du génie italien et des progrès de la technique.
En dépit de ces problèmes, la région méditerranéenne a attiré depuis la préhistoire de nombreux groupes ethniques essayant d’échapper à une situation insupportable et de migrer vers ses rives à la recherche d’une meilleure qualité de vie. Bien sûr, les nouveaux arrivants n’avaient aucun scrupule à exterminer, asservir, ou soumettre ceux qui vivaient dans ces lieux choisis par ces masses humaines pour s’y établir.
C’est seulement très récemment que les migrations de masse ont pris un caractère moins violent, simples fuites devant la guerre et l’injustice, même si de nombreux gouvernements ont exploité ces pauvres gens pour parvenir à leurs propres fins politiques; cela explique peut-être aussi les réactions des résidents des zones privilégiées de la méditerranée qui ne se sont pas toujours montrés très accueillants. Ces arrivées massives de l’est et du sud nous font comprendre pourquoi notre mer, où se croisent divers flux, doit être considéré comme un «carrefour stratégique», militairement et, surtout, commercialement.
En fait,

la «nouvelle route de la soie”, un énorme flux de marchandises qui transporte des matières premières et des produits manufacturés entre l’Asie et l’Europe, traversant le détroit de Malacca , le golfe d’Aden, Bab-el-Mandeb et Suez, pour entrer ensuite dans le bassin méditerranéen.

En conclusion, la méditerranée est notre principale source de bien-être et peut devenir le moteur du développement de notre Sud et plus généralement de l’ensemble de l’Italie côtière.

Il en dérive le concept actuel de «méditerranée élargie», qui comprend également la mer rouge, jusqu’au détroit de Bab-el-Mandeb et à la corne de l’Afrique, des zones où les événements ont des répercussions immédiates sur nous. Il suffit d’observer que, pendant les huit années où la piraterie a agi sans que personne ne s’y oppose de 2000 à 2008, le prix des céréales a augmenté, alors que le transit à travers le canal de Suez chutait de 20%, conduisant à un net appauvrissement de l’Egypte .
En fait, la méditerranée est une mer fermée, presque comme un bonbon bien emballé, dont le papier est tordu aux extrémités de manière à en retenir le contenu. Pour la méditerranée, ces extrémités sont précisément le détroit de Gibraltar et le canal de Suez / Bab-el-Mandeb, dont les “propriétaires” peuvent étrangler à leur guise la vie économique de tout le bassin.
A l’intérieur, la ligne principale de la circulation court vers l’est, avant de passer près de la côte nord-africaine, puis de traverser le détroit de Sicile et de continuer en pleine mer à l’est jusqu’à Suez. De cette ligne partent d’autres flux en direction nord-sud, vers les ports de la rive nord, liées à l’Europe centrale et orientale.
Le trafic maritime en méditerranée est cependant surtout un segment de ce que l’on appelle aujourd’hui

Nous avons vu que, dans les années d’activité maximale de la piraterie, la méditerranée s’est appauvrie. Ceci est un phénomène qui se répète: il y a des siècles, dans les années qui ont suivi la prise de Constantinople, le trafic avec l’Asie s’est déplacé vers la “route du Cap “, appauvrissant les populations méditerranéennes par la hausse des prix et de laissant nos ports à moitié vide. Le risque est que ce phénomène se répète!
Notre destin méditerranéen nous impose donc des priorités stratégiques claires. Aucune défense de notre qualité de vie ne sera possible si nous n’agissons pas sur deux fronts:
– le contrôle des zones marines, afin de réduire l’anarchie et la criminalité en mer, et de protéger les principales lignes de circulation contre ceux qui veulent les attaquer, dans la méditerranée élargie et, si nécessaire, même au-delà;
– la poursuite du développement de l’économie maritime, un secteur dont le potentiel de croissance est énorme: nos ports sont très inadaptés aux caractéristiques et aux besoins des marchands aujourd’hui. Il suffit de penser que seul Gioia Tauro, un noeud dans le trafic international des conteneurs, est en mesure , par Sto arrivando! flotte et de ses équipements, de répondre à ces besoins.

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le commerce international a toujours été le meilleur moyen de gagner leur vie pour les peuples de la méditerranée. Cela nous amène à la définition selon laquelle cette mer est «le point focal du commerce, des richesse accumulées, qui changeaient de mains et parfois se perdaient à jamais, de sorte que la méditerranée peut être perçue par son impacts sur des zones plus étendues.”

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LA ROUTE ROYALE di Tamara Triffez – Numero 4 – Aprile 2016

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LA ROUTE ROYALE

 

Je me hasarde souvent, dans mes reportages, à la recherche des anciennes racines culturelles que conservent les êtres humains en divers endroits de la planète. J’ai suivi ces dernières années, un parcours qui met en évidence les procédures de l’évolution humaine.
Qui se manifestent à travers l’art, les mythes, les religions, dans le but d’affirmer pleinement leur dignité.
Mon point de départ est la description des événements, la réflexion sur la vie quotidienne, qui s’exprime, entre autre, dans les fêtes religieuses. Et c’est à partir de cette prémisse que je décidai de suivre les fêtes de Pâques en Sicile, et les nombreux événements qu’elles incluent. Avec enthousiasme et vitalité j’ai côtoyé la mise en scène des fêtes et les protagonistes des tableaux vivants.

Chers amis,   

 

Je vous prie de me prêter un moment d’attention pour quelques mots confiés à la courtoisie de Tamara. Cet événement s’appelle globalement L’Italie Vue d’En Haut, mais dans le cas de Tamara, je devrais dire “vue de l’intérieur» parce que, comme tous les grands voyageurs, Tamara est une artiste qui se meut pour voir les gens de très près, pour étudier la possibilité de s’identifier avec eux. Son exposition a pour thème la Voie Royale qui indique, en substance, la route rectiligne, celle est tracée par l’Art. C’est la Sicile qui se met en scène à travers les processions, ces moments où se fait particulièrement fort, en chacun de nous, le sentiment d’un passé qui pèse sur le présent. Mais, ce passé peut être facilement vu, du moins par le profane, de deux points de vue opposés et associés: la solennité et le ridicule. Les citoyens qui deviennent tous acteurs de la représentation sacrée sont des êtres vivants de chair et d’os, mais ils incarnent dans le même temps des rôles tellement importants et inquiétants qu’ils laissent la plupart du temps ceux qui les observent de l’extérieur, interloqués. Y croient-ils vraiment? Sont-ils capables d’identifier ces personnes avec le Christ, ses tortionnaires, le peuple spectateur qui accompagne la souffrance et exulte? Bien sûr, la réponse est oui, et elle n’est pas difficile à donner. La suggestion collective est une réalité vérifiable et émouvante. Et notre Tamara, que voit-elle de son noir et blanc net et propre avec lequel elle scrute les gens à une distance, qu’elle réduit au minimum? Elle voit le Personnage et l’Homme se chevaucher, tellement indiscernables qu’ils nous incitent à croire sérieusement dans un monde ancestral qui, en toute ignorance totale, parcourt la Voie Royale. Tamara Triffez a dédié et consacré Sto arrivando! vie à ce type d’enquête. Son intérêt est peut-être plus aigu au Tibet, sur ce paradoxe historique tragique que constitue la destruction, ou plutôt la tentative d’anéantissement d’une Voie Royale, au nom d’une idéologie erronée, qui a cru triompher par l’annihilation. Tamara, en tant qu’artiste, s’est opposée, et s’opposera toujours, en tout effort d’annihilation des héritages qui, même s’ils sont différents dans diverses parties du monde, sont intrinsèques à l’existence même de l’être humain. De ce point de vue Sto arrivando! Sicile et son Tibet ne sont pas différents; et ils ne le sont pas car l’approche de l’artiste est la même. Tamara donne à ceux qui regardent son travail un sentiment de participation. La séquence d’images est dans la procession, ce n’est pas un regard curieux de l’originalité typique ou de l’étrangeté; mais le regard de ceux qui, évangéliquement, ne jugent pas mais regardent. Il voit les grandeurs et les faiblesses du monde que le vent assemble, parce que, ensemble, ils ont toujours existé et existeront toujours. Bien sûr, les personnages de la procession, dans certains endroits extraordinaires come Piana degli Albanesi, sont des citations incontournables des grands arts figuratifs du passé. Les pleureuses semblent sorties des statues de bois du Moyen Age et de la Renaissance, le Christ qui passe ou git semble généré par la culture figurative maniériste. Mais cela, personne ne doit le savoir, pas même l’artiste qui erre parmi les gens avec son appareil photo. À son approche, cependant, la foule se disperse comme si l’acte photographique était lui-même acte sacré, parce qu’il sanctifie l’inconscience de ceux qui ne savent pas pourquoi il sont là ni pourquoi il faut prendre des attitudes préconçues. Dans la procession tout est prescrit, tout est déjà arrivé, mais Tamara cueille l’expression de doute, la perplexité, la distraction, l’illusion, qui transparaissent dans les visages si puissamment chargés de passé qu’ils en deviennent fascinants. Les photos ont été faites récemment à l’occasion des fêtes de Pâques. Mais la date n’a pas d’importance, parce que tout cela peut avoir toujours existé, bien qu’il soit très probable qu’il ne se soit jamais produit comme nous le voyons dans les photos de Tamara. Il ne s’agit pas suspendre le temps, ce qui est impossible, mais de dépeindre les émotions avec une claire conscience que la fiction de l’art conduit sur la Voie Royale. Tamara appartient à cette catégorie de personnes qui voit la vie uniquement comme énergie positive, mais de ses images n’émane aucun sentiment d’optimisme inconscient. Le fait est que l’artiste est profondément consciente de ce qu’elle représente et de ses implications, mais ne traite pas les personnes représentées en tant que matière d’un exercice hédoniste. Malgré la beauté claire de ses images, il n’y a jamais de sentiment d’arrêt extatique, qui saisirait un moment comme particulièrement beau ou suggestif. L’entrée du photographe dans la procession se déroule, au contraire, avec l’intention de se faire une place dans un monde qui pourrait nous rejeter parce que nous ne le connaissons pas et que peut-être nous le craignons. Nous craignons de blesser des sensibilités anciennes, de ne pas respecter les règles qui nous sont inconnues, mais qui semblent, là, évidentes; nous avons peur de manquer de respect involontairement seulement par manque d’information. Toutes ces craintes sont latentes dans le regard de Tamara mais elles sont exorcisées par la force de la relation entre la photographe et celui est en face de la caméra. C’est précisément pour cette raison, que nous ressentons une plénitude et une impression de raison et de spontanéité, qui, si nous les vivons bien, pourraient nous rajeunir.   

 

Avec mes salutations les plus chaleureuses,   

 

Claudio Strinati

La Sicile est une terre riche en tradition et véritables rituels ancestraux, qui témoignent encore aujourd’hui des origines légendaires et multi-culturelles au cœur de la Méditerranée.

L’objectif de mon appareil photo a suivi le dimanche des Rameaux à Piana degli Albanesi, un village fondé il y a des siècles par les communautés albanaises, et a conservé sa tradition orthodoxe, mise en évidence par quantité d’us et des coutumes, inattendus, les popes, les croix … le pope chevauche un âne, pour retracer l’entrée de Jésus-Christ à Jérusalem. Parmi les nombreuses célébrations, j’ai ressenti dans la représentation de la vie du Christ de Marsala, le sentiment d’un voyage dans le temps; un aperçu de la vie à Jérusalem il y a deux mille ans. La puissance évocatrice des représentations trouve Sto arrivando! source dans la participation intense des acteurs et spectateurs, tous habitants des villes et villages.

Il y a des cérémonies où tout le monde vit, à travers des représentations, son propre parcours de vie et son propre élan spirituel. Comme dans les Mystères du Moyen Age, il s’agit d’une expérience humaine religieuse fortement cathartique.

J’ai également suivi la représentation préparatoire des mystères de Trapani, où les jeunes enfants des diverses congrégations apprennent à porter des statues miniature. L’art du pas rythmé, du portage, et le rythme de tric trac, instrument récurrent dans le sud de l’Italie et celui conquérant de la fanfare.
J’ai documenté les processions de Palerme, la procession de Cocchieri, des traditions qui se poursuivent depuis le XVIIe siècle; la procession du marché Ballarò et le Vendredi Saint de San Mauro Castelverde, un petit village lové autour d’un pic montagneux des Madonie, où on peut assister au baiser de Judas, à Sto arrivando! pendaison, au Chemin de la Croix, à la Crucifixion. À la douleur d’un homme. Au cours de cette visite, la montagne était étrangement enveloppée dans un brouillard dense et froid, qui donnait un sentiment de malaise et d’irréalité.
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Chaque événement indique ainsi un chemin entre sacré et profane.

Le dimanche de Pâques à Ribera, par exemple, où les hommes épuisés par le long parcours et le poids des différents tableaux – représentations du Christ, de la Vierge Marie et de Saint-Michel – sont autorisés à boire l’eau bénite, en récompense de leur dévouement. La bouteille vole rapidement de main en main pendant que la foule, émue, chante et saute. La ferveur s’approfondit, la cacophonie des pétards explose, des nuages de confettis sont libérés dans l’air. Le tout pour nous rappeler de la résurrection du Christ.

Les colombes volent entre les bannières et, en ces jours, réapparaissent, au-delà des expressions un peu profane, l’âme anxieuse de connaissance, le chemin de la souffrance et, enfin, la joie, la libération, de la résurrection.

Par le choix de ce thème ancien et profond j’ai voulu rendre hommage à la vie du Christ, révélant par Sto arrivando! souffrance extrême, l’essence divine, la transcendance. La recherche que l’homme exprime depuis des millénaires.
 
«La Voie Royale», le titre de ce reportage, est une expression utilisée dans la passé. Elle indique le chemin, la route droite, par laquelle on évite les déviations et les tours et détours qui peuvent confondre l’âme, l’approche symbolique de la Jérusalem céleste, symbole du Christ.

 

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THE MEDITERRANEAN AND US di Ferdinando Sanfelice di Monteforte – Numero 4 – Aprile 2016

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but we only realize it in July, when we bring our families to bathe in it, and see strange shapes on the horizon without wondering what they’re doing and why. We live in a sea that is simultaneously a source of well-being and problems, and it is good to understand its qualities and limitations.

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THE MEDITERRANEAN AND US

 

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According to experts, the term “Mediterranean” has many meanings. Fernand BRAUDEL said, “the Mediterranean is a thousand things together. It is not a landscape, but an infinite number of views. It is not a sea, but a sequence of seas. It is not a civilization, but a number of civilizations superimposed on each other. This is due to the fact that the Mediterranean is a very ancient crossroad. For thousands of years everything has crossed it, complicating and enriching its history “.
As Southerners, we know the difficulties that our ancestors faced to survive the dangers coming from the sea, this sentence may appear somewhat optimistic, but, overall, you can not disagree with BRAUDEL in his historical judgement.
A first aspect of the Mediterranean is the relatively mild climate, at least on the coasts, thanks to the “central heating” given by the Sahara desert, which moves the thermal equator, in our part of the world, much more north than the geographical one.
Not surprisingly, some geographers have defined the Mediterranean as the area that “extends from the northern limit of the olive tree to the northern limit of the palm tree.” Let’s be clear: the climate of the Mediterranean is not idyllic, because of its violent storms and cold weather in winter, but it is certainly better than that of many other areas of the world at the same latitudes.
By contrast, the lands bordering the Mediterranean are subject to frequent eruptions, earthquakes and tidal waves that have always made life dangerous for the inhabitants. These areas are, moreover, largely mountainous and this for centuries has prevented the development of agriculture beyond mere subsistence. Today we see our well-groomed and filled with crops hills, but this is the result of Italian genius and technical advances.
Despite these problems, the Mediterranean area has attracted, since prehistoric times, numerous ethnic groups that tried to escape from an unbearable situation and migrate to its shores in search of a better quality of life. Of course, the newcomers made no bones about exterminating, enslaving, or otherwise subduing those who lived in the chosen places.
Only in very recent times the mass migrations have taken a less violent character, becoming a simple fleeing from war and injustice, although many governments have exploited these poor people for their own political purposes; perhaps this is also why the reaction of the residents in the privileged zone of the Mediterranean is not always welcoming. These mass arrivals from the east and from the south make us understand why our sea, where many flow lines cross, should be considered a “strategic crossroad”, militarily and, above all, commercial.
In fact, international trade has always been the best way to earn a living for the people of the Mediterranean. This brings us to the definition that this sea is “the focal point of trade, accumulated wealth, which changed hands and sometimes was lost forever, so that the Mediterranean can be measured by its broader implications.”
Hence the current concept of “Enlarged Mediterranean”, which also includes the Red Sea, to the Strait of Bab-el-Mandeb and the Horn of Africa, areas in which events have immediate repercussions on us. Suffice it to say that in the eight years in which piracy has acted with no one contrasting it, from 2000 to 2008, the price of cereals increased while transits through the Suez fell by 20%, resulting in a net depletion of Egypt .
In fact, the Mediterranean is a closed sea, almost like a well packaged candy, where the paper is twisted at the end, so as to retain the contents. For the Mediterranean, these twisted ends are precisely the constrictions of Gibraltar and the Suez / Bab-el-Mandeb, whose “owners” can strangle the economic life throughout the basin as they please.
Inside it, the main traffic line runs eastward, first passing near the North African coast, then crossing the Strait of Sicily and taking the eastern part, in the open sea, up to Suez. From this line, other north-south direction flows branch off, towards the ports of the north shore, connected with Central and Eastern Europe.
But the maritime traffic in the Mediterranean is more than anything a segment of what today is called the “New Silk Road”, a huge flow of merchants transporting raw materials and manufactured goods between Asia and Europe, passing through the Strait of Malacca , the Gulf of Aden, Bab-el-Mandeb and Suez, to then enter the basin.
We have seen that, in the years of maximum development of piracy, the Mediterranean has been depleted. This is a phenomenon that repeats itself: even centuries ago, in the years following the capture of Constantinople, the traffic with Asia moved on “Cape Route”, impoverishing the Mediterranean populations with rising prices and leaving our ports half-empty. The risk is that this phenomenon will repeat again!
Our Mediterranean destiny therefore requires some clear strategic priorities. No defense of our quality of life will be possible if we do not act on two fronts:
– the control of marine spaces, so as to reduce the illegality and crime at sea, and the protection of the main traffic lines against those who wish to attach them, in the enlarged Mediterranean and, if necessary, also beyond;
– the further development of the maritime economy, a sector whose growth potential is enormous: our ports are woefully inadequate compared to the characteristics and needs of merchant ships today. Suffice it to say that only Gioia Tauro, a node in the international container traffic, is able, for its depths and equipment, to meet these needs.
In conclusion, the Mediterranean is our main source of well-being and can become the engine of the development of our South, and more generally of the whole pet of Italy that faces it. We must be aware of its features and its limitations, and take action to minimize the latter for the benefit of the generations that will follow us.

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